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Nessuno dei grandi network panarabi dopo la guerra del Golfo, aveva mai affrontato
veramente il settore dell’informazione; coloro che provarono a farlo, come MBC e Orbit,
cambiarono ben presto strategia, escludendo le notizie dalla loro programmazione che si
costituiva così di programmi di intrattenimento innocui.
Il primo punto di forza di Al Jazeera fu l’intento di dedicarsi esclusivamente al servizio
informativo con notiziari e approfondimenti d’attualità, intuendo che il successo risiedeva
proprio in quel segmento mediatico che aveva ancora bisogno di essere colmato dal punto di
vista arabo.
Il secondo punto di forza dell’emittente qatarina consisteva nella libertà e nell’obiettività
informativa, infatti Al Jazeera raccontava i fatti d’attualità fornendo sempre i diversi punti di
vista, lasciando così allo spettatore la possibilità di formarsi una propria opinione personale
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sugli avvenimenti. Questa filosofia editoriale che promuoveva l’obiettività e l’imparzialità
delle notizie era tipica del giornalismo occidentale, ma non era riscontrabile in quello arabo
che aveva sempre informato il pubblico rispettando le gerarchie imposte dal potere.
L’idea di trasmettere le notizie fornendo al pubblico i diversi punti di vista si tradusse in una
programmazione ricca di talk show che prevedevano dibattiti con ospiti in studio e interventi
telefonici del pubblico su tematiche, fino ad allora, ritenute tabù da qualsiasi emittente
televisiva.
Tra i talk show di maggiore rilievo di Al Jazeera troviamo:
“Opposite Direction”, condotto da Al Kasim: si trattava di un programma altamente
rivoluzionario nella storia del broadcast arabo che prevedeva un live di novanta minuti
settimanali nel quale due persone con opinioni totalmente differenti si confrontavano,
con la moderazione del presentatore e delle telefonate da casa, su un argomento
scottante. La struttura del programma rappresentò un’innovazione senza uguali nel
mondo arabo, se consideriamo che in qualsiasi televisione mediorientale vigeva il
rispetto dei leader, il silenzio su argomenti scabrosi e l’assenza di dibattito televisivo;
anche la scelta dei temi di discussione non fu libera da critiche, dato il loro alto livello
provocatorio: “gli Hezbollah sono un movimento politico di resistenza o terroristico?”;
“La presenza militare USA nel Golfo porta più democrazia o più violenza?”; “Lo
scandalo americano di Abu Ghraib è solo un esempio di “trattamento a cinque stelle”
paragonato alle pratiche in uso nelle carceri arabe?” (Della Ratta (2005:125)). A
questo scenario, già abbastanza compromettente, si aggiungeva anche la conduzione di
Al Kasim, il quale non perdeva mai l’occasione di aderire al dibattito agitando gli
animi; numerosi furono, infatti, gli scandali provocati da questo programma: nel 1998,
una puntata dedicata alla Giordania indispettì il governo giordano, a tal punto da
ordinare la chiusura degli uffici di Al Jazeera, ad Amman, che rimasero inattivi per
quattro mesi, in attesa di una lettera di scusa ufficiale dal Qatar, mai arrivata;
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seguirono altri numerosi scandali che provocarono rotture diplomatiche con il Qatar e
la chiusura degli uffici della rete in molti paesi interessati .
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“More than One Opinion”, condotto da Haddad: seguiva perlopiù lo stesso schema di
“Opposite Direction”, con ospiti in studio che dibattevano su un argomento caldo della
settimana; a ravvivare ulteriormente il dibattito, era ancora una volta la schiettezza del
presentatore che non adottava mezze misure; famosa fu, per esempio, l’intervista a
Tony Blair, nella quale, all’affermazione del premier inglese «la versione
fondamentalista dell’Islam di bin Laden è lontana anni luce dalla realtà», Haddad
rispose «Ma non è forse compito dei musulmani assicurarsi di questo, piuttosto che del
mondo cristiano occidentale?».
Un’altra tipologia di programma prediletta da Al Jazeera, in accordo con la sua filosofia
editoriale, furono le trasmissioni di approfondimento tra cui:
“Islamic Law and Life”, condotta dal giornalista Mahar Abdallah: era una trasmissione
in onda ogni domenica sera che trattava l’applicazione dell’Islam alla vita quotidiana
con un ospite fisso, Sheikh Yusuf Al Qaradawi; quest’ultimo è una personalità di
grande prestigio nel mondo arabo, grandissimo esperto dell’Islam cacciato dal suo
paese, l’Egitto, a causa della sua appartenenza all’organizzazione dei Fratelli
Musulmani . Nella sua trasmissione sulla rete qatarina, si proponeva di affrontare
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alcune problematiche quotidiane legate all’Islam, come, per esempio, le modalità di
comportamento di un musulmano in Francia davanti alla legge che vietava l’utilizzo
32 In alcuni stati del Golfo vigeva, addirittura, il divieto ai giornalisti di Al Jazeera di operare all’interno dei
confini nazionali: in Kuwait, i provvedimenti intralciarono la copertura della seconda guerra del Golfo nel 2003;
in Iraq, l’Autorità del governo provvisorio iracheno decretò dal 2004 la sospensione perenne delle attività della
rete; e ancora, in Arabia Saudita, al canale venne impedito di seguire lo hajj, il classico pellegrinaggio annuale
compiuto dai musulmani alla Mecca, almeno fino al 2008 quando le autorità governative dei due paesi
riallacciarono i rapporti diplomatici, ecc. Cfr. Morigi (2011: 36).
