La spalla del nuotatore, Tesi
Anteprima
ESTRATTO DOCUMENTO
Introduzione
Il nuoto è uno sport conosciuto e praticato in tutto il mondo ad ogni età.
Il nuotatore necessita di determinate caratteristiche fisiche e tecniche per svolgere nel
miglior modo la sua attività, e per raggiungere alti livelli di performance.
Nello sport a qualsiasi livello si verificano da sempre e sempre più frequentemente infortuni
di vario genere, che colpiscono prioritariamente muscoli, tendini, legamenti e/o articolazioni
che vengono maggiormente sollecitate nello sport in questione.
Le cause sono molteplici, sia nei traumi diretti (contusione), causati da un contatto con un
agente esterno (rari nel nuoto), sia soprattutto nei traumi indiretti, come strappi, contratture,
stiramenti, dove il perché dell’accaduto può essere collegato a conflitti di forze muscolari
nel soggetto, poiché vi è un uso improprio di attrezzi sportivi o a causa di allenamenti
eccessivi e/o inadatti.
La maggior parte delle problematiche, nel nuoto, dipendono da una tipologia di allenamento
inesatto, spesso non specifico o eccessivo per alcuni distretti muscolari, mancato
allungamento muscolare e protocollo preventivo per le strutture più a rischio.
Il problema alla spalla nei nuotatori è da sempre riconosciuto come uno dei più frequenti
disturbi, infatti, se pur per breve tempo, ogni atleta d’elìte ha sofferto di disturbi almeno una
volta nella propria carriera.
Dopo aver consultato, confrontato e rielaborato diverso materiale di studio si potrà capire
come determinati fattori possano incidere sull’insorgenza di alcune patologie; da qui porre
le basi per intervenire attraverso programmazioni di prevenzione, mettendo in luce come
l’esercizio fisico possa essere di supporto per le varie problematiche. 4
Capitolo I La spalla
La spalla rappresenta, in tutto il corpo umano, l'articolazione dotata di maggiore mobilità.
La sua struttura anatomica, infatti, consente tre gradi di movimento, e permette così di
svolgere anche il movimento di circonduzione. La grande escursione di movimento che
questa articolazione possiede, contestualmente ad altri fattori, la rende però anche molto
vulnerabile alle lesioni.
1.1 Anatomia e Fisiologia della spalla
La spalla è composta da diversi elementi anatomici che ne permettono il corretto
funzionamento. Le strutture ossee sono rappresentate dall'omero, dalla scapola e dalla
clavicola.
Il funzionamento della spalla dipende dall'intervento coordinato di più articolazioni che la
rappresentano. La sua funzionalità è garantita sia dalla forza contrattile generata dai muscoli,
sia dalla resistenza passiva delle strutture capsulari e legamentose, che attraverso i segmenti
ossei creano le necessarie leve biomeccaniche utili al movimento. Le articolazioni che
rappresentano la spalla sono le seguenti (fig.1):
-Acromion-Claveare
-Sterno-Claveare
-Scapolo-Toracica
-Gleno-Omerale
-Sotto-Deltoidea
Kapandji definisce '' vere'' tre delle articolazioni
che costituiscono la spalla, mentre le altre due
sono definite ''false''. Quelle ''false'' vengono
chiamate tali perchè non presentano veri e propri
collegamenti articolari tra i vari capi ossei, ma
creano uno scivolamento tra un osso e l'altro; tale
movimento si realizza attraverso il tessuto Figura 1-La spalla
muscolare e connettivale che è interposto tra le
strutture. 5
Le articolazioni ''vere'' sono:
-Gleno-Omerale
-Acromion-Claveare
-Sterno-Claveare
L'articolazione che desta più interesse dal punto di vista funzionale e patologico è la Gleno-
Omerale, anche se è necessario sottolineare che un buon funzionamento della spalla è reso
possibile solo dal sincronismo di tutte e cinque le articolazioni che la rappresentano.
L'equilibrio della testa dell'omero rispetto alla glena è garantito dalle strutture anatomiche di
destabilizzazione passiva ed attiva (Tab.1).
Stabilizzatori passivi Stabilizzatori attivi
Legamenti Gleno-omerali (GOS,GOM,GOI) Sovraspinato
Legamento Coraco-omerale Sottospinato
Capo lungo del bicipite (CLB) Sottoscapolare
Cercine Piccolo Rotondo
Tabella 1-Gli stabilizzatori dell’articolazione gleno-omerale
Poichè l'articolazione Gleno-Omerale non è rappresentata da un incastro meccanico che ne
garantisce la stabilità, la testa omerale, in assenza delle strutture attive e passive, in linea
teorica tenderebbe a cadere per gravità.
Gli stabilizzatori passivi, oltre a contribuire alla stabilità, sono in grado di ammortizzare i
carichi che si trasmettono all'articolazione in conseguenza del movimento. Questi sono
rappresentati da:
-Legamento gleno-omerale-superiore (GOS): ha la funzione di stabilizzare anteriormente
la testa omerale, ne limita l'extrarotazione e la traslazione inferiore quando il braccio è
addotto al fianco.
-Legamento gleno-omerale-medio (GOM): ha la funzione di stabilizzare anteriormente la
testa omerale e ne limita l'extrarotazione quando il braccio si trova in posizione di circa 45°
di abduzione.
-Legamento gleno-omerale-inferiore (GOI): ha la funzione di stabilizzatore dinamico
antero-inferiore, soprattutto quando il braccio si trova in una posizione di 90° di abduzione
ed extrarotazione. Questa struttura mostra una certa somiglianza con un'amaca, ancorata da
una parte alla glena e dall'altra alla testa omerale. La similitudine non è solo strutturale, ma
6
anche funzionale: quando il braccio si trova in abduzione ed extrarotazione, il GOI sostiene
la testa omerale come se fosse appoggiata su un'amaca.
-Legamento Coraco-Omerale: ha la funzione di sostegno passivo per evitare la caduta della
testa omerale verso il basso con braccio addotto al fianco. Il più resistente dei legamenti della
spalla, esplica viceversa la sua azione di contenzione nei movimenti di extrarotazione
compresi tra 0° e 60° di abduzione.
-Capo lungo del bicipite (CLB): con la sua inserzione sul tubercolo glenoideo, ha la duplice
funzione di componente depressoria passiva di stabilizzazione anteriore della testa
dell'omero.
Il capo lungo del bicipite, per fare una similitudine, svolge la stessa funzione di un tirante
che tiene a terra una mongolfiera. Se la testa dell'omero, che in questo esempio è
rappresentata dalla mongolfiera, dovesse salire verso l'alto in modo maggiore, la trazione sul
tirante verrebbe incrementata. In un primo momento si avrebbe solo uno stiramento del
tirante (CLB), ma se la situazione rimanesse invariata, con ogni probabilità si arriverebbe
addirittura ad una rottura dello stesso. Ugualmente, quando i muscoli della cuffia dei rotatori
non tengono più depressa e centrata la testa omerale, essa tenderà a salire verso
l'articolazione acromion-claveare. Le tensioni di questa risalita si andranno a scaricare
sull'apparato di contenzione passiva, in particolare sul capo lungo del bicipite. La continua
forza tensionale che si scarica su quest'ultimo tenderà, con il tempo, a trasformare la sua
struttura tubolare in una più schiacciata e debole.
-Cercine (anello fibro-cartilagineo): aderisce al bordo della cavità glenoidea ed ha la
funzione di aumentare la superficie di congruenza della glenoide con la testa omerale [1].
Nonostante la presenza del cercine permane tuttavia una netta discrepanza fra cavità
glenoide e testa omerale in favore di quest'ultima secondo un rapporto di 1:3 [2].
Gli stabilizzatori attivi sono rappresentati dal complesso muscolo-tendineo della spalla
chiamato cuffia dei rotatori.
