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ESI DELL EFFETTO MERAMENTE INVALIDANTE E LE SUE

CONSEGUENZE

La tesi dell’effetto meramente invalidante è stata per lungo tempo, la più

valida da un punto di vista dottrinale, secondo cui l’annullamento

giurisdizionale, in quanto circoscritto all’atto impugnato, ha la capacità di

incidere solamente sulla validità dello stesso, proprio perche

consequenziale. Proprio per questo la dottrina, antecedentemente prevedeva

che il ricorrente fosse gravato dall’onere di proporre specifica impugnazione

anche contro quest’ultimo, pena l’inammissibilità del gravame avanzato

avverso l’atto precedente, qualora fosse sorretto solamente dall’interesse

all’annullamento dell’atto successivo . A giustificare tale assunto. Era

44

addotto la situazione giuridica in cui, non potendosi eliminare gli atti

successivi lesivi degli interessi del ricorrente, divenuti inoppugnabili per

43

F G , "La giurisdizione "amministrativa", Cedam, Padova,

ALCON IANDOMENICO

2013, p.157.

44

G P , Procedura Amministrativa, Il Mulino, Bologna, 2012, p.465.

ASPARRI AOLO

mancata tempestività nella proposizione del ricorso, si sarebbe rivelata

sterile l’eliminazione dell’atto presupposto. Da parte della dottrina, dunque,

vi era la convinzione che l’annullamento giurisdizionale, in quanto limitato

all’atto impugnato, fosse in grado di produrre effetti solo su questo, e mai su

di un successivo atto ad esso consequenziale. In questa prospettiva l’istituto

dei motivi aggiuntivi assolve la funzione di strumento di fondamentale

censura dei provvedimenti adottati nell’ambito della sequenza

procedimentale cui appartiene l’atto già impugnato con il ricorso principale.

2.7 I ’

MOTIVI AGGIUNTI E L ACCESSO AGLI ATTI IN PENDENZA DEL

PROCESSO DI SECONDO GRADO

Altra accesa disputa dottrinale, si è avuta per capire nel caso in cui, la

sopravvenuta conoscenza di un nuovo vizio, si verificasse nel periodo

successivo alla conclusione del giudizio di primo grado, in pendenza del

giudizio di appello o dei termini per instaurare lo stesso, se i motivi aggiunti

(riguardanti i vizi sopraggiunti), dovessero essere posti dinanzi al giudice di

appello, o sottoposti dinanzi al TAR, con la proposizione di un autonomo

ricorso. La tesi giurisprudenziale che si era affermata al riguardo, prevedeva

che la proposizione dei motivi aggiuntivi, la sopravvenuta conoscenza,

avvenga entro il processo di appello . Questa previsione era fondata

45

sull’estensione al giudizio amministrativo, dei principi propri del processo

civile, dove è d’uso comune, ovvero pacifica, l’introduzione nel giudizio di

appello, di sopravvenienze di fatto o di diritto, la cui tardiva allegazione non

possa essere imputata alle parti . Opposta a questa tesi, parte della

46

giurisprudenza ha affermato che nel processo amministrativo, il principio

del doppio grado di diritto fonda le sue radici direttamente nell’ art.125

Cost., e che quindi non appare pertinente il richiamo ai principi elaborati per

il processo civile, nei quali il doppio grado è previsto solo dalla legge

processuale . Il potere di impugnativa dell’atto amministrativo ha diversa

47

natura, e sussiste a prescindere dalla pendenza del giudizio d’appello, il cui

stato di ammissibilità e procedibilità, non può condizionarne il frammento di

pretesa rimasto indedotto . Quindi la legittimazione ad accedere non

48

sussiste solo in caso di “legittimazione ad impugnare” il provvedimento

45

F , Il “doppio grado” nella legge sui Trib. Amm., Giuffrè Editore,

AZZALARI

Milano, p.172.

46

P P , La nuova disciplina del processo civile, IBS, Napoli, 1991, p.230.

ROTO ISANI

47

M , I Motivi Aggiunti nel Processo Amministrativo, Cedam, Padova, 2013,

IGNONE

p.164.

48

G , Il Dir. Processuale Aministrativo, Cedam, Padova, 2011, p.308.

ATTAMELATA

finale, essendo il diritto di accesso sorretto, anche da una funzione

partecipativa e di controllo sulla trasparenza e sull’imparzialità

amministrativa. Quindi, diviene sufficiente che l’istante sia titolare di una

posizione giuridicamente rilevante e che il suo interesse alla richiesta si

fondi su tale posizione. Quindi essendovi un’autonomia conclamata del

diritto di accesso, l’orientamento giurisprudenziale di massima, si è ritenuto

d’accordo con l’esperibilità dell’ actio ad exhibendum (ex art. 25 legge n

241/1990) in pendenza di giudizio, confermata poscia, ed in maniera

definitiva dall’Art.1 della legge 205/2000, che presupponendo

pacificamente l’accesso agli atti, anche dopo la proposizione del ricorso

giurisdizionale, ne disciplina le modalità, introducendo alcune interessanti

novità. Quindi in un’ottica di semplificazione, di economia processuale e di

riduzione dei tempi processuali, il legislatore ha eliminato la necessità di un

autonomo giudizio contro il diniego di accesso, qualora sia già pendente un

ricorso. Quindi ho sostanzialmente previsto che in pendenza di un ricorso,

un’impugnativa contro un diniego di accesso, possa essere presentata con un

istanza al presidente, e depositata presso la segreteria della sezione cui è

assegnato il ricorso, previa giusta notifica all’amministratore ed ai contro

interessati; verrà decisa con un’ordinanza istruttoria adottata in camera di

consiglio . Sia chiaro, il collegio, potrà decidere discrezionalmente se

49

49

P G , Istituti di semplificazione del nuovo processo amministrativo,

ATRONI RIFFI

Giappichelli editore, Torino, 2012, p.74.

accogliere o meno, la richiesta di accesso valutando se il documento possa,

o meno, risultare rilevante per il processo in atto . Detta previsione, è stata

50

confermata dal Consiglio di Stato, che ha affermato che l’ordinanza

istruttoria adottata ai sensi dell’art.1, della legge 205/2000 deve essere

assunta sul presupposto della acclarata utilità dei documenti ai fini della

decisione, e non solo sulla base della riscontrata sussistenza di legge,

secondo le previsioni della legge 241/1990 .

