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KLEIN
2. 1. Il Vuoto tra presenza e assenza
28
“E' il vuoto l'unico e vero pieno” . Così si esprime Pasini riguardo all'opera massima di
Klein e l'apparente paradossalità dell'affermazione ci apre la strada verso la
comprensione della sintesi operante ne Il vuoto. 29
Renato Barilli pone la presenza e l'assenza come modelli per la Post Modernità . Da un
lato una continuità, consustanzialità fra le cose, una dimensione globale in cui nulla è
separato, il tutto portando avanti un’omologia con il coinvolgimento spaziale totale a
distanza dato dai media elettronici. Dall'altra parte invece l'assenza si trova nella
frammentazione, nell'impossibilità di eliminare ogni spazio di mezzo, ogni “plateau”.
Questo modello assenzialista è ricavato dalla filosofia di Deleuze. Analizzando
superficialmente Il vuoto di Klein verrebbe da inserirlo fra gli esempi di assenza, di
mancanza, di nulla. Ma qui torniamo a Pasini. “Klein, che viene dalla cultura orientale,
sa che presenza e assenza non sono paradossalmente il contrario l'una dell'altra, ma la
30
stessa cosa” .
Se nella post-modernità ci siamo trovati davanti alla morte dell'occhio o almeno alla
fine della sua totale dominanza nel rapporto uomo-mondo, lo dobbiamo ai media
telepatici fornitici dall'elettronica ed è compito degli operatori d'avanguardia riadattare
28 R. PASINI, cit., p. 140.
29 R. BARILLI, Tra Presenza e Assenza. Due ipotesi per l'età post-moderna, completare nota
30 R. PASINI, cit., p. 140. 17
la sfera estetica a questi mutati termini di interazione con il reale. Così è che troviamo in
Klein uno dei massimi esempi di superamento del razionalismo nell'arte. Basti ad
esempio pensare a come le due correnti di pensiero centrali nella Modernità, appunto
razionalismo ed empirismo, considerino tutto ciò che non sia misurabile, le cosiddette
qualità secondarie. Colori, odori, sapori sono nettamente svalutati, non essendo
catalogabili in categorie di misurazione spazio-temporali. Diversi artisti contemporanei
hanno rivalutato queste realtà. Klein lo ha fatto con il colore. “La pittura è prima di ogni
31
altra cosa il colore in sè” e oltre a questo l'artista si preme di nobilitare il suo blu quasi
umanizzandolo. Abbiamo già parlato dell'ostilità di Klein verso l'elemento linea, che
Barilli pone come metafora della Modernità, essendo questa “portata a divisioni e
32
frammentazioni, al culto dell'elementarismo e dell'analisi” , appunto ciò a cui assolve la
linea, a porre un' assenza tra gli elementi.
Nell’Ottocento artisti come Cezanne e Turner hanno creato uno “spazio che perde la
33
caratteristica di contenitore per farsi immediatamente sinergico con lo spettatore” ,
dando dunque il là alla predominanza tattile della nostra epoca, al policentrismo
energetico, ma restando ancora legati all'occhio e al quadro. E' Il vuoto ad assolvere al
meglio questo compito di sganciamento dall'occhio, in cui davvero lo spazio e il fruitore
sono una stessa cosa. Ancora Pasini definisce l'opera come “tentativo più spregiudicato
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e intelligente di superare anche quest'ultimo appiglio” . Già con le avanguardie storiche
si ha un reale rapporto di simultaneità spaziale tra l'opera e chi ne fruisce, si ha
intenzione di “dare l'espressione dinamica, simultanea, plastica, rumoristica, della
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vibrazione universale” , ma è solo ne Il vuoto che questa consustanzialità uomo-spazio
è il punto centrale di un'opera d'arte. Non è parte dell'opera, ma è l'opera stessa. Ed in
questo Klein si mostra figlio del suo tempo, se è vero che come afferma Barilli “Essere
al mondo, stringere un rapporto di transazione con l'ambiente sono i pilastri
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epistemologici, etici, affettivi di tutto quel clima anni '50” , riferendosi alla
fenomenologia di Merleau Ponty e di Husserl, all'esistenzialismo di Sartre e al
comportamentismo di Dewey.
Questa presenza-assenza si ritrova direttamente in una operazione di qualche anno
31 Y. KLEIN, G. MARTANO ( a cura di ), cit., p. 104.
32 R. BARILLI, Tra Presenza e Assenza. Due ipotesi per l'età post-moderna, cit., p. 15.
33 R. PASINI, cit., p. 189.
34 Ivi, p. 16.
35 Come riportato da R. PASINI, cit., p.
36 R. BARILLI, Informale oggetto comportamento, cit., p. 7.
18
precedente, che possiamo definire come l'anticipazione musicale de Il vuoto: stiamo
parlando di 4'33'' di John Cage. Il brano prevede che l'esecutore non esegua proprio
nulla, avendo come conseguenza appunto un “vuoto” in musica. Peccato che ancora una
volta l'assenza riveli la sua faccia opposta e complementare. Una volta iniziato il brano
vi sarà il silenzio o meglio ciò a cui siamo abituati a riferirci come silenzio ma che ad un
ascolto attento si rivela essere colmo di suoni e rumori che non saremmo pronti a
cogliere se Cage non ci avesse messo in questa particolare posizione. Dunque quella che
inizia come assenza si scopre essere una presenza. Il compositore americano ci invita ad
aprirci a un rapporto zen con il mondo, in questo caso con ciò che possiamo cogliere
attraverso l'udito.