La cuffia dei rotatori rappresenta lo stabilizzatore principale della spalla. Questa struttura è
rappresentata da quattro muscoli che avvolgono la testa omerale come una vera e propria
cuffia. Essi sono: il sovraspinato, sottospinato, piccolo rotondo e sottoscapolare.
A circa 15 mm dall’inserzione sull’omero i tendini extrarotatori si fondono tra loro; a tale
livello la loro separazione è impossibile. I tendini della cuffia ruotano l’omero rispetto alla
scapola stabilizzando la testa (compressione) contro la glena e sono coinvolti nel
meccanismo di “bilanciamento muscolare”. Infatti i muscoli della spalla per la loro vasta
7
inserzione e reciproca connessione, generano movimenti rotazionali. Se si vuole compiere
un movimento senza rotazione, occorre una parziale neutralizzazione di alcuni muscoli. Ad
esempio se si vuol compiere un movimento di intrarotazione, il muscolo grande dorsale deve
essere neutralizzato dalla cuffia e dal deltoide perché altrimenti genererebbe anche un
movimento di adduzione (fig.2). - Il sovraspinato: è un muscolo
fusiforme che origina nella fossa
sovraspinata e si inserisce sul
trochite; innervato dal nervo
sovrascapolare. Il muscolo è formato
da fibre superficiali e profonde. Le
prime decorrono longitudinalmente,
le altre obliquamente. Il sovraspinato
ha numerose funzioni cinematiche; a
causa della sua posizione vicino la
testa omerale, ha un piccolo braccio
di momento. Agisce spingendo in
-
Figura 2 Muscoli posteriori della spalla basso e centralizzando la testa
omerale e contribuisce all’elevazione omerale insieme con il deltoide ed altri muscoli. Esso
gioca un ruolo chiave nella stabilizzazione della testa all’inizio dell’elevazione e
dell’abduzione. Inoltre poiché il sovraspinato può tensionare il complesso cuffia-capsula
superiore, resiste alla sub-lussazione inferiore dell’omero, contribuendo alla compressione
della testa omerale nella cavità glenoidea, garantendo la stabilità dell’articolazione.
- Il sottospinato: origina dalla fossa sottospinata e si inserisce sul trochite; innervato dal
nervo sovrascapolare. E’ un muscolo bipennato. L’azione primaria del sottospinoso è quella
di ruotare esternamente l’omero. Contribuisce inoltre alla stabilità articolare formando una
barriera alla traslazione posteriore e comprimendo la testa omerale nella cavità glenoidea.
- Il piccolo rotondo è il più piccolo ed origina nella parte inferiore e laterale della fossa
sottospinata e si inserisce sul trochite; innervato dal nervo ascellare come il muscolo
deltoide. Agisce come rotatore esterno dell’omero e si oppone, insieme al sottospinato, alla
lussazione anteriore.
- Il sottoscapolare è il più grande e potente dei muscoli della cuffia e costituisce la porzione
anteriore della cuffia dei rotatori; origina dal margine mediale della scapola, che comprende
quasi tutta la scapola anteriore e si inserisce sul trochite; innervato dal muscolo
8
sottoscapolare. E’ un muscolo multipennato, ricco di fibre collagene disposte parallelamente
nello strato superficiale e disordinatamente nello strato profondo. Per gli intimi rapporti che
contrae con l’articolazione gleno-omerale, il sottoscapolare è considerato uno stabilizzatore
passivo dell’articolazione, nel caso di sollecitazioni sub-lussanti anteriormente la testa
omerale. E’ prevalentemente un’intrarotatore ma contribuisce, insieme al muscolo deltoide,
all’elevazione della scapola [1] (fig.3).
Ulteriori muscoli sono coinvolti nei movimenti della spalla. Essi sono: il deltoide, il grande
pettorale, il grande dorsale ed il grande rotondo.
- Il muscolo Deltoide è di forma conica ed è il più largo dei muscoli scapolo-omerali; origina
con tre fasci:
-anteriore, dal bordo anteriore del terzo laterale della clavicola;
-medio, dall’acromion;
-posteriore, dal margine inferiore della spina della scapola.
Si inserisce sulla tuberosità deltoidea dell’omero. Morfologicamente il fascio medio ha
struttura bipennata e i due fasci posteriore e anteriore sono fusiformi. La principale azione
del muscolo deltoide è l’abduzione dell’omero effettuata da tutti e tre i fasci dove il medio
dà la direzione e il massimo della
forza, l’anteriore e il posteriore
sono fra loro antagonisti avendo
funzione prevalentemente
fissatrice. Il fascio anteriore
partecipa alla flessione e alla
intrarotazione della diafisi
omerale; il posteriore partecipa
invece all’estensione e alla
rotazione esterna. In entrambi i casi
la testa omerale si presenta,
rispettivamente, retro-posta o ante-
Figura 3-Muscoli anteriori della spalla posta. Importante risulta anche
l’azione statica di sinergismo agonista dei fasci superiore e traverso del muscolo trapezio
con il muscolo medio del muscolo deltoide nell’evitare lo slittamento verso il basso
dell’omero quando si sostengono pesi elevati o medi per tempi lunghi. Secondo un’antica
classificazione di Fick, il muscolo deltoide, che è da considerarsi primo abduttore (in termini
di forza) presenta in sezione trasversale una disposizione a raggiera, dove fra i fasci che
9
originano dalla spina della scapola, i più mediali avrebbero, sempre, funzione abduttrice
mentre gli altri agirebbero, prevalentemente da adduttori e flessori.
-Il muscolo Grande Pettorale presenta tre diverse origini: il ventre principale proviene dalla
superficie esterna dello sterno e delle cartilagini costali 2°-7°(parte sternocostale); un'altra
porzione deriva dal terzo mediale della clavicola (parte clavicolare), ed infine, un tratto
muscolare piuttosto sottile origina dalla lamina anteriore della guaina del muscolo retto
dell'addome (parte addominale). La funzione del muscolo grande pettorale consiste, quando
tutti i fasci si contraggono, in uno spostamento in avanti e verso la linea mediana del braccio,
come ad esempio nel nuoto a rana. Gli atleti che praticano questa disciplina presentano infatti
una muscolatura toracica particolarmente sviluppata. Quando il braccio è sollevato
lateralmente, il grande pettorale diventa un importante adduttore, poichè, in tal caso, sia nei
movimenti di getto che in quelli di lancio e spinta esso viene ad operare partendo da una
situazione di estensione.
-Il muscolo Grande Dorsale si trova immediatamente sotto la cute del dorso, ed è il muscolo
più esteso del corpo. Trae origine, con un'ampia e robusta aponeurosi, parzialmente ricoperta
in alto dal muscolo trapezio, dai processi spinosi delle ultime sei vertebre toraciche, dai
processi spinosi delle vertebre lombari e sacrali, nonchè dalle ultime tre o quattro coste;
dall'origine il muscolo si dirige verso l'esterno passando da sopra l'angolo inferiore della
scapola e si applica alla parete posteriore della cassa toracica, circondando con un giro di
vite il muscolo grande rotondo. Infine, esso si inserisce, tramite un tendine piatto, sulla cresta
della piccola tuberosità dell'omero, dopo che i suoi fasci si sono incrociati come avviene nel
muscolo grande pettorale. Per quanto riguarda la funzione, il muscolo grande dorsale chiude,
al muscolo grande rotondo, la cavità ascellare sul lato posteriore, formando la piega ascellare
posteriore (pilastro posteriore). Quando le sue fibre si contraggono abbassa il braccio alzato,
portandolo, con una leggera pronazione, in direzione dorsale. Questo movimento ha luogo
quando si proietta il braccio in avanti negli esercizi di lancio e tiro.
