Gli accordi di trasferimento di tecnologia
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l'obbligo di contestare la validità dei diritti di proprietà di beni
immateriali, detenuti dal licenziante, si applica sia ai rapporti tra
imprese concorrenti che non concorrenti (Scuffi eFranzosi, 2013,
987 e ss). Siffatti obblighi, infatti, possono ridurre gli incentivi del
licenziatario a innovare, proprio perché impediscono a
quest’ultimo di sfruttare (tra l’altro tramite la concessione di
licenze a terzi) i perfezionamenti realizzati. Il beneficio di
esenzione viene riconosciuto, dunque, solo alle clausole di grant
back non esclusive.
Le linee guida estendono il trattamento più severo previsto per
le clausole esclusive anche a quelle reciproche, precisando altresì
che i divieti di cui alla lettera a) prescindono dal fatto che il
licenziante paghi un corrispettivo per l’acquisizione dei
perfezionamenti o per l’ottenimento di una licenza esclusiva, senza
con ciò togliere che l’esistenza e l’entità di tale corrispettivo
possono essere un fattore rilevante ai fini della valutazione
individuale: quando le retrocessioni sono concesse dietro
pagamento di un corrispettivo, infatti, è meno probabile che
l’obbligo determini per il licenziatario un disincentivo
all’innovazione.Un altro fattore importante ai fini della valutazione
delle retrocessioni esclusive al di fuori del campo di applicazione
dell'esenzione per categoria è la posizione di mercato del
licenziante sul mercato delle tecnologie. Quanto più forte è la
posizione del licenziante, tanto maggiore è la probabilità che gli
obblighi di retrocessione esclusiva abbiano effetti restrittivi della
concorrenza nel settore dell'innovazione. Quanto più forte è la
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posizione della tecnologia del licenziante, tanto più importante è
che il licenziatario possa diventare una fonte importante di
innovazione e di concorrenza futura.
L’impatto negativo degli obblighi di retrocessione può essere
ancora maggiore nel caso delle reti parallele di accordi di licenza
che prevedano tali obblighi. Quando le tecnologie disponibili sono
controllate da un numero ristretto di licenzianti che impongono ai
licenziatari obblighi di retrocessione esclusiva, i rischi di effetti
anticoncorrenziali sono maggiori rispetto al caso in cui vi siano una
serie di tecnologie e solo alcune di esse vengano concesse in
licenza in condizioni di retrocessione esclusiva.
L’intenzione, come detto, è di incentivare i licenziatari ad
innovare e sviluppare loro stessi nuove tecnologie, sapendo che
saranno liberi di sfruttare tali innovazioni piuttosto che doverle
retrocedere al licenziante su base esclusiva. Tuttavia, pare lecito
chiedersi se la revisione effettuata crei un bilanciamento equo tra
interessi dei licenzianti e dei licenziatari. Infatti, in settori in cui
l’investimento in ricerca e sviluppo è considerevole la
retrocessione può creare un importante incentivo ai licenzianti per
collaborare con i terzi. Inoltre, la Commissione sembra presumere
che il licenziante sia sempre più grande e potente del licenziatario,
mentre in alcuni settori è spesso vero il contrario ed il licenziatario
è perfettamente capace di tutelare i propri interessi durante le
trattative (Ubertazzi, 2007,3 e ss).
Gli obblighi di retrocessione non esclusivi, invece, rientrano nel
campo d'applicazione del RECTT, anche nel caso si tratti di
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obblighi di retrocessione non reciproci, ossia imposti solo a carico
del licenziatario, e nel caso in cui, in virtù dell'accordo, il
licenziatario abbia diritto a trasferire i perfezionamenti ad altri
licenziatari. Un obbligo di retrocessione non reciproco può
promuovere la diffusione di nuove tecnologie, in quanto consente
al licenziante di determinare liberamente se e in che misura
trasferire ai propri licenziatari i perfezionamenti da esso realizzati.
La clausola di trasferimento può anche promuovere la diffusione
della tecnologia, in quanto al momento di concludere l'accordo
ogni licenziatario sa che godrà di condizioni di parità rispetto ad
altri licenziatari per quanto riguarda la tecnologia alla base della
sua produzione.
