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Pars Construens ed Episodio della Gens Longobardorum
Croce si preoccupa di definire il rapporto che lega governanti e governati. In termini concettuali corre una distinzione tra governanti e governati e dominanti e dominati quando consideriamo il modo di essere di una relazione tra chi è più forte e chi è più debole, categorie che hanno anche a che fare con una certa linea hegelo-marxiana.
In quegli anni Croce stava studiando Hegel: la categoria dominanti/dominati ricorda da vicino la dialettica hegeliana servo/padrone che si può trovare nei Lineamenti di filosofia dello spirito. In tale dialettica si sovverte il rapporto tra dominanti e dominati. Il servo presta la propria opera per trasformare il mondo e renderlo possibile al padrone e capisce che è proprio il lavoro lo strumento di trasformazione del mondo: la sua è falsa schiavitù e autentica signoria perché è colui che si occupa del lavoro che domina il mondo al di là.
del rapporto costituito con il padrone. La categoria dominanti/dominati è accostata a quella governanti/governati perché nella tradizione filosofico-politica un certo modo di intendere il secondo rapporto non è distante dalla dialettica di dominio che regge i rapporti tra dominanti/dominati. I governanti sono coloro che si impongono sui governati che, in quanto tali, sono soggetti passivi dell'azione di governo, i subiecti (Hobbes). La categoria del dominio ha a che fare con quello stesso rapporto tra le forze che Croce aveva discusso quando si stava occupando della coazione e si stava chiedendo se coazione significasse effettivamente che l'adempimento derivava dalla sottoposizione passiva all'obbligo giuridico. Lì Croce aveva negato definendo al contrario l'adempimento come una libera determinazione del volere perché un atto di volizione, cioè che ha come suo presupposto il doversi iscrivere nelle circostanze e aveva parlato di.Una concezione della libertà che si determina nell'esercizio. Tutto questo lo aveva affidato al brocardo "coactus tamen voluit" che sintetizza tutto questo processo in termini efficaci (sebbene costretto, tuttavia egli volle), e questo torna anche nella parte che si sta analizzando. Esso ci dice che la dimensione della costrizione è presupposto della libertà. Trasportato sul piano dei rapporti di obbligazione politica (governanti/governati) o sui rapporti di dominio, questo brocardo ci dice che immaginare governati e dominati come soggiacenti del governante (colui il quale esercita il potere politico e che nel modello hobbesiano schiaccia la comunità politica) o del dominante (chi detiene il potere del capitale) è sbagliata perché contraddice la sua concezione di libertà e volontà in quanto cela un'idea per cui la forza maggiore schiaccia quella più debole. Per spiegarlo Croce ricorre all'episodio della
territori senza subire ulteriori danni- La volontà di evitare ulteriori conflitti e perdite di vite umane Inoltre, Croce sottolinea che i romani prendono questa decisione basandosi sulla loro valutazione delle circostanze attuali, piuttosto che su un'ideologia o un principio morale. Questo dimostra la loro capacità di adattarsi e di prendere decisioni pragmatiche per il bene del loro popolo. In conclusione, attraverso questa narrazione, Croce ci mostra come i romani, una volta conquistatori e dominatori, si trovino ora nella posizione di dover cedere territori e accettare i patti dei longobardi. Questo ci fa riflettere sulla mutevolezza della storia e sulla necessità di valutare attentamente le circostanze per prendere decisioni sagge e pragmatiche.fruttiForse se i longobardi avessero proposto un numero diverso, nella valutazione delle circostanze date sarebbe risultato che valeva la pena combattere. In questo caso venire a patti non è un atto di soggiacenza al dominio ma è una valutazione secondo l'utile.
La valutazione di ciò che conviene è per Croce la rappresentazione del concetto stesso di volizione in sé considerato come attività pratica dell'individuo.
L'utile è il parametro entro il quale si determina la volizione.
IN SINTESI
Abbiamo detto che per Croce la filosofia del diritto, che ha intuito che attività giuridica e attività morale affondano le loro radici su un terreno comune, avrebbe dovuto lavorare su quel terreno comune e non mettersi in cerca degli elementi differenziali. La natura comune secondo lui deriva dal fatto che sono entrambe attività dell'agire pratico.
In linea generale la questione del rapporto tra diritto e morale
è centrale nel positivismo, nel giusnaturalismo, nel positivismo giuridico, nel realismo giuridico e nella filosofia di Kelsen: ora la ritroviamo anche in Croce anche se assume una connotazione diversa.