-Il muscolo Grande Rotondo ha la forma di un prisma a tre facce. Trae origine dalla faccia
posteriore della scapola, nella zona dell'angolo inferiore e, dopo essersi portato in alto e
lateralmente, si inserisce, con un robusto tendine terminale, di circa 4 cm di larghezza, sulla
cresta della piccola tuberosità dell'omero, subito dietro all'inserzione del muscolo grande
dorsale; il suo tendine si fonde, in parte, con il tendine di quest'ultimo. Il muscolo grande
rotondo è contemporaneamente adduttore e pronatore; adduce, cioè il braccio, portandolo
con una leggera pronazione in direzione dorsale e mediale. E' ciò che avviene quando, ad
esempio, si incrociano le braccia sulla schiena. Esso modifica di volta in volta la posizione
10
dell'omero rispetto alla scapola, al contrario del muscolo grande dorsale il quale, coadiuvato
dal muscolo grande pettorale, regola la posizione della parte libera dell'arto superiore rispetto
al tronco[2].
Il riepilogo delle molteplici funzioni dei muscoli dell'articolazione della spalla dovrebbe
rendere evidente la complessa coordinazione funzionale esistente fra gli arti e il tronco nel
compiere movimenti in apparenza semplici. Movimenti nell'articolazione della spalla
vengono solitamente riferiti al piano della scapola, con l'arto superiore in posizione di riposo
lungo il corpo. 11
Capitolo II Biomeccanica
Per poter comprendere cosa vi è alla base dei nostri sforzi, dei miglioramenti ed anche degli
insuccessi, è necessario capire che nuotare implica uno spostamento in un ambiente ''diverso''
da quello in cui l'uomo è abituato a muoversi, dove è richiesto un adattamento ed una
propulsività differente.
2.1 Idrodinamica
La locomozione in acqua
Col termine locomozione si intende la capacità di spostarsi all’ interno di un elemento ed i
mezzi utilizzati a tal fine.
La massa entro la quale il nuotatore cerca di spostarsi, è soggetta alle stesse leggi naturali
cui siamo sottoposti sulla terra: la massa liquida su cui un nuotatore cerca di esercitare una
spinta, viene messa in movimento nella direzione e nel senso della spinta, anche se il liquido
è dotato di una certa inerzia. Il nuotatore deve quindi penetrare attraverso l’acqua (funzione
proiettiva) ed allo stesso tempo spingersi (funzione propulsiva). Per fare questo, l'atleta, deve
vincere la resistenza che l'acqua ha sul nostro corpo: l’acqua infatti impedisce ma permette
al tempo stesso di avanzare. La resistenza che l’acqua offre all’avanzamento presenta quindi
una complessità dovuta sia alla duttilità dell’elemento e all’allineamento del corpo in acqua
sia alla galleggiabilità.
Dunque il corpo di chi nuota è sospeso, mantenuto dall’inerzia del “mezzo” in cui galleggia:
le azioni motrici pertanto non devono né mantenere né elevare il baricentro, come nella
marcia. La propulsione, generata dal movimento di gambe e braccia, deve superare la
resistenza opposta dall’acqua e l’inerzia del corpo. Ma rispetto agli animali, come ad
esempio una foca o un delfino, l’uomo ha una minore superficie di contatto propulsiva con
l’acqua, in quanto limitata esclusivamente ai nostri arti che costituiscono un’area d’impatto
decisamente inferiore rispetto alle pinne degli animali.
È perciò importante limitare al massimo gli errori nella tecnica di nuotata e rendere il nostro
corpo il più idrodinamico possibile, in modo che si disallinei il meno possibile durante la
creazione del movimento propulsivo. Per conservare il più a lungo possibile alcuni benefici,
il nuotatore, nel momento in cui impatta con l’acqua (tuffo, virata), deve assumere la forma
a “proiettile”: assumere cioè una forma idrodinamica, tale da tonificare il proprio corpo,
12
senza che questo sia deformato e favorirne così lo scivolamento. Sappiamo che un nuotatore
deve spostarsi sotto la superficie dell’acqua, infatti un corpo che si sposta alla velocità di 9
km/h, se non completamente immerso, trova una resistenza del 30% in più da vincere,
consumando il doppio dell’energia.
L'obiettivo è quello di essere veloci consumando meno energie possibili, ed è per questo che
si pone attenzione maggiormente sulla tecnica che sulla forza.
Il problema della locomozione consiste nel conservare la velocità di spostamento che si ha
al momento in cui si smette di assumere la posizione a ''proiettile", per diventare propulsore.
Le sequenze che avvengono fuori dall’acqua in maniera intermittente e parziale, hanno scopi
diversi: garantire carburante (aria), raccogliere informazioni visive per lo spostamento,
infine permettere il recupero delle braccia.
Nell’acqua invece vige il principio per il quale si ottiene una maggiore efficienza, spostando
una grande quantità di acqua per un breve tratto. In base a ciò i movimenti elicoidali
consentono al nuotatore di ottenere un‘efficienza maggiore rispetto ai movimenti lineari.
Negli ultimi anni i miglioramenti di maggior rilievo si sono avuti lavorando anche
sull’aumento della propulsione; fermo restando che il fattore principale di miglioramento è
dipeso dalla tecnica, l’aumento specifico della forza e della potenza muscolare, consente
indubbiamente al nuotatore di esercitare una maggiore forza propulsiva. Oggi infatti quasi
tutti gli agonisti eseguono esercizi supplementari atti a migliorare la forza resistente e la
forza rapida.
Il condizionamento fisico svolge un ruolo fondamentale sia nella riduzione della resistenza
passiva che nell’aumento della propulsione; consente al nuotatore di mantenere la
propulsione a livello elevato e la resistenza passiva al livello più basso possibile nel corso
della gara; quando sopraggiunge la fatica, il corpo del nuotatore perde in idrodinamicità.
Pertanto tanto più bravo è l’atleta a mantenere un’elevata propulsione riducendo la
resistenza, tanto migliore sarà la sua performance. Da quanto detto finora, si evince che la
velocità di un nuotatore è quindi il risultato di due forze: la resistenza, opposta dall’acqua
che deve essere spostata, e la propulsione, che spinge in avanti ed è generata dalla
contrazione muscolare. 13
Resistenza
Sono stati individuati tre tipi di resistenza in acqua (fig.4):
1.Resistenza frontale, è la resistenza
che si esercita sempre in direzione
opposta all'avanzamento e dipende
dalla sezione frontale che il nuotatore
espone all'acqua. Come intuibile, i
profili che i corpi assumono in acqua
cambiano costantemente durante il
Figura 4-Tipi di resistenza gesto tecnico;
2. Attrito superficiale, è la resistenza del fluido aderente al corpo; la sua influenza aumenta
proporzionalmente alla velocità del corpo.
Quando i nuotatori si muovono in avanti, l'attrito tra la pelle e l'acqua fa sì che alcune
molecole vengano trasportate in avanti insieme al nuotatore. Con il movimento si crea un
legame tra queste molecole e il flusso laminare adiacente che si sposterà in avanti assieme
al nuotatore. Lo scontro tra le molecole che si legano attorno al corpo del nuotatore e il flusso
delle correnti laminari che egli incontra nel suo avanzamento, dà origine alla turbolenza.
Appare chiaro come superfici lisce diano minore attrito di quelle ruvide e questo può
spiegare perchè ormai è largamente diffuso l'uso della tuta da gara e della depilazione prima
di competizioni importanti, anche se a questa ultima pratica è più legata l'aumento della
sensibilità cinestesica dei nuotatori.
3. Resistenza di vortice, è causata dall’acqua che non riesce a defluire agevolmente dietro
parti del corpo scarsamente idrodinamiche causando la caratteristica onda. La resistenza che
il nuotatore incontra è direttamente proporzionale alla quantità di turbolenza che crea, e la
sua velocità di avanzamento si riduce in base al differenziale di pressione tra le aree di
turbolenza generate. Maggiore è la turbolenza creata, maggiore è il rallentamento del
nuotatore.
Uno dei fattori responsabili della turbolenza è la posizione disallineata del corpo in acqua.