Gli obblighi di retrocessione non esclusivi possono avere effetti
negativi sull'innovazione nel caso in cui imprese concorrenti si
concedano reciprocamente una licenza e l'obbligo di retrocessione
a carico di entrambe le parti si combini con un obbligo, per
entrambe le parti, di condividere con l'altra parte i perfezionamenti
apportati alla propria tecnologia. La condivisione di tutti i
perfezionamenti tra concorrenti può impedire a ciascun concorrente
di conseguire un vantaggio competitivo sull'altro. È tuttavia
improbabile che alle parti venga impedito di conseguire un
vantaggio competitivo sull'altra parte quando l'obiettivo della
licenza è consentire alle parti di sviluppare le rispettive tecnologie
e quando la licenza non li induce ad utilizzare la stessa base
tecnologica per la progettazione dei loro prodotti. È quanto avviene
quando l'obiettivo della licenza è la creazione della libertà di
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progettazione piuttosto che il miglioramento della base tecnologica
del licenziatario.
3. La normativa antitrust comunitaria in caso di monopolio
brevettuale.
Per loro caratteristica intrinseca i diritti di privativa assegnano a
altre imprese dall’utilizzo
chi ne è il titolare un diritto di escludere
del diritto stesso. Ciò spinge parte della dottrina ad assimilare la
posizione del soggetto titolare del diritto a quella del monopolista
legale: la proprietà intellettuale assegnerebbe una riserva di attività
all’oggetto del diritto, permette al titolare
che, seppure delimitata di
comportarsi allo stesso modo di un monopolista. Secondo altri,
l’erroneità della tesi che tende a ricondurre il titolare di un diritto di
proprietà intellettuale ad un monopolista emerge, a maggior
ragione, nei settori ad alto contenuto tecnologico, caratterizzati da
una dinamicità tale da determinare una altissima instabilità di
qualsiasi posizione dileadershipdel mercato, tale da disintegrare in
pochissimo tempo i vantaggi derivanti dai diritti esclusivi collegati
a determinate tecnologie.
Più in generale, in letteratura da sempre vi è una animata
discussione sulla ricostruzione dei rapporti tra proprietà
intellettuale e concorrenza(Autieri e Floridia et.al.2001, 419). In
linea di massima, sono due le tesi che si contendono il campo,
arrivando a conclusioni completamente diverse rispetto al rapporto
tra le due discipline. Secondo un primo orientamento, il rapporto
tra proprietà intellettuale e concorrenza è un rapporto
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fisiologicamente conflittuale in quanto le due materie sono volte a
tutelare diritti ed interessi contrapposti. Da un lato, il diritto
antitrust mira a preservare il corretto funzionamento del mercato,
andando letteralmente ad estirpare condotte che rappresentano una
lato, i diritti di
vera e propria perdita di efficienza;dall’altro
proprietà intellettuale, perseguendo lo scopo di incentivare
l’attività inventiva o la produzione e diffusione di cultura,
produconouna deformazione della concorrenza stessa attraverso
l’attribuzione di diritti di esclusiva che permettono al titolare di
sottrarsi alle regole di normale funzionamento del mercato.
Un altro orientamento dottrinario propone una lettura diversa di
questo binomio. Il fatto che si tratti di due discipline con obiettivi
di tutela diversi non significa di per sé che il loro rapporto debba
essere conflittuale. Anzi, si tratterebbe di un motivo in più per
sostenere un rapporto di complementarità tra le due branche.
Infatti, il fine perseguito dalla proprietà intellettuale, in particolare
quello di favorire lo sviluppo tecnologico, non mina la
concorrenza, ma attua quest’ultima ad un livello diverso.
Sembrerebbe, più che una diversità di obiettivi tra le due discipline,
una diversità dei mezzi utilizzati per perseguire un obiettivo più
vasto: il benessere economico sul mercato.