33 A prescindere dal suo esilio, Al Qaradawi fu uno dei personaggi più rivoluzionari nel mondo arabo, ma anche
il più affascinante grazie ad alcune dichiarazioni come: la condanna degli attentati dell’11 settembre, il disprezzo
della popolazione ebrea giustificando il comportamento di Hitler, l’incitamento ad uccidere i militari britannici e
americani in Iraq, l’accusa al cartone animato dei Pokémon di trasmettere simboli quali la stella a sei punte,
emblema dei sionisti, dei massoni e dello Stato di Israele, ecc. cfr. Della Ratta (2005: 128) – Morigi (2011:33).
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del velo nei luoghi pubblici, o sui modi di relazionarsi con gli stili di vita e le culture
delle società ospitanti per i musulmani della diaspora.
“Top Secret”, condotto dal giornalista egiziano Yosri Fouda, ex dipendente della BBC
Orbit Arabic Service: era una trasmissione che si occupava di giornalismo
investigativo, proponendo una serie di reportage che svelano verità nascoste su alcuni
avvenimenti.
E ancora: “Without Borders” che prevedeva un’intervista faccia a faccia con un
personaggio politico di grande spicco, “Weekly Fire” che proponeva un dibattito sulle
notizie più esilaranti della settimana, “Guest and Issue”, programma
d’approfondimento d’attualità, “From Washington”, programma d’approfondimento in
diretta dalla capitale USA e “For Women Only” che ospitava in studio donne di
estrazione politico e sociale diversa per dibattere su temi che andavano dalla
situazione femminile nel mondo arabo, alla poligamia, al sesso, alla famiglia e ai
matrimoni misti con altre religioni.
Infine, anche l’apertura di uffici di corrispondenza in tutto il mondo, in particolare nelle zone
di crisi, fa parte di una strategia editoriale mirata all’informazione: nel 2000, la rete inaugurò
il suo primo ufficio a Kabul, in un Afghanistan controllato dai talebani, dove la CNN aveva
rifiutato di operare, ma prima ancora di Kabul, furono aperti gli uffici della Palestina, grazie
ai quali Al Jazeera riuscì a diventare la televisione leader nell’informazione sugli avvenimenti
della seconda Intifada palestinese.
Per la prima volta nella storia mediatica mediorientale, era proprio un’emittente araba che
raggiungeva le case di tutta la regione a raccontare ciò che realmente stava succedendo in
territorio palestinese, mirando a mantenere una posizione imparziale, nonostante il
coinvolgimento emotivo che lega gli operatori di Al Jazeera alle vicende.
Le conseguenze furono sconvolgenti: i racconti della rete televisiva qatarina suscitarono nella
popolazione grandi agitazioni, infatti migliaia di persone scesero nelle piazze di tutta la
regione, al fianco dei palestinesi, per convincere i propri governi a prendere dei seri
provvedimenti nei confronti degli israeliani. Sebbene Al Jazeera non avesse fatto nulla per
aizzare la folla contro gli israeliani, l’effetto fu lo stesso: per la prima volta, gli arabi, che
conoscevano le vicende palestinesi, ma non avevano mai avuto la possibilità di vederne le
immagini con i propri occhi, si sentirono parte di una sola storia sostenendo la Palestina.
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Si raggiunse, così, quel panarabismo che nacque con Nasser, negli anni ’60, come
un’ideologia politica, e divenne, col passare degli anni, un progetto mediatico rimasto
irrealizzato fino all’avvento di Al Jazeera.
Un’altra conseguenza importante delle narrazioni sulla guerra palestinese interessarono la
scena internazionale: infatti la rilevanza della rete satellitare araba venne riconosciuta anche
dal governo americano e dalla BBC che la utilizzò come fonte regolare per quanto riguardava
le notizie dal Medio Oriente.
Al Jazeera iniziò così a vendere immagini esclusive alle televisioni di tutto il mondo.
La fama globale della rete arrivò, però, dopo gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 e, in
particolare, il 7 ottobre dello stesso anno, con la trasmissione di un video-messaggio di Bin
Laden; le immagini esclusive del responsabile dell’attentato alle Torri Gemelle, furono
ritrasmesse dalle televisioni di tutto il mondo con il marchio di Al Jazeera che, da quel
momento, divenne a tutti gli effetti un’emittente internazionale.
La ritrasmissione del segnale satellitare di Al Jazeera iniziò a raggiungere tutti e cinque i
continenti e, nel 2006, fu inaugurato anche il canale Al Jazeera English che trasmetteva solo
in lingua inglese.
Quando gli americani decisero di bombardare l’Afghanistan, Al Jazeera era l’unica rete al
mondo ad avere la possibilità di documentare gli avvenimenti, grazie alla presenza in loco del
valido giornalista Allouni e al possesso di un ufficio proprio a Kabul (Della Ratta 2005: 135).
Era la prima volta nella storia del broadcast mondiale che una televisione satellitare non
occidentale e non in lingua inglese avesse il monopolio della narrazione di un conflitto.
3.3.2 Al Jazeera e il Qatar
La nascita di Al Jazeera ha significato molto per il Qatar che, da paese anonimo, si trovava
d’un tratto proiettato sulla scena mondiale.
In molti furono, infatti, a pensare che l’invenzione della rete televisiva all-news fosse solo una
strategia di promozione del Paese, e, non a torto, se