Movimenti laterali eccessivi del corpo aumentano sia la resistenza frontale che di vortice.
Propulsione
Alla base della nostra propulsione in acqua, vige la terza legge della dinamica, secondo la
quale “ogni azione genera una reazione uguale e contraria”. È per questo motivo che, quando
14
si esercita una spinta all’indietro con le mani, il nostro corpo progredisce in avanti. La
capacità di mantenere la posizione del corpo più elevata dipende infatti dalla capacità di
galleggiamento e dalla maggiore velocità. In assenza di questi due fattori, una posizione alta
comporta un maggiore dispendio energetico, dovuto all’aumentata resistenza (per i
movimenti superflui) ed alla minore idrodinamicità delle parti inferiori del corpo.
Risulta quindi evidente quanto sia importante il giusto allineamento del corpo. Non meno
importante è la fase del recupero che in tre dei quattro stili avviene fuori dall’acqua e che
influenza sia l’efficacia che la velocità di nuotata. Un recupero fatto male può aumentare la
resistenza frontale e di vortice. Un recupero ampio (fig. 5 A) nel crawl in senso orario,
provoca un movimento compensatorio dei piedi in senso opposto, antiorario, che è
responsabile della lateralità dei movimenti. Per questo nel
dorso, la lateralità va minimizzata riducendo il raggio di
rotazione e recuperando immediatamente sopra la testa.
Nel crawl si deve ridurre il raggio di rotazione durante il
recupero del braccio, sollevando il gomito verso l’alto e
portando la mano all’interno (fig. 5 B).
Nella farfalla invece l’effetto negativo causato dal recupero
di un braccio, viene neutralizzato dallo stesso effetto
ottenuto con l’altro braccio: pertanto in questo stile il
problema del movimento laterale non esiste.
La rana, infatti, è l’unico stile in cui il recupero avviene
sott’acqua, ma come nella farfalla esso avviene
Figura 5-Recupero del braccio simmetricamente per le braccia, ed in maniera pressoché
alternata fra braccia e gambe.
Principio di Bernoulli
L’effetto Bernoulli, o sostentamento, si potrebbe considerare applicato solo ai movimenti
verso l’alto, ma in realtà esso si applica ai movimenti in tutte le direzioni. Se infatti
consideriamo le mani di un nuotatore come delle eliche di un motoscafo o la pagaia di una
canoa, il contributo dell’effetto sostentamento risulta determinante. Il movimento dell’elica
in questo caso è garantito dal movimento delle braccia che descrivono una “S” nella fase
subacquea e questo è tanto più accentuato nei ranisti rispetto ai liberisti. Nel crawl infatti si
ritiene che ai fini di una propulsione efficace, sia richiesta una maggiore potenza e resistenza
15
per vincere la resistenza opposta dall’acqua, piuttosto che l’effetto sostentamento. È
importante a tal fine comprendere che la pressione di un fluido diminuisce con l’aumento
della velocità di flusso.
Per quanto detto finora, se il nuotatore spinge con la mano in linea retta, si ritrova a muovere
una piccola quantità di acqua per un lungo tratto con accelerazione elevata, ma una volta che
la mano ha iniziato a spostarsi in direzione posteriore, il nuotatore ne ricava una scarsa forza
di trazione. Perciò deve muovere la mano seguendo una traiettoria elicoidale, o curvilinea,
in modo da prendere acqua sempre ferma. Un aspetto importante della posizione della mano,
se si vuole trarre il massimo vantaggio, è l’inclinazione: pur variando l’inclinazione nelle
diverse fasi di trazione, si ritiene che l’angolo è di circa 30-40° rispetto al percorso della
mano nell’acqua nel crawl e nel delfino e 90° nel dorso. Un elemento importante in questo
contesto è che il nuotatore mantenga l’inclinazione e l’angolazione critica anche quando
affaticato, in modo da ricavarne il massimo vantaggio. Studi telemetrici e riprese subacquee
hanno evidenziato che con l’affaticamento, il nuotatore perde l’inclinazione corretta. I
nuotatori di successo sono quindi quelli in grado di mantenere una corretta inclinazione.
Un altro aspetto importante che influisce sulla prestazione è l’accelerazione. Alcuni studi
hanno messo in risalto la velocità della mano con la velocità media e cercando di scoprire se
la capacità di produrre una velocità elevata della mano possa essere insegnata a nuotatori
che non ne sono dotati. Se ne è concluso in maniera pressoché incontrovertibile che i
nuotatori bravi, apparentemente accelerano i loro movimenti, il che è un fattore importante
che migliora le prestazioni.
Nei nuotatori mediocri si è evidenziato che la velocità impressa dalla mano non arriva al
60% della velocità impressa da nuotatori di alto livello. Infatti essi presentano:
- Velocità della mano troppo elevata in fase di trazione
- Velocità troppo bassa al termine della trazione
- Velocità irregolare con due o più flessioni nella curva
- Buono schema di velocità con una mano, scarso con l’altra
2.2 Biomeccanica della spalla
La mobilità della spalla è superiore a quella delle altre articolazioni. Studi cinesiologici
hanno rilevato che l’arco di movimento in flessione è compreso tra 0° e 180°; quello di
intra/extrarotazione è di circa 155° e quello di rotazione sul piano orizzontale è di circa 170°.
La possibilità di un così ampio range di movimenti è data dalla sincronia dell’articolazione
16
gleno-omerale e scapolo-toracica. Il movimento del cingolo scapolare implica una reciproca
coordinazione tra le articolazioni, sterno-clavicolare, acromion-clavicolare, gleno-omerale e
scapolo-toracica, gestita dall’azione di circa trenta muscoli. Il gruppo di Inman et coll. [1] è
stato uno dei primi a misurare il ruolo della cuffia dei rotatori nella funzione della spalla.
Avendo trovato che i muscoli della cuffia sono tutti attivi durante la maggior parte dei
movimenti della spalla, hanno rafforzato il concetto delle coppie di forze attorno
all’articolazione gleno-omerale. Utilizzando questo concetto, i gruppi di muscoli lavorano
insieme per bilanciare l’un l’altro le azioni non necessarie per produrre l’effetto desiderato.
Per esempio, i muscoli della cuffia deprimono e stabilizzano la testa omerale nel momento
in cui il deltoide agisce per elevare il braccio. Quando una di queste forze è eliminata da una
lesione o paralisi, viene perso questo accoppiamento e ne risulta una meccanica anormale.
Per studiare questi concetti sono stati utilizzati dei modelli di spalla matematici, analitici o
da cadavere. Questi studi suggeriscono che a livello della spalla possono essere generate
forze molto significative, dell’ordine del peso corporeo, a causa del lungo braccio di leva
dell’estremità superiore. Anche se variano le tecniche di simulazione, i risultati trovati tra
questi modelli sono simili. Viene confermata l’importanza del sovraspinoso all’inizio
dell’abduzione. Se ad es. viene simulata una lesione del sovraspinoso (con la cuffia ancora
intatta) la forza richiesta dalla porzione centrale del deltoide per abdurre il braccio nel piano
scapolare, aumenta del 100% all’inizio dell’abduzione, ma non è affatto aumentata oltre i
90° di abduzione. La muscolatura della cuffia dei rotatori conferisce stabilità dinamica
all'articolazione gleno-omerale che è intrinsecamente instabile. Esistono oltre agli
stabilizzatori dinamici anche stabilizzatori statici che riducono lo scivolamento superiore
della testa omerale, i principali sono l’arco coraco-acromiale, il complesso capsulo-
legamentoso e l’architettura ossea. Il capo lungo del bicipite è considerato uno stabilizzatore
minore, in particolare, agisce in posizione di abduzione ed extrarotazione [2,3]. Ci sono due
tipi di “coppie di forze” stabilizzatrici dinamiche: una coppia coronale ed una trasversa. La
coppia di forza coronale è formata da deltoide e sovraspinato che contribuiscono entrambi
all’abduzione durante la quale la risultante delle forze è diretta verso la glenoide con un
meccanismo di compressione della testa nella glena che garantisce stabilità. La coppia di
forza trasversale è formata dall’infraspinato, dal piccolo rotondo e dal sottoscapolare,
l’equilibrio tra questi muscoli è fondamentale per la compressione e la rotazione concentrica
della testa omerale; questa coppia di forze diviene lo stabilizzatore principale in presenza di
lesioni della cuffia superiore. La normale funzione della spalla di fronte a una rottura della
cuffia superiore non riparata può avvenire solo se vi è un equilibrio delle due coppie di forze,
17
uno sul piano coronale e l'altra nel piano trasversale. Questo equilibrio dipende dall'integrità
funzionale della cuffia anteriore (sottoscapolare), di quella posteriore (infraspinato) e del
deltoide. Finché la coppia trasversale funziona l’articolazione rimane centrata, evitando lo
scivolamento superiore della testa omerale. Questo spiega perché individui con rotture anche
massive della cuffia dei rotatori mantengono un abduzione attiva della spalla [4,5]. Quando
c’è un’insufficienza della coppia trasversale si ha una conseguente risalita della testa omerale
[6].
