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4.1 LA DEBOLEZZA DELL’UOMO SULL’OSTILITA’ DELLA REALTA’
CIRCOSTANTE
Il punto di partenza, essenziale, per Gracián è la situazione di grande
ostilità in cui l’uomo è costretto a vivere. L’uomo, storicamente è
collocato in una realtà in cui la tranquillità, la serenità, il benessere,
38 Oráculo manual y arte de prudencia, (Oracolo manuale e arte di prudenza, tr. it. e note di A.
Gasperetti, Guanda, Parma, 1986); El Héroe, (L’Eroe, in B. Gracián, L’Eroe. Il Saggio, tr. it., intr. e
note di A. Gasparetti, Guand, Parma, 1987.
39 Agudeza y Arte de ingenio (L’Acutezza e l’Arte dell’Ingegno, tr. it. di G. Poggi, consulenza
scientifica e coordinamento di B. Periñán, presentazione di M. Perniola, Aesthetica, Palermo, 1986.
40 El Criticón, edicíon, introducción y notas de E. Calderón, 3 t., Espasa – Calpe, Madrid, 1971.
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sono gravemente turbati e minacciati da ostilità continue. L’ostilità alla
quale fa riferimento Gracián è una degenerazione dei rapporti con gli
altri che porta a grosse problematiche e difficoltà esistenziali in un
mondo che caratterizzato dalla mancanza di ogni forma di sincerità e di
onestà
"l’agire bene è scomparso, degli obblighi di cortesia non c’è più traccia, raro
è l’onesto scambio di favori” (Oracolo manuale e arte di prudenza, p. 161)
Questo punto di partenza viene compreso guardando alla
complessa situazione sociale, politica ed economica della Spagna del
Seicento che fa da tessuto storicoculturale al pensiero di Gracián.
Gravissima situazione economica venutasi a determinare già dalla fine
del Cinquecento, fatta di recessione, di carestia ma anche di
insoddisfazione popolare contro il regime politico – sociale
caratterizzato, dopo la perdita di potere della monarchia, da
41
pesantissimi atteggiamenti repressivi .
Contesto storico che induce Gracián ad asserire che l’uomo
possiede le qualità della ferocia, della crudeltà, dell’inganno, della
superbia, del disprezzo degli altri, dell’interesse personale, al punto
tale da essere parte di un mondo immondo.
Da questa necessaria premessa egli teorizza il bisogno estremo
di affinare delle abilità forti per affrontare il rapporto con gli altri,
dimostrando di sostenere questo bisogno come tipico della realtà del
suo tempo ma riconoscendo anche che è una necessità per l’uomo di
tutti i tempi
41 Maravall, 1975, pp. 62 -3 e 82-3. 70
"Si richiedono più cose oggi per un solo savio di quante ne occorressero
anticamente per sette; e ci vuole più abilità per trattare con un solo uomo in
questi nostri tempi, che non per avere che fare con un popolo intero in
passato”, (Oracolo manuale e arte di prudenza, p. 34)
L’abilità alla quale fa riferimento per contrastare il male che l’uomo
ha attorno, da Gracián viene identificata con “arte, sapere e tecnica”
necessari per non soccombere e, quindi, sublimati a ruolo di “virtù”.
4.2 LA CONOSCENZA DI SE’ E DEGLI ALTRI
Dalla consapevolezza delle ostilità presenti nel rapporto con gli
altri nasce, come conseguenza diretta, la necessità di un “sapere”
ampio e di una abilità scaltrita da intendere come virtù poste in rapporto
di servizio con il bene fondamentale della salvezza dell’uomo. La
salvezza dell’uomo, cioè, non mi sembra trattata da Gracián come una
42
categoria universale di bene ma nella singolarità del singolo individuo .
Nel pensiero di Gracián, qualunque sia il tema trattato, appaiono
le tre parole – chiave, arte, sapere e tecnica, rimescolando le quali
riusciamo a definire l’uomo come il singolo individuo che, per il proprio
bene personale, ha bisogno di conoscere per creare dentro di sé un
determinato sapere e poi, di svilupparlo come arte esercitandolo
attraverso delle tecniche.
In questo paragrafo mi concentro sul “sapere”, nella sua
accezione più piena, per iniziare a trattare della necessità di conoscere
sé stessi e gli altri, rinviando di far emergere l’arte e le tecniche tutte
quelle volte che individuerò, con le parole di Gracián, nell’uomo tutte
42 Maravall,1984, pp. 361-73. 71
quelle capacità ed abilitate sviluppate grazie alla conoscenza di sé e
degli altri.
In tal senso,
"… due sono le cose che distruggono presto la vita: la stoltezza e la
meschinità. C’è chi ha perduto la vita per non averla saputa custodire, e chi
per non averla voluta difendere” (Oracolo manuale e arte di prudenza, p. 74)
I parametri per la salvezza individuati da Gracián mi sembrano
netti e senza mezze misure: da una lato la “non conoscenza” e la
distruzione; dall’altro “il sapere” e la felicità;
E ancora, “se il vivere rappresenta il fine della volontà, il sapere
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rappresenta il mezzo attraverso cui attuare tale fine” .
