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OUNG
15 V. M in Introduzione a Id., p. VIII.
ANTOVANI 6
antologizzati. Lo stile è minimalista. La storia è semplice e lineare, l’evoluzione dei
personaggi pressoché assente. Le descrizioni indispensabili. Ciò che ha reso
davvero famoso questo testo, è il formidabile potere evocativo dei dialoghi e
l’indifferenza quasi inconcepibile che caratterizza fin da subito i due killer. È qui che
“la fisionomia del personaggio chiave di Hemingway si scopre nella sua nudità
16
spirituale” .
La narrazione ha luogo a Summit, un sobborgo di Chicago. Due uomini, il cui
nome con sapiente maestria viene significativamente svelato a poco a poco
dall’autore, entrano da Henry's, una tavola calda gestita da George. In cucina
lavora Sam, “detto il negro”. Nick Adam se ne sta in disparte, osservatore passivo
ma attento degli eventi, come spesso si è già visto accadere nei primi racconti che
lo riguardano. Con dei modi bruschi e maleducati che fanno subito intendere la
vera identità dei due personaggi, i sicari instaurano con il gestore del locale un
dialogo indimenticabile. “«Cosa prendete?» gli domandò George. «Non so», disse
uno dei due. «Cosa vuoi mangiare, Al?» «Non so», disse Al. «Non lo so cosa voglio
mangiare».” Subito si intuisce che lo scopo per cui i due uomini sono entrati nella
locanda non è quello di nutrirsi. Le loro richieste si configurano immediatamente,
anche sul piano della ristorazione, inaccettabili: “«Una braciola di maiale con salsa
di mele e purè di patate», disse il primo. «Non è ancora pronto» «Allora perché
diavolo lo metti sulla carta?» «Quello è per la cena», spiegò George. «Si può avere
alle sei»”. Dopo alcuni tentativi di ordinare pietanze presenti nel menù ma non
ancora disponibili, i due si accontentano di uova e affettati cotti.
La tensione delle battute tra i clienti e George sui piatti che ci sono e non ci sono
“è memorabile nella sua inquietudine ironica”, conferma Eraldo Affinati. “Sarebbe
vano aggiungere altre notazioni alle migliaia che sono state fatte e si faranno nelle
facoltà letterarie del pianeta sulla precisione chirurgica del dialogo, capace di
attrarre perfino Alberto Moravia, che non amava Hemingway e tuttavia tradusse
17
questo racconto” .
Il dialogo iniziale è stato sufficiente a rendere celebre l’intero testo. “Provate a
farvi riassumere questo racconto da chi magari lo ha letto tanti anni fa”, continua
16 E. A , cit., p. 32.
FFINATI
17 Cit., pp. 32 s. 7
Affinati: “forse si fermerà alle pagine finora ricordate dimenticando il resto. Che però
è decisivo”.
Non appena i due assassini si rendono conto che la vittima non verrà a cena da
Henry's quella sera, si fiondano fuori del locale alla sua ricerca. Il gestore, il negro e
Nick si chiedono se non sia il caso di avvertire il pugile. Nick, nonostante
l’ammonimento degli altri due a tenersi fuori da quella losca storia, decide di
raggiungere la vittima nel disperato tentativo di offrirgli la salvezza. Arriva così alla
Pensione Hirisch, poco distante dalla locanda di George, dove alloggia Ole
Anderson, e trova l’ex peso massimo sdraiato sul letto con tutti i suoi vestiti ancora
indosso. Era tutto il giorno che era chiuso in casa, come gli confida lui stesso. Nick
lo avvisa che due uomini sono alle sue calcagna ma lui, invece di spaventarsi, pur
ringraziandolo ascolta impassibile le sue parole. Non muove un dito, e si mette anzi
quasi in attesa dell’ora fatale: “Sono stufo di correre a destra e a sinistra”, si sfoga.
prega invece Nick di non fare nulla, poiché nulla può più essere messo in atto per
impedire il corso degli eventi: “Ormai non c’è più niente da fare. Sono sulla lista
nera”. Sconcertato, a Nick non rimane altro da fare che tornare alla tavola calda e
informare George e gli altri dell’atteggiamento rassegnato di Anderson. Ma quelli,
invece di essere solidali nell’amarezza del ragazzo, sembrano già pronti a
dimenticarsi di quanto appena accaduto. È così che, inorridito, Nick prende la
drastica decisione di abbandonare il paese: “«Voglio andarmene da questa città»,
fece Nick. «Sì», disse George, «sarebbe un bene». «Non sopporto l’idea di lui che
aspetta in quella stanza e che sa di doverci lasciare la pelle. È troppo orribile,
maledizione»”.