Sebbene la seconda teoria proponga una soluzione meno
“rigida” alla dicotomia antitrust/proprietà intellettuale, se non ci
limitiamo ad un semplice paragone tra le due discipline, ma
l’attenzione sulla fase
focalizziamo applicativa, la presunta
convergenza tra le due aree del diritto in questione stenta a
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manifestarsi. La prassi delle autorità antitrustdimostra, infatti, che,
per un verso, spesso i mezzi che la disciplina della proprietà
intellettuale mette a disposizione per la realizzazione di quei nobili
fini di cui si parlava poc’anzi sono oggetto di un vero e proprio
abuso da parte dei titolari, abuso che si sostanzia nella
strumentalizzazione dei diritti di privativa per la realizzazione di
finalità anticoncorrenziali; per altro verso, ogni qualvolta il titolare
si rifiuta si concedere in licenza il proprio diritto di proprietà
intellettuale (il che rappresenta una manifestazione legittima del
potere a lui attribuito dall’esclusiva), il diritto della concorrenza
(perlomeno quello comunitario), se considera tale risorsa
essenziale, interviene sacrificando proprio quel diritto riconosciuto
dalla proprietà intellettuale ed imponendo una licenza obbligatoria
(Colangelo, 2008).
Come ben noto, il parametro più importante ed utilizzato ai fini
della individuazione di una posizione dominante è quello che si
allo studio delle quote di mercato detenute dall’impresa
riferisce
oggetto di analisi antitrust. Però, nel tempo sono stati elaborati
degli indici ulteriori, che spesso vengono utilizzati per completare i
criteri più noti come quelli delle quote di mercato. E tra questi vi è
il criterio che prende in considerazione i vantaggi tecnologici di cui
gode la presunta impresa dominante per effetto di brevetti o altri
diritti di proprietà intellettuale. Pertanto, un diritto di privativa
anche se non determina di per sé una posizione dominante in capo
a chi la detiene, poiché dalla titolarità di esse non discende una
automatica titolarità di importanti quote di mercato,
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all’impresa dei vantaggi, soprattutto in termine di
tuttaviaassicura
barriere all’ingresso per gli altri concorrenti, vantaggi che
aumentano sensibilmente le probabilità che l’impresa si trovi o
passa trovarsi in una posizione dominante.
In ogni caso, è bene ricordarlo, anche qualora dovesse essere
accertato, nel caso concreto, che il titolare di un diritto di privativa
detiene una posizione dominante, ciò che rileva giuridicamente è
che vi sia un abuso di tale posizione,il che, in generale, si verifica
ogniqualvolta l’impresa dominante, facendo ricorso a strumenti
diversi da quelli che un’altra impresa utilizzerebbe in condizioni
normali di mercato, limita la concorrenza residua nel settore o
impedisce l’ingresso a nuovi operatori.
3.1Essentialfacilitiesdoctrine
Tra gli strumenti per mezzo dei quali si attua la politica della
concorrenza, la essentialfacilitydoctrine(EFD) rappresenta la
principale forma di impiego dell’antitrust come forma di controllo
della proprietà intellettuale e riscuote particolare successo in ambito
comunitario proprio nel momento in cui appare screditata negli
Stati Uniti (Colangelo, 2008).
Già normalmente il rifiuto di contrarre da parte di una impresa
dominante obbliga il sistema ad operare una difficile mediazione tra
due esigenze contrapposte: da un lato, garantire lo sviluppo della
concorrenza e, dall’altro, evitare di opprimere ulteriormente la
posizione dell’impresa dominante ottenendo così come risultato un
disincentivo agli investimenti. Quando sono coinvolti dei diritti di
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proprietà intellettuale il livello di complessità aumenta
ulteriormente, in quanto i diritti di esclusiva derivanti dalle
privative hanno lo scopo di incentivare l’attività di ricerca e di
sviluppo tecnologico. Di conseguenza, la mediazione tra le due
esigenze diventa cruciale per non alterare l’equilibrio di un sistema
nel quale l’incentivazione allo sviluppo tecnologico e culturale
rappresenta l’essenza stessa della proprietà intellettuale.
