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LX
[Uno dei padroni che manomette il servo comune perde la sua parte, che cresce in
capo al socio, tanto più nel caso in cui lo abbia manomesso nel modo in cui se fosse stato di
sua proprietà sarebbe diventato un romano. Infatti se lo abbia manomesso inter amicos la
maggior parte ritiene che lui abbia agito invano.]
I due frammenti concernono l’in iure cessio della tutela cessicia che
non si trasferisce dal tutor cessicius al sub – cessionario, ma ritorna al tutor
legitimus, il primo, ed alla manumissio del servo comune da parte di un
solo condomino, che non libera il servo ma determina l’accrescimento della
110
quota del manumissor al condomino, il secondo . 111
Rispetto a questi esempi portati dal Karlowa, il Betti si dimostrò
alquanto entusiasta ritenendoli la dimostrazione della veridicità della tesi del
Mitteis. È molto improbabile che così fosse nel pensiero del romanista
tedesco, visto che non fa menzione di questi frammenti per dimostrare la sua
tesi. 112
Il Sanfilippo ha negato recisamente queste tesi e ha spiegato
l’inesistenza di un filo conduttore che leghi gli esempi proposti dal Karlowa
a Gai. 3, 176 – 179.
I quattro casi costituiscono quattro forme di in iure cessio, che di per
sé non è da considerarsi nulla, contrariamente agli esempi portati in Gai. 3,
176 – 179. La struttura della in iure cessio prevedeva una vindicatio e un
comportamento negativo del cedens, che non si opponeva realizzando, così,
l’effetto traslativo a favore del quale le parti si erano precedentemente
accordate.
Nel caso di un accordo tra le parti, che violava un divieto giuridico,
o nel caso in cui, per altri motivi, la vindicatio dell’attore non produceva
l’effetto traslativo, la cessio del convenuto avrebbe comunque prodotto
l’effetto che era destinata a produrre, cioè l’accertamento processuale della
non titolarità del convenuto in merito al diritto oggetto della in iure cessio.
Così le obbligazioni attive e passive che si estinguono in Gai. 3, 85
non passano al vindicante, ma, rispetto ai crediti, l’in iure cessio è
110 Cfr. Pauli Sententiae IV. 12. 1: Servum communem unus ex dominis manumittendo Latinum facere non
potest nec magis quam civem Romanum: cuius portio eo casu, quo, si proprius esset, ad civitatem
Romanam perveniret, socio adcrescit.
111 Betti, Diritto Romano, I, Padova, 1935, pag. 332.
112 Sanfilippo, Dubbie riflessioni, cit., pag. 235 e ss. LXI
un’ammissione d’estraneità agli stessi, che si estinguono, mentre non
succede lo stesso per i debiti giacché vige il principio per cui, salvo
l’adempimento, il debitore non può liberarsene senza la concorde volontà
del creditore.
L’in iure cessio dell’usufrutto non sortisce l’effetto traslativo, in
quanto, essendo l’usufrutto diritto personale, è inalienabile; di contro, il
fatto che l’usufruttuario con la cessio non affermi l’esistenza della sua
titolarità, fa sì che l’usufrutto si consolidi presso il nudo proprietario.
3. Gai. 3, 176 – 179 e la novazione. A) Principali problematiche.
Prima di analizzare le principali posizioni dottrinali che seguirono e
presero le mosse dalla critica della costruzione del Mitteis, bisogna
individuare un’ulteriore profilo problematico nell’interpretazione di Gai. 3,
176 costituito dall’impossibilità, anche ammettendo l’esistenza di negozi
nulli capaci di estinguere un rapporto giuridico precedente, di poter
113
applicare questa forma di estinzione all’istituto della novatio .
Gaio scrive, infatti, nova nascitur obligatio et prima tollitur
translata in posteriorem e in questo senso si esprime anche Ulpiano in
D. 46, 2, 1, pr. ( Ulpianus, XLVI ad Sabinum ):
Novatio est prioris debiti in aliam obligationem vel civilem vel
naturalem transfusio atque translatio, hoc est cum ex praecedenti causa ita
nova constituatur, ut prior perematur. Novatio enim a novo nomen accepit
et a nova obligatione.
[ La novazione è la trasfusione e traslazione del debito precedente in un’altra
obbligazione civile e naturale, questo accade quando da una causa precedente ne consegua
una nuova, in modo che la prima venga eliminata. La novazione prende infatti il suo nome
da nuovo e da nuova obbligazione.]
113 Sanfilippo, Dubbi e riflessioni, cit., pag. 238 e ss. LXII
114
Nonostante i rilievi mossi , il concetto essenziale della novazione
come trasferimento della vecchia in una nuova non si mette in dubbio.
Dalle definizioni testuali consegue che il negozio con il quale si
estingue una precedente obbligazione senza crearne una nuova, non
115
potrebbe essere definito novazione . Per cui non si spiega come un
negozio, che, di fatto, non si concretizza in una trasfusio atque traslatio,
possa estinguere, a causa della successiva stipulazione nulla, la precedente
obbligazione iure novationis.
La risposta a questo spinoso interrogativo, che è fondamentale anche
rispetto all’oggetto di questo studio, deve però essere fornita tracciando un
quadro più autentico dell’evoluzione di questo istituto e si riconnette al
pensiero giuridico che Gaio riporta a proposito di Servio Sulpicio.
Gai. 3, 176 e i successivi § 177 – 179 attestano chiaramente che la
giurisprudenza classica non seguiva la posizione di Servio Sulpicio, per il
quale anche la promissio del servo ha effetto novativo, così come quella
sotto condizione ancora non avveratasi.
