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Bellis, Napoli, s.d.
55 55
“Generalmente il lettore di una poesia si identifica con il suo autore
e, come lui, si apre alla gioia della bellezza.
Il contrario accade dinanzi alle poesie sedicenti, alle cose che si
presentano con pretensione e parvenza di poesia e che poi quando
le vuole ricreare in sé gli si scoprono nient’altro che cose pratiche,
33
ciò che di chiama brutto”.
In questa scoperta egli prova disgusto e dispiacere laddove colui che
le ha prodotte ha gioito perché nel crearle ha creduto di eseguire
opere di bellezza soddisfacendo così la propria ambizione ossia
quella di apparire uomo geniale, artista e creatore.
L’orrore del brutto non deve però trasformarsi in odio da impedire
così di godere la poesia poiché “come talvolta fiorisce solitaria su
aride rocce intellettuali e in altri luoghi inospiti così può fiorire in
34
mezzo a delle cose brutte”.
33 B. Croce, Filosofia-poesia-storia. Pagine tratte da tutte le opere a cura dell’autore, Ricciardi,
Milano-Napoli, 1951, p. 71.
34 Ivi, p. 95.
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Ma ciò che a Croce preme sottolineare e che l’opera che ha
imperfezioni non è l’opera brutta poiché esse vengono corrette nel
corso del lavoro oppure ritornando al momento creativo e che i veri
spiriti poetici, gli uomini di gusto guardano al sostanziale di
un’opera partendo dal centro e non dalla periferia. Esempio di ciò è
“il cinque Maggio” di Manzoni che è stato più volte censurato ma è
pur sempre una grande lirica.
Ma nelle poesie non si incontrano solo le imperfezioni ma anche
cose impoetiche che, a differenze delle prime, non sono correggibili
ma nel lettore, così come nell’autore, non destano dispiacere ma
sono guardate con indifferenza.
Queste sono le parti convenzionali e strutturali che esistono in ogni
opera poetica e che nascono dalla necessità di mantenere l’unità
ritmica dell’espressione.
L’errore che spesso si commette, nota Croce, è accettare questi
pezzi strutturali come poesia, un errore che commettono interpreti
che si lasciano influenzare dalla fama che investe un poeta oppure
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un errore che nasce da un’insensibilità estetica. Ciò comporta che la
poesia viene considerata come una serie di convenzioni e artifizi e i
poeti coloro che inventano queste cose.
Nel definire una poesia ci possono essere vari casi: chi afferma che
poetiche possono essere solo le poesie brevi; chi sostiene che la
poesia non esiste se non a tratti o frammenti e che tutto il resto è una
massa inerte.
Croce confuta queste due tesi con un’unica obiezione ossia che la
poesia circola per il tutto e vi sono opere da cui nessun pezzo si può
distaccare. Un terzo caso è quello in cui quando il poeta prende una
favola, tradizionale o inventata da lui, e se ne serve per elaborarvi la
sua poesia, i poco poetici confondono la trama con l’elaborazione
poetica considerando la prima come poesia laddove dovrebbe essere
chiaro che il poeta non è mai in quelle vicende e in quelle persone
ma unicamente in quello che vi aggiunge di suo, e che l’unità che dà
alla sua poesia non è statica ma dialettica in quanto parte vitale della
sua anima.
58 58
III Capitolo
Critica della poesia.
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È impossibile, secondo Croce, fare a meno della critica poiché senza
di essa le cose belle restano senza lode, le brutte senza condanna;
così come è impossibile riservarla solo ai poeti poiché la poesia non
si crea solo nel poeta ma si ricrea in tutti gli altri uomini ossia nel
genio dell’umanità.
Lo stesso poeta sta dinanzi alla poesia non in modo diverso dagli
altri uomini poiché mentre gli altri spesso hanno verso la poesia
l’ottusità del disinteresse, essi molto spesso hanno un altro tipo di
ottusità che nasce dal personale interesse sentendo come poesia solo
la propria o una affine.
L’esercizio critico presuppone che si passi attraverso una
preparazione filologica e che dopo di ciò si interpreti la poesia la
quale, se realmente esiste, è fatta propria dallo spirito che la
contempla; se invece è inesistente lo delude e lo irrita.
In ciò consiste la sensibilità che si richiede al critico senza la quale
la sua critica non inizierebbe nemmeno.
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La sensibilità è un momento essenziale della critica, ma non è la
critica e perciò è sbagliato contrapporre ai critici filosofi i critici
sensibili poiché un filosofo non può fare critica della poesia se non
muovendo dalla sensibilità e, dunque, se non chiude in sé un critico
sensibile.
Che ci siano critici sensibili è poco filosofi è per Croce un fatto; ma
è anche vero che per questa deficienza di disciplina teorica non
valutano esattamente le loro giuste impressioni estetiche e neppure
riescono ad esporle senza quel miscuglio di sentimenti e tendenze
personali.
A chi domanda se valga di più un critico solo sensibile o un critico
solo filosofo Croce risponde: “Vale meglio il primo, che sta sul
primo gradino della critica, dal quale si può ascendere al secondo,
che non l’altro, che non è mai salito neppure al primo e brancola
35
tra vuote formule, senza mai toccare l’arte”.