Più in generale, le autorità antitrust, nel momento in cui sono
chiamate ad applicare i principi dell’essentialfacility finiscono, di
fatto, per svolgere una funzione di regolazione del mercato,
sconfinando dalle prerogative ad esse spettanti. Un pericolo
esplicitamente richiamato dalla Corte Suprema statunitense nella
sentenza Trinko, ovvero il momento di massimo divario tra la
posizione statunitense e quella europea sulla dottrina
dell’infrastruttura essenziale. Per la Corte Suprema, il mero fatto di
detenere un potere monopolistico, e di imporre in conseguenza
prezzi monopolistici, non solo non è illecito, ma è un importante
elemento di un sistema di libero mercato: per salvaguardare
l’incentivo ad innovare, il possesso di un potere monopolistico non
può essere considerato illecito a meno che non si accompagni ad un
comportamento anticoncorrenziale, sicché imporre alle imprese di
condividere un’infrastruttura è in contrasto con l’obiettivo di base
del diritto della concorrenza in quanto in grado di diminuire
l’incentivo ad investire sia per il monopolista sia per i suoi rivali
(Colangelo, 2008). 31
Innanzitutto, poniamoci il problema di capire, in generale, il
contenuto della dottrina delle essentialfacilities, per poi
concentrarci sui doverosi adattamenti che sono stati fatti per
applicare tale principio alla proprietà intellettuale (Bertani, 2004,
276 ss.). La dottrina delle infrastrutture essenziali è forse quella che
più ha dato spinta ai processi di liberalizzazione dei mercati avviati
negli ultimi decenni. È chiamata anche dottrina delle
bottleneckfacilitiesproprio a sottolineare la presenza di uno stretto
passaggio di ingresso al mercato, tenuto sotto controllo da chi
detiene la posizione dominante. per l’ipotesi in cui la risorsa
Gli stessi principi sono stati ripetuti
essenziale sia protetta da diritti di proprietà intellettuale, rispetto ai
quali il rifiuto rappresenta l’estrinsecazione più ovvia del potere di
esclusiva conferito dalla privativa.Il dato in più interessante
nell’ipotesi di nostro interesse, l’infrastruttura
consiste nel fatto che,
essenziale è dunque rappresentata da beni intangibili, coperti da
diritti di proprietà intellettuale: sì che alla questione puramente
concorrenziale si sovrappone l’interfaccia con la proprietà
intellettuale, propiziando lo stabilirsi di una sorta di rapporto di
genere a specie tra la dottrina delle essentialfacilities e quella della
licenza obbligatoria nelle ipotesi di abuso di posizione dominante
(Granieri e Pardolesi, 2004, 6 ss.). Non sorprende, allora, che la
prima assurga al ruolo di momento esponenziale di un conflitto
intrinseco, ai limiti del paradossale, tra logiche difficilmente
L’espediente con il quale le
conciliabili. corti hanno di norma
cercato di stemperare il paradosso è stato il ricorso alla formula che
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subordina a circostanze eccezionali la possibilità di far scattare la
responsabilità da abuso di posizione dominante e depotenziare la
posizione di privilegio del titolare del diritto di proprietà
che l’ordinamento giuridico
intellettuale gli aveva concesso per
altre vie.
Nella formulazione generale, la essentialfacilitiesdoctrine
prevede il riscontro di tre condizioni: 1. che verosimilmente al
rifiuto di contrarre conseguirà l’eliminazione del concorrente
intenzionato a fornire un prodotto non ancora presente sul mercato;
2. che non vi siano obiettive giustificazioni al rifiuto; 3. che
l’infrastruttura alla quale si nega l’accesso sia indispensabile per
l’attività economica sul mercato rilevante in quanto non esistano
sostituti attuali o potenziali.
In Europa la essentialfacilitydoctrine ha trovato applicazione in
materia di proprietà intellettuale per via di una casistica
giurisprudenziale che ha rivisitato il classico paradigma delle
infrastrutture essenziali, plasmando le c.d. circostanze eccezionali.
Con Magill si esplicitano, per la prima volta, i presupposti per
sindacare gli ambiti di legittimo esercizio del potere di esclusivae
si realizza il momento di massima apertura verso l’applicazione
della suddetta dottrina: la giurisprudenza successiva, pur
rimanendo nel solco segnato da Magill, sarà impegnata a
depotenziare la portata espansionistica del messaggio in essa
contenuto, proponendo un’interpretazione meno rigorosa dei
requisiti indicati (Colangelo, 2008).