2.3 Analisi biomeccanica delle nuotate
La forza propulsiva prodotta dalle principali tipologie di nuotata (crawl, dorso, farfalla e
rana) deriva sostanzialmente dalla combinazione di specifici movimenti della spalla, come
l'estensione, l'adduzione, l'abduzione e la rotazione interna ed esterna, che si realizzano
nell'acqua durante la fase di spinta [7]. Il nuotatore cerca di sospingersi oltre un determinato
punto dell'acqua piuttosto che muovere semplicemente gli arti. La mano entra in acqua
all'inizio della fase di spinta; il nuotatore dispone la mano in modo da ''afferrare'' l'acqua (la
presa). Successivamente la mano viene sospinta indietro con un movimento simile alla
remata tramite movimenti associati della spalla, del gomito, del polso e della mano. Questa
fase di spinta costituisce circa il 65% del movimento della bracciata (le braccia sono in acqua
contemporaneamente per circa un terzo del ciclo del movimento) e per questo motivo si dà
particolare importanza al potenziamento ed alla resistenza muscolare nell'allenamento dei
nuotatori (fig.6). Il rimanente 35% del ciclo della bracciata è
costituito dalla fase di recupero in cui il
braccio viene riportato nella posizione iniziale
pronto per un nuovo ciclo di nuotata. Sebbene
questa fase di recupero non dia un significativo
contributo alla propulsione del nuotatore, è
argomento di interesse crescente negli
allenatori e nei medici professionisti sportivi
dal momento che può essere un potenziale
fattore che contribuisce alla sviluppo di
problemi associati al sovraccarico del nuoto
Figura 6-Tecnica delle nuotate 18
[8,9] (fig. 7).
La fase di recupero permette al braccio del nuotatore, che sviluppa una forza consistente
durante le numerose ripetizioni del gesto atletico, l'ottimale posizionamento dell'arto che
dovrà eseguire un successivo movimento. I
muscoli responsabili della fase di recupero non
vengono generalmente considerati in maniera
prioritaria nei programmi di allenamento perchè
attualmente si dà maggiore importanza ai
muscoli responsabili della fase di spinta. E'
abbastanza prevedibile che un'alterazione nel
meccanismo di recupero della bracciata è uno
dei primi cambiamenti del movimento dovuti
Figura 7-Fase di recupero alla fatica durante prestazioni su lunghe
distanze.
Il Crawl
Il Crawl si è evoluto nel tempo nella tecnica natatoria più veloce delle quattro nuotate
competitive. Un ciclo di nuotata consiste in una bracciata, destra e sinistra, e un numero di
colpi di gambe in rapporto variabile con il ciclo di bracciata.
Altra caratteristica saliente è data dal movimento di rollio del busto, rispetto all'orizzontale,
che asseconda il movimento di entrata e distensione del braccio, oltre che a facilitare la
respirazione, che può essere monolaterale o bilaterale e in rapporti variabili rispetto alla
bracciata.
Modello di bracciata
Un singolo ciclo della nuotata presenta 6 fasi:
-Entrata ed estensione
-Downsweep
-Presa
-Insweep
-Upsweep
-Uscita e recupero 19
L' Entrata ed estensione è la fase dove la mano
entra nell'acqua quando l'altra si trova a metà della
passata subacquea. Il braccio si estende sotto la
superficie mentre il braccio opposto sta
completando la fase propulsiva. Questa fase non è
propulsiva e ha come scopo ultimo quello di
preparare la mano per la Presa, posizione ottimale
da cui iniziare la propulsione (fig.8 A)
La fase seguente è il Downsweep, dove la
funzione principale è quella di orientare le
superfici del complesso
braccio/avambraccio/mano nell'atteggiamento
migliore per applicare la prima forza propulsiva
della bracciata. Questa fase dovrebbe iniziare nel
Figura 8-Crawl momento in cui il nuotatore esaurisce la spinta
sull'acqua con il braccio opposto (fig.8 B).
Quest'ultima fase è seguita dalla Presa dove il braccio si flette all'incirca di 90° al gomito e
la mano si troverà ad una profondità di 50-70 cm, la posizione della Presa varia
considerevolmente a seconda dell'atleta. Questa fase consiste in un istante in quanto coincide
con l'inizio della fase propulsiva data dall'Insweep (fig.8 C).
La fase dell'Insweep, prima fase propulsiva, il complesso braccio/avambraccio/mano
svolgerà la funzione di spingere il volume d'acqua raccolto secondo una traiettoria
semicircolare diretta verso l'indietro e in direzione della linea mediana del corpo. In questa
fase il braccio tenderà ad intraruotare nel momento in cui si troverà al di sotto del torace per
completare la fase Insweep (fig.8 D). Nella fase finale dell'Insweep si avrà una leggera
decelerazione della forza propulsiva da cui il nuotatore introdurrà efficacemente la fase
finale.
L'Upsweep è la seconda fase e la più propulsiva, vi è un'estensione del braccio e un
movimento all'indietro, esterno e verso l'alto della mano, verso la superficie dell'acqua.
Questo movimento continua fino all'esaurimento della fase propulsiva, ovvero, al
raggiungimento della mano alla coscia, introducendo la successiva fase di Uscita e Recupero
(fig.8 E).
L' Uscita e Recupero, è una fase in cui si prepara il braccio per un nuovo ciclo di bracciata.
In questa fase la spalla esce per prima, seguita dal braccio, avambraccio e per ultima la mano
20
con il palmo rivolto verso l'interno (fig.8 F).
Nel momento in cui la mano esce, ne seguirà un'elevazione della spalla e quindi del gomito,
dove la mano sfiorerà la superficie dell'acqua e verrà fatta passare il più vicino possibile al
corpo. Quando il gomito oltrepassa la testa, si prepara all'estensione per ricominciare la fase
di Entrata (fig.8 G) [10].
Analisi muscoli coinvolti nella nuotata Crawl
Fase Propulsiva
La fase propulsiva è suddivisa nella fasi di Entrata ed Estensione, Downsweep, Presa,
Insweep e Upsweep. Al primo contatto con l'acqua, il polso ed il gomito seguono il braccio
portando la spalla in estensione ed in intrarotazione per iniziare la fase di propulsione. La
rotazione in alto della scapola è favorita dal trapezio superiore, romboidi, sovraspinato,
deltoide anteriore e laterale per permettere al nuotatore di abdurre la spalla e raggiungere
una posizione di allungamento in acqua [11,12]. Si verifica inoltre, l'intervento del dentato
anteriore durante l'entrata della mano appena si verifica una rotazione verso l'alto della
scapola [12]. E' questa una fase in cui il nuotatore cercherà maggiormente il controllo
nell'assumere la posizione più efficace su cui effettuare una forza. Da questa posizione
allungata, inizia la prima parte della fase propulsiva con la Presa dove tutto l'arto superiore
scende di circa 50-70 cm sotto la superficie dell'acqua. I movimenti iniziali sono generati
dalla porzione clavicolare del grande pettorale e dall'intervento del grande dorsale, il quale
coadiuva il grande pettorale. Questi due muscoli generano la maggiorparte della forza
durante la propulsione, soprattutto durante la seconda fase. I flessori del polso mantengono
il polso in una posizione di lieve flessione durante l'intera durata della fase propulsiva. I
flessori del gomito (bicipite brachiale e brachiale) cominciano a contrarsi all'inizio, in fase
di presa, portando il gomito da una situazione di completa estensione fino
approssimativamente a 30° di flessione, risultando rivolto verso l'alto e con il palmo della
mano extraruotato[11].