Per quanto riguarda il servus, lo svolgimento storico del diritto,
manifesta una tendenza a conferire alla personalità giuridica di questo
soggetto un crescente rilievo.
Tenuto conto di questo processo evolutivo, resta tuttavia da
segnalare una certa riluttanza da parte dei giuristi romani ad ammettere
l’effetto novativo della expromissio del servus.
Giuliano in D. 2, 14, 30, 1 è ancora di questo avviso, limitando
persino la concessione dell’exceptio avverso l’actio derivante dalla
precedente obbligazione.
D. 2, 14, 30, 1 ( Gaius, I ad edictum provincialem ):
Qui pecuniam a servo stipulatus est, quam sibi Titius debebat, si a
Titio petat, an exceptione pacti conventi summoveri et possit et debeat, quia
114 Il Cannata, Corso, cit., pag. 309, nt. 809, spiega il motivo per cui l’aggettivazione ‘civilem vel
naturalem’ sia da ritenersi interpolata dai compilatori giustinianei che ritevano che da una stipulazione
novatoria nulla quale quella di Gai. 3, 176 potesse generarsi un’obbligazione naturale. Scialoja, Studi
Perozzi, Palermo, 1925, pag. 411, ha avanzato dubbi sulla frase hoc est cum – perematur. Contra,
Bonifacio, La novazione, cit., pag. 44, nt. 17.
115 Si dovrebbe, semmai, trattare di remissione del debito. LXIII
pactus videatur, ne a Titio petat, quaesitum est. Iulianus ita summovendum
putat, si stipulatori in dominum istius servi de peculio actio danda est, id est
si iustam causam intercedendi servus habuit, quia forte tantandem
pecuniam Titio debuit: quod si quasi fideiussor intervenit, ex qua causa in
peculium actio non daretur, non esse inhibendum creditorem, quo minus a
Titio petat: aeque nullo modo prohiberi eum debere, si eum servum liberum
esse credidisset.
[ Ci si chiede se possa e debba essere respinto con l’eccezione di patto colui che si
è fatto promettere la somma di denaro che Tizio gli doveva da un servo, se questo poi la
chieda a Tizio, in quanto si suppone esserci un patto di non chiedere a Tizio. Giuliano
ritiene che lo stipulante vada respinto, se gli compete l’azione relativa al peculio contro il
padrone del servo, cioè se il servo abbia avuto una giusta causa per addossarsi
l’obbligazione, ad esempio perché doveva la stessa somma di denaro a Tizio; se invece il
servo sia intervenuto quasi come fideiussore, causa per la quale non gli verrebbe concessa
l’actio de peculio, non si deve impedire al creditore di richiedere a Tizio; ne gli si deve
negare se abbia creduto che quel servo fosse libero. ]
Non diversamente da Giuliano, Paolo nel caso di expromissio fatta
dal servo proprio, pur ammettendo la deducibilità de peculio continua
sempre a negare l’effetto novatorio sicché il dominus mantiene l’azione
contro il precedente debitore e può inoltre, deducere de peculio la somma
stipulata dal servo.
D. 15, 1, 56 ( Paulus, II ad Neratium ):
Quod servus meus pro debitore meo mihi expromisit, ex peculio
deduci debet et a debitore nihilo minus debetur. Sed videamus, ne
credendum sit peculiare fieri nomen eius, pro quo expromissum est. Paulus:
utique si de peculio agente aliquo deducere velit, illud nomen peculiare
facit. [ Poiché il mio schiavo ha garantito per il mio debitore, si deve dedurre
l’ammontare del debito dal peculio e allo stesso modo è dovuto dal debitore. Eppure il
peculio dovrebbe non essere cumulato al debito della persona per la quale si è garantito.
Paolo: in ogni modo se vuole dedurre quel debito agendo sul peculio, il debito diventa a
titolo del peculio.] 116
Il Mitteis ha provato a spiegare questa differente impostazione del
giurista repubblicano, in merito alla expromissio del servo ed alla stipulatio
condizionata, argomentando nel senso di un tentativo di emancipazione
dalla opposta dottrina.
116 Mitteis, Römische, cit., pag. 249 e ss. LXIV
Questa proposta offre il fianco, però, ad alcuni rilievi critici: prima di
tutto bisognerebbe dimostrare il passaggio che da un’eventuale precedente
dottrina in un senso avrebbe condotto all’ipotesi serviana, poi nuovamente
abbandonata in età classica; e in secondo luogo, a meno che non si voglia
propendere per una scelta arbitraria di Servio, bisognerebbe specificare i
motivi e i principi dell’impostazione serviana prima, e del rigetto della
giurisprudenza classica dopo.
Rispetto all’efficacia novatoria della stipulazione condizionata
117
indipendentemente dall’avveramento della condizione, il Karlowa ha
provato a spostare la soluzione sull’indagine all’id quod actum est , cioè
l’affare effettivamente gestito, l’intento perseguito dalle parti, ossia la
creazione di una nuova obbligazione con estinzione della precedente.
118
Sanfilippo ritiene però troppi acerbi i tempi per un’indagine di
questo tipo e soprattutto rileva come la stipulatio è uno di quei casi ove la
volontà delle parti era più incisivamente ancorata alla pronuncia dei verba,
cosicché “Servio nell’interpretare il quid acti esset non avrebbe potuto
sorvolare sulla presenza della condizione, che faceva parte integrante dei
119
verba” .
Anche basare l’effetto novativo sull’assunto che la condizione sia da
considerarsi l’aliquid novi e, in