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Le «circostanze eccezionali» considerate al fine di qualificare la
condotta come abusiva sono l’assenza di un sostitutoreale o
potenziale di una guida televisiva settimanale in grado di offrire
informazioni sui programmi della settimana successiva; la
circostanza che il rifiuto opposto dalle emittenti ha ostacolato
l’emergere di un prodotto nuovo, una guida settimanale completa
dei programmi televisivi per cui sussisteva una domanda potenziale
da parte del consumatore; l’impossibilità di invocare una
giustificazione per tale rifiuto; e, infine, l’essersi riservato
attraverso siffatta condotta un mercato derivato, quale quello delle
guide televisive settimanali (Colangelo, 2008). I requisiti del
prodotto nuovo e del mercato secondario sono quelli
principalmente pensati per gestire l’equilibrio tra antitrust e
proprietà intellettuale, tra esigenze di apertura del mercato e tutela
degli incentivi privati ad innovare: quello del mercato secondario è
diretto a circoscrivere la tutela del titolare del diritto di privativa
dalla concorrenza sul mercato primario nel quale la tecnologia
viene impiegata, senza riservargli un ingiustificato potere anche sui
mercati diversi, a valle; quello del prodotto nuovo è pensato per far
sì che gli interessi legittimi del titolare della privativa non possano
al punto di sacrificare l’interesse generale
essere salvaguardati sino
all’innovazione.
Le successive evoluzioni giurisprudenziali si sono soffermate
proprio sul mercato secondario e sul requisito del prodotto nuovo,
attenuandoli significativamente. In particolare, nel caso IMS,
doveil motivo del contendere è rappresentato dal rifiuto di
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concedere in licenza ad un concorrente l’uso di una banca dati,
sebbene non sia dato riscontrare per il richiedente un mercato
merceologico distinto da quello in cui opera il titolare del diritto di
proprietà intellettuale, la Corte di giustizia si accontenta di rilevare
un mercato potenziale o addirittura ipotetico, nel senso di
considerare non necessaria l’effettiva commercializzazione degli
input essenziali (Colangelo, 2008). Successivamente, in Microsoft,
ad essere riformulati è il requisito del prodotto nuovo, da intendersi
integrato secondo la Corte anche dinanzi alla presenza di un mero
avanzamento tecnico.
Gli strumenti per mezzo dei quali si attua la politica della
concorrenza, soprattutto nei suoi profili di tangenza con tematiche
giuridiche di carattere generale (quale il risarcimento del danno)
non possono fare a meno di confrontarsi con questioni
fondamentali del diritto civile (Ubertazzi, 2010, 20). Ne consegue
che il tema della licenza obbligatoriacome rimedio
comportamentale nel diritto antitrust deve, per forza di cose, essere
letto alla luce dei principi che governano la responsabilità (Vanzetti
e Di Cataldo, 2012, 213ss.;Granieri e Pardolesi, 2004, 109 ss). E da
questo punto di vista la dottrina delle essentialfacilities appare
sostanzialmente estranea alla logica antitrust. Per di più anche
ulteriori ipotesi di obbligo a licenziare, talora ricondotte a finalità
pro-concorrenziali, tornano ad acquisire il significato proprio del
contesto nel quale vengono previste.
Si danno due ipotesi generali nelle quali ricorrere alla licenza
obbligatoria: a) per posizione del licenziante; b) per responsabilità
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del licenziante. Appartengono alla prima categoria diverse
fattispecie, quali, ad esempio, l’obbligo di concedere licenza che
grava sul titolare di certificati complementari di protezione in
favore del produttore di farmaci generici, la licenza obbligatoria
prevista dalla legge brevetti per le ipotesi di mancata attuazione
dell’invenzione e, negli Stati Uniti, la licenza obbligatoria per
invenzioni accademiche non adeguatamente sfruttate a beneficio
del pubblico.Fa capo, invece, alla categoria delle responsabilità del
licenziante, la licenza obbligatoria come rimedio antitrust, che,
tuttavia, si presta, a sua volta, ad una doppia declinazione, vale a
dire: come rimedio comportamentale e come intervento accessorio
o parzialmente alternativo ad un rimedio strutturale. Dal primo
angolo di visuale, essa non risulta codificata nel diritto positivo, ma
al comportamento dell’impresa
riemerge sotto forma di correttivo
in posizione dominante, quale specie del più ampio genere del
rifiuto di contrarre (Vanzetti e Di Cataldo, 2012, 219 ss.).Dal
secondo, la licenza obbligatoria viene usata nei casi di fusioni
condizionate.