Il pensiero di Gracián in pochi passaggi giunge al nesso tra
sapere e felicità. Infatti dalle affermazioni “il sapere è vivere” e “vivere
è felicità”, con un semplice sillogismo si giunge ad asserire quando
sostenuto da Gracián: “il sapere è felicità”
“… un uomo privo di istruzione è un mondo al buio” (Oracolo manuale e arte di
prudenza, p. 35)
L’importanza del “sapere”, come condizione di felicità, viene
esaltata da Gracián ancor più osservando le conseguenze disastrose
e distruttive del “non sapere”, cioè dell’ignoranza, o del “credere di
sapere”, cioè della presunzione
“… non si può vivere senza intelletto, proprio o avuto in prestito: ma ci sono
molti che ignorano di non sapere, e altri che immaginano di sapere, pur non
sapendo. Irrimediabili sono i guai della stoltezza, giacché siccome gli
43 Semerari, Bari, 1993, p.45. 72
ignoranti non si riconoscono per tali, non sanno neppure cercare quel che
manca loro. Certuni sarebbero saggi, se non fosser persuasi di esserlo. E
così gli oracoli di saggezza, pur essendo rarissimi, vivono in ozio, perché
nessuno li consulta” (Oracolo manuale e arte di prudenza, p. 113)
Così come “il sapere” è una qualità positiva “uno vale tanto
quanto sa” , “il non sapere” delinea la qualità negativa della
“stoltezza”!
Sinora è emerso un concetto generico di “sapere” che, però, da
Gracián, al fine del suo impiego per la ricerca della felicità, è stato
tipizzato non certamente come un sapere erudito e teorico ma
empiricamente collocato nella sfera soggettiva ed individuale
dell’uomo, fatta di inclinazioni, passioni, umori, qualità. Quindi,
Gracián, individua un sapere non dogmatico ma calato
nell’osservazione dell’uomo su sé stesso o, meglio, nella conoscenza
di sé stesso.
Il passaggio dalla conoscenza teorica a quella pratica dell’uomo
su se stesso (quella che interessa al fine della ricerca della felicità) è
sublimemente rappresentato nel Criticón con la metafora degli occhi,
i quali
“… operano con una certa universalità che sembra onnipotenza,
producendo nell’anima tutte quante le cose esistenti in immagini e
specie, sono presenti in tutte le parti imitando l’immensità,
signoreggiando in un solo istante tutto l’emisfero … benché vedano il
tutto, non vedono se stessi né le travi che sogliono stare in essi,
condizione propria degli ignoranti: vedere tutto ciò che accade nelle case
altrui, esseri ciechi nella propria. E non sarebbe di poca utilità che l’uomo
guardasse se stesso affinché temesse e moderasse le proprie passioni,
e avesse conoscenza delle proprie brutture” (Il Criticone, p. 136-137)
73
Da questa citazione emerge chiaramente la prima,
fondamentale, connotazione del “sapere” di Gracián: per potere
“sapere” non è sufficiente che l’uomo conosca il mondo esterno ma
deve conoscere se stesso, il proprio mondo interiore nella sua
completa e complessa essenza perché solo questa conoscenza
totale può metterlo di fronte alle proprie possibilità ed ai propri
limiti. E’ come dire che l’uomo per sapere sino a dove può
spingersi deve conoscere le proprie potenzialità e, a tale
conoscenza può giungere solo osservandosi, scrutandosi
attraverso una rigorosa auto-riflessione
“ Se esistono specchi per il viso, non ve ne sono per l’animo: faccia allora
da specchio la saggia meditazione su se stessi. E quand’anche ci si
dimentichi della nostra immagine esteriore, si abbia sempre presente
quella interiore per emendarla e migliorarla” (Oracolo manuale e arte di
prudenza, p. 94)
L’uomo deve orientare il proprio sapere, concretamente, verso
direzioni ben precise ed in particolare, per conoscere se stesso,
deve prioritariamente riconoscere “il proprio pregio fondamentale”
e i propri difetti. Quanto al “pregio fondamentale”, solo partendo
da esso l’uomo può sperare di potenziare gli altri
“ … chiunque avrebbe raggiunto l’eminenza in qualche cosa, se avesse
avuto coscienza delle doti che lo avvantaggiavano. Tenga in gran conto il
pregio fondamentale e si applichi ad esso. In alcuni è il giudizio che
eccelle; in altri il valore. I più usano violenza alla propria inclinazione e
così non raggiungono la superiorità in nulla” (Oracolo manuale e arte di
prudenza, p. 48)
Quanto ai difetti, Gracián ritiene addirittura possibile
affrontare una guerra contro di essi
74
“ … giacché, una volta riconosciuto sarà bell’è vinto, soprattutto
l’interessato se ne farà quello stesso concetto che se ne fanno coloro
che lo osservano. Per essere veramente padroni di sé, bisogna andare
anche contro sé stessi” (Oracolo manuale e arte di prudenza, p. 136)
Allo stesso modo del pregio fondamentale e dei difetti,
l’uomo deve conoscere tutte le altre capacità
“Il saggio conosca la forza della propria saggezza prima di
intraprendere qualche cosa; metta a prova la propria irascibilità prima di
impegnarsi a fondo; abbia la giusta misura delle proprie capacit&a