Nella prima fase propulsiva, Insweep, la spalla subirà uno spostamento da una posizione
intraruotata e abdotta ad una addotta e completamente intraruotata verso la fine della fase
centrale della propulsione [13,14]. Nella fase centrale della propulsione una elevata attività
elettromiografica è stata rilevata dal grande pettorale, il piccolo rotondo, il sottoscapolare
ed il dentato anteriore che si occupano di estendere ed intraruotare la spalla [12].
Nella seconda ed ultima fase propulsiva,Upsweep, il braccio si trova perpendicolare al corpo
21
e termina con l'uscita della mano con il palmo rivolto verso la coscia [15], il lavoro muscolare
è garantito dal piccolo rotondo, tricipite e la porzione posteriore del deltoide [12].
Durante la fine della fase di propulsione la spalla è intraruotata e completamenta addotta[16].
Il tricipite brachiale agisce per estendere il gomito, il quale porta la mano all'indietro e
verso l'alto, in direzione della superficie dell'acqua, terminando la fase propulsiva [11].
Fase di Recupero
La fase di recupero è suddivisa in due momenti: una prima parte, quando la mano esce
dall'acqua, la mano stessa compie una extrarotazione per minimizzare il drag [15]. La spalla
extraruota, si estende e si abduce. Il Deltoide, il sovraspinato, il sottoscapolare,
l'infraspinato e il piccolo rotondo sono attivi per deprimere la testa dell'omero. Durante la
seconda fase, la spalla è abdotta ed extraruotata per preparare la mano all'ingresso in acqua.
L'infraspinato è il muscolo primario che svolge il compito di controllare la rotazione esterna
della spalla non appena l'arto comincia la fase di recupero fino a quando la mano entra
nell'acqua [12]. Il deltoide e la cuffia dei rotatori (sopraspinoso, infraspinoso, piccolo
rotondo e sottoscapolare) sono i muscoli primariamente attivi durante l'intera fase di
recupero per garantire al complesso spalla-braccia-mano, ormai fuori la superficie
dell'acqua, di essere riportato in posizione ''overhead'' in modo tale da essere pronto per la
ripetizione del gesto tecnico.
I muscoli stabilizzatori agiscono sia durante la fase propulsiva che in quella di recupero.
Fondamentali quelli della scapola (piccolo pettorale, romboide, elevatore della scapola,
trapezio medio, trapezio inferiore e dentato anteriore) che insieme fungono da fissatori della
scapola: una funzione importantissima, dal momento che le forze propulsive che vengono
generate dalle braccia e dalle mani, hanno nella scapola la principale base di supporto. A ciò
va aggiunto che gli stabilizzatori della scapola lavorano in sinergia coi deltoidi e con la cuffia
dei rotatori, nel riposizionamento del braccio durante la fase di recupero. Gli stabilizzatori
dell'addome, il trasverso, il retto dell'addome, l'obliquo interno, l'obliquo esterno e gli
erettori spinali, sono anch'essi essenziali per l'ottenimento di una bracciata efficace, poiché
costituiscono il collegamento tra gli arti superiori ed inferiori, evidenziato dalla rotazione
del corpo che si realizza durante la nuotata a stile libero [11]. 22
Dorso
Il Dorso è una nuotata relativamente facile per i principianti, motivo per cui viene insegnata
per prima. La sua maggiore facilità riguarda però solo la prima acquisizione della nuotata,
in forma grezza, determinata dal fatto che il viso del nuotatore è emersa con grandi vantaggi
per la respirazione. Il suo affinamento è invece molto più complesso rispetto ad altre nuotate
ed ha subito notevoli modifiche nel corso degli anni. Oggi, il Dorso è molto simile al Crawl,
tranne per le fasi propulsive che nel Dorso sono tre.
Modello di bracciata
Il movimento della bracciata Dorso si suddivide in
cinque fasi:
-Primo Downsweep
-Primo Upsweep
-Secondo Downsweep
-Secondo Upsweep
-Uscita e Recupero
In seguito all'entrata della mano (fig.9 A) comincia
il primo Downsweep, che non è propulsivo, la sua
funzione è quella di portare la mano e
l'avambraccio nella posizione ottimale per
effettuare la presa e applicare la forza propulsiva;
le spalle e la testa svolgono un ruolo di supporto
-
Figura 9 Dorso durante il recupero del braccio opposto. Il primo
Downsweep è quindi un moderato movimento di allungamento e andrebbe eseguito in
decontrazione: fino al raggiungimento della posizione di presa non si dovrebbe applicare
alcuna forza propulsiva, per non generare turbolenze che andrebbero solamente a rallentare
il nuotatore. Il braccio è completamente disteso sopra la spalla, con il mignolo che entra in
acqua per primo (fig.9 B). Dopo l'entrata, il braccio affonda leggermente per l'inerzia
acquisita durante il recupero, mentre la mano ruota lentamente in basso, fino a portarsi nella
posizione ottimale per effettuare la presa. Durante il primo Downsweep, il braccio continua
ad orientarsi all'indietro, mentre gradualmente si incomincia a flettere al gomito (fig.9 C).
Successivamente con il Primo Upsweep vi è la prima fase propulsiva della bracciata che
comincia dalla presa. La mano si muove in alto e indietro in un movimento semicircolare;
durante questa fase il braccio continua a flettersi al gomito. La prima fase verso l'alto si
23
conclude quando la mano si trova all'altezza della spalla. L'angolo al gomito è tra i 90° e
100° quando questo primo Upsweep si sta per concludere. Il palmo della mano deve
compiere una rotazione, dal basso verso l'alto, in modo da mantenere l'angolo d'attacco più
efficace per tutte le fasi del primo Upsweep (fig.9 D). Lo spostamento verso un punto più
alto, dovrebbe avvenire dopo che la mano sorpassa il gomito. Durante il gesto, la mano
dovrebbe rimanere allineata con l'avambraccio e la sua velocità aumentare moderatamente.
Con il Secondo Downsweep abbiamo il secondo movimento verso il basso, inizia quando il
primo Upsweep si sta completando, con il braccio che si muove in basso e indietro, fino a
che non è completamente disteso. La mano dovrebbe essere a 30 cm di profondità quando il
movimento viene completato. Muovere il braccio verso fuori, consente ai nuotatori di usare
l'avambraccio per acquisire un vantaggio durante il secondo Downsweep. La mano, che si
era spostata in alto e indietro alla fine del precedente Upsweep, dovrebbe essere ruotata in
basso e all'esterno durante questo movimento; inoltre dovrebbe orientarsi in basso verso il
fondo della vasca, quando il secondo Downsweep è completato (fid.9 E). La velocità della
mano dovrebbe diminuire durante questa fase. Il secondo Upsweep prevede il movimento
propulsivo finale, che comincia quando il secondo Downsweep si sta completando e la mano
si muove verso l'alto, dietro e verso la superficie, concludendosi quando questa si avvicina
alla parte posteriore della coscia. Il braccio dovrebbe rimanere disteso durante questo
movimento, mentre va considerata la posizione del palmo della mano, che rappresenta
l'aspetto più importante del movimento. I nuotatori che usano questa fase della nuotata per
la propulsione, iperestendono la mano al polso, così che il palmo della mano sia ruotato
indietro e in alto con le dita che puntano verso il fondo della piscina. La mano rallenta
durante il passaggio dal secondo Downsweep al secondo Upsweep, per poi accelerare
rapidamente fino a che quest'ultimo si completa. I nuotatori che possono iperestendere il
braccio al gomito ne traggono vantaggio perchè possono mantenere l'avambraccio ad un
angolo d'attacco favorevole per un periodo più lungo durante il secondo Upsweep (fig.9 F).