35 B. Croce, Dalle memorie di un critico, a cura di E. Giammattei, Fiorentino, Napoli, 1993, p.
98.
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Ovviamente vi saranno critici sensibili a certe poesie e non ad altre,
vi saranno quelli scarsi di sensibilità che saranno proporzionalmente
scarsamente dotati per la critica: nessun giudizio, anche il più
semplice è concepibile senza il fondamento della sensibilità e il
critico, al momento della critica, deve rivolgersi all’immagine che
gli offre la revocazione che è la sola che dà elementi per il suo
giudizio.
Tagliabue sostiene a tal proposito che solo se si accetta la
rappresentazione artistica non è data come intuizione ideale, ossia
come una semplice e immediata immagine mentale o ricordo o
sentimento ma è una continua progressione di percezioni che si
fanno immagini, le quali, a loro volta, si sconfinano nel mondo della
cultura dove si prolunga l’effetto dell’arte si può ammettere l’analisi
dei contenuti e delle forme.
“Il sentimento artistico non è il sentimento unitario risultante dalla
lettura o dall’addizione dell’opera d’arte, il sentimento lirico ma è
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anteriore a tutto questo ed è il farsi di questo sentimento, il suo
36
interrogarsi e concludersi.”
Non è un’intuizione totale ma il seguito delle intuizioni, è un
costruirsi integrandosi, non è un sentimento emblematico ma una
vita di sentimenti che coincidono con il comporsi delle sue forme
stilistiche.
Il vero partecipare emotivo è presente solo nella
“rappresentazione”, nella sintesi in atto delle figure percepite che si
sciolgono in immagini provvisorie e mai in un’immagine definitiva.
L’arte è un trapassare dal mondo estetico a un mondo psicologico e
culturale, l’arte confina dall’estetica nella vita della nostra psicologia
e cultura, perciò un’analisi dei contenuti si può ricavare sia da un
approfondito esame di questo mondo psicologico-culturale e sia da
un’analisi estetica, da un’analisi delle forme, intese come fattori
percettivi e tecnici.
36 L. Anceschi, Le istituzioni della poesia, Bompiani, Milano, 1968, p. 30
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Ciò che allontana dal contenuto non è la troppa analisi formale ma
l’insufficiente analisi formale.
Non bisogna però commettere lo stesso errore del formalismo che
non sta in un eccessiva importanza data alle forme, ma a poche
forme generiche, selezionate in modo astratto creando così
un’inclinazione per i contenuti universali e approssimativi.
A prima vista il pensiero di Benedetto Croce e quello dei formalisti
sembrano incompatibili.
Infatti, nella scuola crociana, intere falde di contenuti (sentimenti
biografici, interessi morali, visioni ideologiche) rimangono esclusi
dal riconoscimento estetico come estranei alla natura artistica e
inammissibili nell’unità intuitiva della poesia.
In realtà Croce e i formalisti, secondo Tagliabue ma anche gran parte
della critica, concordavano nella difesa dell’aspetto teoretico puro
dell’arte e perciò entrambi adottavano contenuti genetici.
64 64
In verità, sostiene Tagliabue, “solo analizzando categorie stilistiche
formali come categorie storiche è possibile fare uscire la critica da
37
definizioni generiche di contenuti” .
Solo un’analisi non astratta delle figure permette di penetrare
l’essenza delle immagini in modo che non si abbandona né l’aspetto
estetico e né i suoi contenuti.
Ma in che cosa consiste per Croce l’opera del critico? L’opera del
critico non consiste per Croce nel qualificare il bello e il brutto e né
tanto meno di fornire un equivalente logico della poesia poiché se
ciò fosse possibile la poesia non sarebbe venuta al mondo ma
sarebbe presto stata congedata come superflua potendo ottenere un
suo equivalente: “Il critico, a complemento del suo giudizio, non
offre né rifacimenti intuitivi, né equivalenti logici della poesia, ma
38
né dà – che è cosa assai diversa – una caratterizzazione”.
Tale determinazione di carattere non riguarda la forma della poesia
che è la forma della bellezza che è unica e indivisibile in tutti i poeti,
37 G. M. Tagliabue, Il concetto di stile, cit,, p. 80
38 B. Croce, Nuovi saggi di estetica, Cit., p. 154
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meno ancora consiste nell’ibrido lavoro tra estetico e grammaticale,
retorico e lessicale e né tanto meno consiste nello spezzettare le
forme della poesia in vocaboli e metafore, figure, schemi ritmici e
così via ottenendo così solo un mucchio di frantumi inanimati.
“Ma la caratterizzazione si riferisce al contenuto della poesia, al
sentimento che la poesia ha espresso, e nell’atto stesso ampliato
trasferendolo nel suo aere, e che ora, prescindendo da queste
idealizzazione si riconsidera nelle sue sembianze, in quel
caratteristico che, secondo il motto ricordato da Goethe, è come il
punto di partenza del bello. Tutto ciò che non è diventato contenuto
della poesia, che sta fuori di essa è escluso dall’indagine, la quale si
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