51

2.8 I “ ”

MOTIVI AGGIUNTI IMPROPRI E LA PERENZIONE

Con l’omessa presentazione, entro i termini di legge, della domanda di

fissazione d’udienza, relativa al ricorso originario sui motivi aggiunti

“impropri”, si incorre nel problema della perenzione e dei suoi effetti. Nel

2013, si sono avute pronunce da parte di un giudice amministrativo di primo

grado e di un giudice di appello, ma che sono giunte a diverse conclusioni;

in entrambi i casi, scarsamente supportate, le decisioni, da un supporto

motivazionale. La ratio della soluzione è da ricercarsi analizzando i rapporti

intercorrenti fra atto introduttivo del giudizio e motivi aggiunti, ponendo

massima attenzione al grado di autonomia che la giurisprudenza più recente

ha ritenuto di dover riconoscere ai motivi aggiunti, seppure a conclusione di

50

B , il diritto processuale amministrativo, Cedam, Padova, 2003, p.16.

ERTONAZZI

(Il regime dell’istanza incidentale con particolare riferimento al termine perentorio

per la sua proposizione ed alla corretta instaurazione del contraddittorio).

51

Consiglio di Stato, ord.22 gennaio 2002, n.397, in Urb e app. 2002,p.548.

una rinnovata lettura della normativa in materia. La prima delle sentenze è

quella emessa, dal TAR del Lazio, chiamato a pronunciare sull’opposizione

ad un decreto presidenziale, che aveva dichiarato la perenzione di ricorsi (il

primo proposto con l’atto introduttivo del giudizio, il secondo con l’atto di

motivi aggiunti) per omessa presentazione dell’istanza di fissazione

d’udienza nel termine fissato dall’art. 23, co. 1, l. 6.12.1971, n. 1034 (ed ora

art. 71, co. 1, c.p.a.), si è posto il problema se la perenzione, accertata in

effetti con riferimento solo alla data di proposizione del ricorso principale,

poteva intendersi legittimamente estesa anche ai ricorsi per motivi aggiunti

proposti successivamente. Con ord. n. 635 del 21.1. 2013 la sez. II bis ha

dato al problema risposta negativa e l’ha motivata con riferimento alla

circostanza che, nel caso al suo esame, i motivi aggiunti non avevano

carattere di accessorietà, cioè non erano motivi aggiunti cd. propri, ma si

concretizzavano in nuove, distinte ed autonome domande, ancorché

connesse, proposte ex art. 43, co. 1, c.p.a. nella forma dei motivi aggiunti

cd. impropri, solo per esigenze di concentrazione processuale. Il decorso del

termine fissato per la presentazione della domanda di fissazione d’udienza

andava quindi verificato con riferimento alla data dell’atto introduttivo del

giudizio, con la conseguenza che la perenzione poteva travolgere solo

questo, e non anche gli autonomi motivi aggiunti successivamente

52

notificati . Il decreto presidenziale, nella parte in cui estendeva la

prescrizione anche a questi ultimi, è stato quindi annullato. Di diverso

avviso, di lì a qualche mese, i giudici del Consiglio di Stato, la VI sezione,

che interrogati sulla questione sono pervenuti, con l’ord. 16.7.2013, n. 3870

a conclusioni diametralmente opposte. La VI Sezione del Consiglio di Stato

ha argomentato, ritenendo che la perenzione è causa di estinzione del

“processo” e non del solo “ricorso”; la motivazione addotta è che il ricorso

per motivi aggiunti c.d. impropri, pur proponendosi come domanda nuova

rispetto al ricorso originario, inerisce allo stesso processo, atteso che la sua

ragion d’essere è consentire alle parti di proporre simultaneamente, nello

stesso processo, domande relative ad atti distinti, ma connessi; la

conclusione è che la perenzione determina l’estinzione del processo e,

quindi, l’inefficacia anche dei ricorsi per motivi aggiunti cd. impropri. Per

superare questo contrasto fra il giudice di primo grado e quello di appello, o

meglio alle conclusioni a cui sono pervenuti gli uni e gli altri, la

giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che per dirimere la questione,

fosse necessario fare chiarezza su alcune questioni preliminari, prima fra

tutte il rapporto fra l’atto introduttivo del giudizio e l’atto di motivi aggiunti.

La giurisprudenza amministrativa, ha inteso sottolineare, nella sua analisi

chiarificatrice che per motivi aggiunti devono intendersi, ai sensi dell’art.

52

M , Il nuovo processo amministrativo, Utet, Torino, 2013, p.379.

AMELI

43, co. 1, c.p.a., sia censure nuove, dedotte nei confronti del provvedimento

già impugnato con l’atto introduttivo del giudizio al fine di denunciare

ulteriori suoi vi

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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher raiolaernesto di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto processuale amministrativo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Leone Giovanni.