La fase di uscita e recupero inizia quando il nuotatore gira il palmo della mano verso il
corpo e fa scorrere la mano in alto, fuori dall'acqua, per ridurre la superficie e la resistenza
al movimento verso l'alto. La mano dovrebbe lasciare l'acqua per prima con il pollice (fig.9
G). La rotazione del corpo è responsabile dell'oscillazione della mano e del braccio in alto e
fuori. Il movimento verso l'alto della spalla aiuta anche l'innalzamento fuori dall'acqua del
braccio dallo stesso lato con uno sforzo minimo. Dopo aver lasciato l'acqua il braccio si
sposta nell'aria fino a che non si realizza l'entrata. Il palmo della mano durante la prima metà
è ruotato all'interno, ed extraruotato per la seconda metà del recupero, producendo una
24
variazione da dentro a fuori, poichè la mano passa sopra la testa e si abbassa per l'entrata
(fig.9 H). Il recupero dovrebbe essere eseguito velocemente ma senza movimenti bruschi.
L'entrata della mano viene eseguita con l'anticipo della spalla sullo stesso lato. I nuotatori
che toccano l'acqua con il braccio e l'avambraccio prima della mano, producono attrito da
onda. Questo effetto si può ridurre portando verso l'alto la spalla del braccio che recupera.
Questa azione è facilitata dal rollio del corpo, in quanto la spalla del braccio che ritorna è
fuori dall'acqua quando i nuotatori ruotano verso l'altro lato [10].
Analisi muscoli coinvolti nella nuotata Dorso
Fase Propulsiva
Il dorso è l'unica nuotata competitiva che si effettua con il corpo supino, le fasi della nuotata
possono essere divise in una fase d'entrata, una fase di presa e una fase di propulsione.
Nella fase d'inizio della propulsione troviamo le spalle extraruotate ed abdotte, affinchè il
mignolo sia il primo ad entrare in acqua, mantenendo sia un'estensione del gomito sia una
posizione allungata del corpo [16].
Una prima importante differenza tra il dorso e il crawl è riscontrabile nella prima parte della
fase di presa che è determinata dall’azione del grande dorsale, mentre il grande pettorale
fornisce un contributo minore. Comunque, il grande dorsale e il grande pettorale sono i
muscoli principali per la trazione e, sebbene con intensità operative diverse, la loro azione è
presente in tutta la fase propulsiva. I flessori del polso sono sempre parte integrante della
fase propulsiva; il polso è mantenuto in posizione neutra e leggermente esteso. Attraverso
una combinazione tra la pressione dell'acqua e la forza prodotta dal bicipite brachiale e dal
brachiale, il gomito è portato ad un angolo di circa 45° nella fase iniziale della presa, mentre
nella fase finale si flette nuovamente a circa 90°, prima di passare alla fase successiva.
Come anche nei momenti finali della propulsione della nuotata farfalla, acquisisce
importanza l'estensione dell'avambraccio sul gomito, determinando un forte impegno del
tricipite brachiale e del grande rotondo, proprio al termine della fase propulsiva [11]. Le
spalle, nella fase finale della trazione sono intraruotate e addotte [16]. La funzione dei
muscoli stabilizzatori nella nuotata a dorso è corrispondente a quella che si realizza nel
crawl, perché si registrano le stesse analogie di reciprocità nel movimento delle braccia, che
si integra nel rollio del corpo [11]. 25
Fase di Recupero
Non appena la mano esce dalla superficie dell'acqua, il nuotatore inizia l'abduzione e la
extrarotazione della spalla. Il rollio consente al braccio di uscire più velocemente dall'acqua
[16]. L'elevazione del braccio verso l'alto è ad opera del deltoide anteriore e infraspinato,
successivamente l'elevazione è completata dall'azione del grande dentato e dal trapezio
superiore ed inferiore.
Nella fase centrale del recupero la spalla è abdotta a 90° e la rotazione del corpo è massima.
Prima che la mano entri in acqua, la spalla è in posizione di massima abduzione ed
extrarotazione per permettere alla mano di ripetere il ciclo della bracciata [16].
Farfalla
La Farfalla assomiglia al crawl per quanto riguarda i movimenti delle braccia e delle gambe
con la differenza che gli arti si muovono simultaneamente anzichè in modo alternato. La
notevole velocità espressa dai nuotatori di questa nuotata è data dalla potentissima spinta
data dalla trazione contemporanea delle due braccia, alla quale però segue una considerevole
decelerazione dovuta al recupero delle braccia. Questo tipo di propulsione intermittente
comporta un'alta dispersione di energia, in parte compensata da un colpo di gambe molto
efficace. Modello di bracciata
In questo nuotata si osserva un movimento molto
più verticale rispetto alle altre. Non si tratta di
un'ondulazione forzata, ma piuttosto di un
movimento che risulta da tre fattori principali:
-l'azione verso il basso delle gambe, che spinge
il bacino verso l'alto;
-l'inerzia derivata dal recupero delle braccia che
tende a far affondare la testa e le spalle;
-la prima parte della trazione, che tende a far
sollevare la testa e le spalle.
La bracciata Farfalla è caratterizzata da:
-Outsweep;
-Insweep;
-Upsweep; .
Figura 10-Farfalla 26
-Rilascio e Recupero.
Nella prima fase, Outsweep, le mani entrano in acqua contemporaneamente, davanti al capo,
con una distanza di poco superiore alla larghezza delle spalle (fig.10 A). In fase di entrata le
mani dovrebbero essere leggermente ruotate in fuori, così da entrare in acqua di taglio, per
poi proseguire in avanti e in fuori secondo una traiettoria semicircolare, fino al superamento
della linea delle spalle. Dopo l'entrata in acqua le mani dovrebbero assecondare lo
scivolamento in avanti prima di iniziare il movimento di Outsweep vero e proprio (fig.10
B).
Esaurito lo scivolamento, le braccia si flettono gradualmente per agevolare il
posizionamento di avambraccio e mano per la presa. Il primo colpo di gambe facilita questo
scivolamento, aiutando i nuotatori a vincere l'inerzia nel cambio di direzione delle mani che
si verifica dall'entrata fino alla presa (fig.10 C). L'Outsweep non è propulsivo, ma di
posizionamento per le successive fasi: si esegue con la massima naturalezza e il minimo
sforzo muscolare. Ogni tentativo di applicare forze propulsive prima di tale posizionamento
provocherebbe la spinta dell'acqua in direzioni non desiderate.
L'Insweep è la prima delle due fasi propulsive della bracciata. Si esegue un ampio
movimento semicircolare che porterà le mani ad avvicinarsi al di sotto del corpo partendo
dalla posizione di presa (fig.10 D). Le braccia raggiungono 90° di flessione: l'articolazione
del gomito agisce come il perno di una ruota, con le mani che vi ruotano attorno. Queste
ultime, accelerando leggermente, passano da una extrarotazione ad una flessione del polso
verso il basso e poi ad una intrarotazione (fig.10 E). L'Upsweep è la seconda fase propulsiva
della bracciata. Le mani, ravvicinate nella fase precedente, cambiano direzione eseguendo
un movimento semicircolare verso l'esterno, poi verso dietro ed infine verso l'alto (fig.10 F).