A volte i rapporti vengono costruiti come assorbimento di una nell’altra, come per esempio nel giusnaturalismo il diritto viene assorbito nella morale.
A volte come separazione netta. È il caso del realismo, che pensa si debba considerare giuridicamente solo il mondo dell’essere perché quello del dover essere sarebbe un’ideologia e quindi avrebbe a che fare con la morale e non con il diritto.
Quindi in generale la descrizione dei rapporti tra diritto e morale ha a che fare con il punto che entrambe sono norme, ma non è così se si considera la questione dal punto di vista crociano, perché a lui non importa costruire il diritto come norma.
Infatti l’autore indaga l’attività giuridica: considera il diritto come
un’attività pratica posta in essere dall’individuo, soggetto della volizione, cioè l’azione. È in questa concezione dell’azione che Croce cala il problema giuridico: egli cerca di cogliere la natura di una forma di attività dell’individuo che noi chiamiamo giuridica. Il punto è che la filosofia del diritto ha integrato a sé questa domanda al punto tale che senza di essa non potrebbe esistere. Per Croce i rapporti tra queste due entità devono essere intesi come distinzione: in tutto simili salvo che per qualcosa. Condividono una natura comune ma vi sono degli elementi differenziali. Mentre la filosofia del diritto tenta di lavorare sugli elementi differenziali, Croce sugli elementi comuni. L’estrema complessità della questione che la filosofia del diritto si accinge a risolvere è affidata ad una metafora, il capo Horn, il capo dei naufragi. Le obiezioni che Croce muove al padre della filosofia
Riguardano i due caratteri che costituiscono, secondo Thomasius, i due elementi differenziali dell'obbligo giuridico.
Alla questione dell'esteriorità:
- Obiezione di tipo metodologico: il modo di intendere l'esteriorità per Thomasius corrisponde ad un'artificiale contrapposizione tra ciò che è interno e ciò che è esterno, ma per Croce tale separazione è la rappresentazione di categorie che trovano il loro fondamento nelle scienze naturali ed è erroneo calare all'interno delle scienze dello spirito (umane e sociali) dove non è possibile distinguere interno ed esterno, cioè volontà da azione.
Alla questione della coattività:
- La coazione fatta coincidere con il fatto della sanzione come fa Thomasius è un concetto la cui dimostrazione è affidata ad un fatto empirico, cioè un fatto della realtà: la sanzione, che può esserci o no. Croce fa riferimento al fatto
KANT
La lezione di Thomasius viene recepita da Kant: quest’ultimo nella Critica della Ragion Pratica dota il diritto degli stessi caratteri che il primo aveva conferito all’obbligo giuridico. Grazie alla mediazione di Kant, la lezione di Thomasius giunge a radicarsi all’interno del pensiero giuridico moderno.
La formazione di Kelsen fu neokantiana. Quando egli definì la dottrina pura, rese sotto forma di parafrasi l’articolazione che Kant diede di due punti di vista. Prima di tutto dice che la dottrina pura del diritto riguarda la definizione del diritto quale esso è, e non prende in considerazione il diritto di un singolo ordinamento. Kelsen in questo caso non sta facendo altro che ispirarsi alla distinzione kantiana tra quid iuse quid iuris.
Dal punto di
tto si manifesta nella realtà. In questa prospettiva, il diritto viene considerato come un fenomeno sociale, un insieme di norme e regole che regolano il comportamento degli individui all'interno di una determinata comunità. La visione kantiana del diritto si basa sull'idea che il diritto debba essere fondato su principi morali universali e razionali. Secondo Kant, il diritto deve essere basato sulla ragione e sulla volontà libera degli individui, e deve essere coerente con i principi di giustizia e uguaglianza. La visione kelseniana del diritto, invece, si concentra sull'aspetto formale e positivo del diritto. Secondo Kelsen, il diritto è un sistema di norme giuridiche che sono create e applicate da un'autorità sovrana. Il diritto viene considerato come un insieme di regole che sono valide semplicemente perché sono state create da un'autorità legittima. In entrambe le visioni, il diritto viene considerato come un fenomeno empirico, osservabile e studiabile attraverso l'analisi delle norme e delle istituzioni giuridiche. Tuttavia, le due visioni differiscono nella loro concezione del fondamento e della natura del diritto.