Meglio «non pensarci», come consiglia George. Ma “non è facile non pensare a
queste cose – la violenza, l’orrore, la morte – quando tutto, intorno a noi, è
18
violenza, orrore, morte” . Che i temi della morte e della violenza siano sempre al
centro della narrativa hemingwayana è già stato ampiamente sottolineato da più
parti. Da Campo indiano in poi, la morte aleggia sulle teste dei personaggi di
Hemingway senza dare loro scampo. Non sarebbe facile, ha notato Mantovani,
trovare un altro autore che abbia scritto su questo argomento con la frequenza e la
coerenza di Ernest Hemingway. “In un momento o in un altro egli ha descritto la
18 V. M in Introduzione a Id., p. IX.
ANTOVANI 8
morte di formiche, salamandre, cavallette e pesci; come muoiono le iene, come si
uccidono i kudù, come si dà il colpo di grazia ai cavalli azzoppati, come si
ammazzano i tori, come muoiono i soldati; morte in Italia, a Cuba, in Africa e
Spagna; morte di parto e morte per suicidio, morte in solitudine e morte in
compagnia; la morte egoista, la morte disinteressata e la bella morte. … In nessun
altro scrittore del nostro tempo si può trovare una simile profusione di cadaveri:
donne morte sotto la pioggia; soldati morti gonfi nelle divise e circondati da carte
strappate; battelli affondati pieni di copri che fluttuano dietro gli oblò chiusi. In
nessun altro scrittore si possono trovare tanti animali sofferenti: muli con le zampe
anteriori spezzate che affogano nell’acqua bassa; cavalli sbudellati nell’arena; iene
ferite che prima azzannano le proprie viscere e poi le mangiano di gusto. E persone
ferite nel morale che si divorano come loro: pugili suonati, soldati sotto shock,
reduci resi folli dalla guerra, lesbiche, ninfomani, toreri che hanno perso il coraggio,
uomini che passano tutta la notte in bianco mentre il loro cervello si mette a correre
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come un volano col peso staccato” . La ferita
Del 1927, lo stesso anno dei Sicari, è Una gara a inseguimento, dove ritorna una
scena analoga a quella del racconto precedente. Sempre disteso su un letto, in un
albergo del Kansas, c’è questa volta un organizzatore di una compagnia di varietà,
William Campbell, drogato perso di fronte al signor Turner, un capocomico, “che lo
osserva come farebbe il contadino con un maiale nel truogolo”. Anche qui
l’atteggiamento del protagonista è quello impotente dello spettatore. Nello sguardo
inespressivo del capocomico si identifica quello del narratore, “pronto a fissare il
personaggio solo una frazione di secondo in più del necessario, poco oltre la
descrizione, là dove la realtà si piega sotto la fiamma come un metallo che si
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arroventa” .
19 Ibid. pp. IX s.
20 E. A , cit., p. 35.
FFINATI 9
L’ultimo paesaggio vero rappresenta un momento particolarmente significativo
nell’evolversi del personaggio di Nick, prima che la violenza abbia definitivamente il
sopravvento su di lui. Anche in questo caso, l’intreccio è semplicissimo e dai chiari
rimandi autobiografici. Nick, alle soglie dell’adolescenza, scappa di casa per non
essere catturato da due guardiacaccia, che lo accusano di aver cacciato e pescato
di frodo. Emerge così il tema della fuga: fuga da una violenza compiuta da Nick
(l’uccisione del daino) e fuga dalla violenza che i guardiacaccia potrebbero usare
contro di lui. La violenza fa sempre stare male, sia quando siamo vittime che
quando la commettiamo in prima persona. L’ultimo paesaggio vero è una fuga dalla
realtà, con tutte le sue brutture, in quel paradiso terrestre che ancora
rappresentano per lui i boschi incontaminati del Michigan.
È subito dopo questa fuga che, nel già citato settimo capitolo di in our time, il
secondo libro di Hemingway, sul fronte austro-italiano una mitragliatrice austriaca
sgrana la sua rosa micidiale. “Appoggiato al muro nella smemoratezza dello choc,
mentre aspetta che i portaferiti lo vengano a prendere, Nick rinuncia alla condizione
di patriota e fa la sua pace separata con il nemico. La ferita alla spina dorsale ha
avuto l’effetto di separarlo traumaticamente dagli altri esseri umani. La violenza
compiuta su di lui lo ha isolato dalla massa. Egli non cercherà più l’oggettività
nell’astratto e insensato aggettivo «patriottismo», né in un esercito di numeri dove
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la responsabilità non spetta all’individuo” .
La ferita di Nick è dunque solo il punto di arrivo di una lunga familiarità con gli
orrori della vita. Il piombo che l’ha aperta ha avuto su di lui un effetto più visibile e
concreto, ma tutto sommato non diverso da quello del grido della partoriente e della
gola tagliata dell’indiano in Campo indiano. D’ora in poi Nick non potrà non essere
diverso. Rimettersi dallo choc, guarire dalla ferita fisica e psichica, sarà la sua
preoccupazione principale. Insonnia, Come non sarai mai, In un altro paese e
Grande fiume dai due cuori sono le tappe di questa lunga convalescenza. “Vi si
ritrovano tutti i terrori e tutte le ossessioni di chi, temendo di poter impazzire, si
guarda vivere come un infermiere seguirebbe le mosse di un malato: l’insonnia, la
paura del buio; le mille furbizie per impedirsi di pensare; l’iterazione come
21 V. M in Introduzione a Id., p. XI.
ANTOVANI 10
esorcismo e come terapia; i gesti sobri, lenti e meticolosi dei malati di mente in
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libera uscita” .
Il racconto Padri e Figli conclude la raccolta, anche se non è stato scritto per
ultimo. È tuttavia comprensibile perché lo scrittore volle collocarlo alla fine. È una
sorta di congedo. Nick, ormai adulto, guida l’auto accanto al figlio e tra sé e sé
rievoca le avventure di caccia di quando aveva la sua età. Dal lontano passato si
staglia nella memoria il padre, che un giorno Nick addirittura vagheggiò di uccidere
col fucile avuto in regalo da lui stesso. Il distacco del genitore avviene nel momento<