Non si può non fare riferimento, alla luce del brano 4'33'' di Cage, alla Sinfonia
monotono composta da Klein tra il 1947 e il 1948. Da egli stesso definita come
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“silenzio-presenza udibile” , il brano consiste di un solo suono continuo, teso, senza
inizio né fine ( come vedremo essere anche Il vuoto ), molto simile ai mantra meditativi
della cultura orientale. Ancora una volta Klein si dimostra interessato alle proprietà
vibrazionali, in questo caso del suono, utilizzato come accompagnamento nella
realizzazione delle Antropometrie. L'artista afferma che il brano non esiste se non “nel
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mondo delle nostre coscienti possibilità di percezione” . Ecco dunque che nella
Sinfonia monotono è già possibile ritrovare i presupposti di tutta l'arte di Klein,
dall'interesse per le vibrazioni energetiche al rinnovamento percettivo.
Osservando con raggio più ampio le vicende dell'arte contemporanea, notiamo che la
tensione verso l'immateriale è un filo conduttore che si spiega lungo tutto il secolo,
presente nelle ricerche di un gran numero di artisti. Inoltre questa immaterialità è spesso
accordabile con il modello della presenza, come già abbiamo visto nel caso di John
Cage. Si tratta di sfruttare una via soft, di ricorrere ad elementi leggeri e spesso effimeri,
o totalmente privi di una concretezza materiale, come il pensiero. E' con l'Arte
Concettuale che il pensiero si erge a protagonista assoluto delle vicende artistiche e
questa corrente è la punta dell'iceberg di una tendenza generale che si sviluppa dopo la
lezione delle avanguardie storiche. L'etichetta di Arte Concettuale va ad indicare un
insieme di operazioni che ha luogo nel biennio '60-'70, ma vedremo come per tutto un
filone artistico del '900 si possa ugualmente parlare di arte del pensiero, o perlomeno
37 Y. KLEIN, G. MARTANO ( a cura di ), cit., p. 62
38 Ivi, p. 62 19
un'arte in cui la componente strettamente mentale ha un ruolo centrale nella
realizzazione e nella fruizione dell'opera.
Così è possibile estendere la divisione tra concettuale “mondano” e concettuale
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“tautologico” allo svolgersi delle vicende artistiche dell'intero secolo. Nel primo caso,
l'atto intellettivo è parte fondante dell'opera, ma questa si rivolge in vari modi e a vari
livelli, ai fenomeni del reale, ad una certa faccia del mondo. Mentre per il concettuale
“tautologico” o puro, la concentrazione è racchiusa nel recinto delle sole vicende interne
all'arte, in particolare dei problemi di linguaggio. Potremmo affermare che una
concettualità mondana vada a rispondere al modello della presenza, affermandosi grazie
a un riferimento ad un dato appunto presente, a non fare dell'arte un'entità estranea e
solipsistica. Si coglie dunque una volontà di non separare i due termini della famosa
equazione arte=vita, come spesso accade invece in occasione delle applicazioni “pure”
del concetto, separazione che presuppone ogni volta un certo grado di assenza. Di certo
questa categorizzazione tra “mondano” e “puro” non è da applicare in modo assoluto,
essendo entrambe le facce riunite proprio dall'immaterialità, dal fatto che “l'umanità si
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sta installando su mezzi concettuali, diffusi, sottili, telepatici” .
Questa distinzione ci da una chiave di lettura per valutare le operazioni monocrome di
Klein, a confronto con le altrettanto monocrome tele di Ad Reinhardt, entrambi estranei
per fattori spazio-temporali all'Arte Concettuale, ma che fanno della disposizione
mentale un elemento fondamentale nelle loro creazioni.
Ed ecco che Klein può essere indicato come mondano, riferendosi ad una realtà, che
seppur aldilà del visibile, è un qualcosa che va a scavalcare i limiti del problema
39 R. BARILLI, Tra Presenza e Assenza. Due ipotesi per l'età post-moderna,
40 Ivi, p. 230. 20
strettamente sintattico dell'opera d'arte, alla ricerca di una misura con cui comprendere il
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mondo, “per afferrarlo con il maggior grado di completezza uomo-realtà” E' pur vero
che Yves le Monochrome mette in forte discussione lo statuto fisico dell'opera, ma senza
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mai limitarsi a un discorso puramente interno e tautologico. Vi è sempre un' “estasi” ,
un tendere verso un'altro infinitamente presente. Tutto il contrario per quanto riguarda
Reinhardt, le cui tele nere testimoniano un rifiuto di aderire ad ogni tipo di realtà esterna
all'arte, una volontà di raggiungere il grado zero della pittura, un'opera “ridotta alle sue
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condizioni essenziali di esistenza” . La sua monocromia non è altro che “una
negazione, durissima, di ogni aspetto di composizione (i quadri funzionano in qualsiasi
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verso li si guardi), di luminosità, di referenzialità” e potremmo aggiungere al
contempo, l'affermazione di un'assenza totale. E' doveroso alla luce di questo confronto,
accennare ad un altro artista, assimilabile nei risultati visivi ai monocromi di Klein, ma
anche al nero di Reinhardt. Stiamo parlando di Rothko, autore di immense tele
cromatiche, orientato come il francese al rapportarsi c