Le braccia si estendono fino a 45°. La velocità delle mani diminuisce inizialmente per poi
aumentare durante il rilascio, che avviene al superamento delle cosce. Poco prima dell’uscita
delle mani dall'acqua e della completa estensione delle braccia si verifica il rilascio della
pressione delle mani sull'acqua. Il palmo ruota in modo da permettere lo scorrimento verso
l'alto e verso l'esterno con una turbolenza minima, è questa la fase del Rilascio e Recupero.
Nel recupero le braccia, emerse dall'acqua, viaggiano verso l'alto e verso l'esterno, per poi
portarsi davanti alle spalle, disponendosi per un nuovo ciclo propulsivo (fig.10 G e H).
I nuotatori d'alto livello effettuano il recupero indifferentemente a braccia estese o
leggermente flesse, pur mantenedo una certa velocità di esecuzione. Durante il recupero le
braccia dovrebbero mantenersi più rilassate possibile, sfruttando l'inerzia accumulata
27
nell'Upsweep [10].
Analisi muscoli coinvolti nella nuotata Farfalla
Fase di Propulsione
La principale differenza tra Crawl e Farfalla è legata al fatto che le braccia si muovono non
più in modo alternato, come nel crawl, ma all'unisono. Dal momento che crawl e farfalla
hanno gli stessi schemi motori nella fase subacquea, il reclutamento delle unità motorie è
pressoché identico. Come nel crawl, anche nella farfalla le braccia iniziano la fase propulsiva
della bracciata partendo dal massimo allungamento, con le spalle extraruotate e abdotte
[11,16]. Non appena le mani entrano nell'acqua, il deltoide e i muscoli della cuffia dei
rotatori sono attivi per abdurre, estendere ed extraruotare il braccio. Come nel crawl, i
romboidi e la porzione superiore del trapezio fanno rientrare e ruotare la scapola durante la
rotazione del braccio, e il grande pettorale e il grande dorsale generano la spinta [17]. I
flessori del polso hanno la funzione di mantenere il polso in una posizione neutra o
lievemente flessa. Il bicipite brachiale e il brachiale sono i principali promotori dei
movimenti del gomito, partendo dalla sua massima estensione nel momento della presa, fino
ad un angolo di circa 40° tra braccio e avambraccio nella fase intermedia della trazione
subacquea, dove le spalle sono abdotte a 90° e presentano una neutrale intra ed extra
rotazione [11,16]. Diversamente dal Crawl, nella farfalla è richiesta una potente estensione
del gomito durante la fase finale della bracciata subacquea, con richiesta da parte dei tricipiti
brachiali di un considerevole lavoro muscolare, fase in cui le spalle sono intraruotate e
completamente addotte [11,16].
Fase di Recupero
Come nel crawl, i muscoli della cuffia dei rotatori e le varie porzioni del deltoide sono
responsabili del movimento delle braccia durante la fase di recupero, anche se le sequenze
meccaniche sono diverse.
Il deltoide anteriore e laterale lavorano con il sovraspinato e l'infraspinato per abdurre ed
extraruotare il braccio per riportarlo in posizione d'inizio [17]. Il dentato anteriore e il
sottoscapolare rimangono attivi durante entrambe le nuotate crawl e farfalla e per questo
sono i muscoli suscettibili all'affaticamento, i quali predispongono la spalla ed il braccio ad
un infortunio da ''overuse'' [17].
Nella farfalla non è possibile sfruttare la rotazione del tronco per facilitare la fase di recupero,
28
come invece accade nel crawl, ed è quindi necessario produrre un movimento ondulatorio
del dorso, che consenta di elevare le spalle fuori dall'acqua in appoggio per aiutare il
recupero delle braccia.
I muscoli stabilizzatori della scapola sono estremamente importanti perchè forniscono una
solida base di ancoraggio per le forze generate dalle braccia, e consentono anche il
riposizionamento delle stesse durante le fasi di recupero.
Sebbene la nuotata farfalla non presenti il rollio del busto tipico del crawl, gli stabilizzatori
della regione lombare-sacrale-addominale sono importanti per la funzione di collegamento
tra gli arti inferiori con quelli superiori.
Il movimento ondulatorio inizia con la contrazione dei muscoli paraspinali e prosegue con
più gruppi muscolari che vanno dalla regione lombo-sacrale alla base della nuca. Questa
attivazione determina l'inarcamento della schiena, a cui corrisponde un coordinato
movimento di recupero delle braccia. La contrazione degli addominali avviene in immediato
ordine sequenziale e prepara la parte superiore del corpo a seguire l'entrata in acqua delle
mani e quindi la fase propulsiva della bracciata [11].
La Rana
Questa nuotata è stata la prima ad essere usata nelle competizioni a Stile Libero, prima del
Crawl, e da essa si sono sviluppate le altre nuotate competitive.
Dal 1950 cambiarono le regole per garantire lo svolgimento della maggior parte della
competizione in superficie. Nelle sue prime fasi di sviluppo, la nuotata era caratterizzata dal
movimento simmetrico degli arti superiori ed inferiori, con il capo mantenuto fuori
dall'acqua. L'evoluzione di questa nuotata ha portato a una divisione per cicli e tempi.
Ogni ciclo di nuotata è caratterizzato da:
-Partenza in posizione prona del corpo;
-Movimenti coordinati e simmetrici degli arti inferiori (propulsivi);
-Movimenti coordinati e simmetrici degli arti superiori;
-Respirazione coordinata al ciclo di bracciata.
Per tempo si intende il periodo che intercorre tra il movimento delle braccia e quello delle
gambe. 29
Modello di bracciata
Il movimento delle braccia nella nuotata Rana è
divisa in quattro fasi:
-Outsweep
-Presa
-Insweep
-Uscita e Recupero
La bracciata del ranista è breve e semicircolare. Il
movimento propulsivo della bracciata è eseguito
con gli arti superiori sempre in immersione, che
disegnano una traiettoria semicircolare; questo
movimento è coordinato alla respirazione.
L'Outsweep prevede un movimento che non è
propulsivo; la sua funzione è quella di orientare
Figura 11-Rana le superfici di braccio/avambraccio/mano
nell'atteggiamento migliore per effettuare la fase successiva della bracciata. L'outsweep ha
inizio nel momento in cui il nuotatore esaurisce la fase propulsiva dello scivolamento (fig.11
A).
Le mani ruotano all'infuori ed eseguono una traiettoria semicircolare, con un ampio
movimento all'infuori, in avanti e leggermente verso l'alto, fino a superare la larghezza delle
spalle. In questa fase le mani entrano in Presa sull'acqua e le braccia iniziano la flessione ai
gomiti (fig.11 B).
Anche questa fase, come la prima, non ha funzione propulsiva ma preparatoria ai successivi
movimenti.
L'Insweep è la fase propulsiva della bracciata. Ha inizio dopo la fase di presa: le braccia
proseguono nella loro traiettoria semicircolare all'infuori, all'indietro, in basso e in dentro.
I gomiti sono alti e fungono da fulcro attorno ai quali ruotano, in dentro e verso il basso, le
mani e gli avambracci. Durante il movimento ampio verso l'interno si verifica una graduale
flessione dei gomiti, che si arresta a circa 80-90°.
Al momento della presa, i palmi sono rivolti all'infuori; durante l'insweep ruotano in dentro.
Nella fase conclusiva quando le mani si avvicinano, sotto il torace, sono rivolte in dentro e
indietro. Dopo essere passate sotto i gomiti, le mani continuano a ruotare in dentro fino alla
fine dell'Insweep, durante il quale le stesse rimangono allineate agli avambracci e accelerano
30
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher stati.paolo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Scienza e tecnica dello sport e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Foro Italico - Iusm o del prof Margheritini Fabrizio.
Acquista con carta o conto PayPal
Scarica il file tutte le volte che vuoi
Paga con un conto PayPal per usufruire della garanzia Soddisfatto o rimborsato