Per quanto dal loro materializzarsi derivino talora effetti
collaterali positivi in termini di concorrenza, le ipotesi di posizione
del licenziante non possono strutturalmente essere in alcun modo
confuse con quelle di responsabilità del licenziante, poiché in
quest’ultimo caso l’obbligo discende dal provvedimento di
un’autorità e presuppone l’accertamento di una responsabilità e la
soggezione al potere amministrativo; mentre nella licenza per
ragioni di posizione del licenziante, l’obbligo deriva direttamente
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prescinde dall’accertamento di una qualsivoglia
dalla legge, ma
responsabilità, che potrebbe aversi soltanto in presenza di potere di
mercato e accertato comportamento abusivo.
L’essentialfacilitiesdoctrine è, a ben vedere, una mescolanza
delle due fattispecie, poiché la responsabilità viene fatta coincidere
con la situazione di titolarità dei diritti sull’infrastruttura essenziale
e, in definitiva, con la posizione del titolare di diritti di proprietà
intellettuale. Ma questi non è responsabile dello status di
legale rispetto alla creazione o all’invenzione protetta
monopolista
e non può essere giudicato responsabile per essersi rifiutato di
condividere la risorsa con i concorrenti, a prescindere da quanto la
stessa sia essenziale e di quanto odioso appaia il rifiuto. Al dunque,
se si guarda al rifiuto ex se, quand’anche proveniente da impresa
dominante, non vi è modo di rintracciare una forma di
responsabilità che possa far scattare, come rimedio, il risarcimento
in forma specifica nella veste di licenza obbligatoria(Granieri e
Pardolesi, 2004, 6).
Prende, dunque, corpo il sospetto che per salvare la dottrina si
compiano operazioni interpretative che, alla prova dei fatti, svelano
l’equivoco (e l’ipocrisia giuridica) di fondo. Laddove la riflessione
antitrust è più sedimentata, sì è chiarito che il rifiuto di contrarre,
nella specie di rifiuto di licenza, non costituisce per se abuso del
diritto di brevetto.Nella misura in cui si sforza di incriminare il
mero rifiuto, la dottrina delle essentialfacilities risulta inutilmente
gravosa per il titolare della risorsa essenziale e autenticamente
sanzionatoria di una posizione, anziché di responsabilità da abuso;
37
qualora, invece, tenda a colpire un rifiuto condizionale, si rivela
l’impianto
una «superfetazione» pressoché inconciliabile con
antitrust(Granieri e Pardolesi, 2004, 7).
38
CAPITOLO II
IL TRATTAMENTO D I ALCUNE CLAUSOLE E
DEI POOLS
Sommario: 1. Le clausole di non contestazione. 2. Le royalties post-
expiration. 3. Gli accordi di transazione. 4. I pool tecnologici.
1. Le clausole di non contestazione
Le clausole di non contestazione sono quelle clausole che
impongono al licenziatario l'obbligo di non contestare la validità dei
diritti di proprietà di beni immateriali del licenziante. Quando il
titolare dei diritti di privativa, quali i brevetti, decide di concederli
in licenza, questo è costretto a prendere in considerazione anche il
rischio che i licenziatari possano contestare la validità del brevetto.I
licenziatari, infatti, potrebbero essere indotti ad intraprendere tali
azioni, attratti dalla prospettiva di usufruire della tecnologia
concessa in licenza senza dover corrispondere royalties. Qualora il
titolare del diritto di privativa, la conceda in licenza a soggetti
concorrenti, il rischio di vedersi contestata la validità del diritto è
sicuramente maggiore rispetto ai casi in cui la licenza viene
concessa a soggetti non concorrenti. Da un punto di vista del diritto
della concorrenza, le clausole di non contestazione possono
produrre sia effetti negativi che positivi sulla stessa. Su un piano
generale, i diritti di privativa che dovessero risultare invalidi si
trovano in potenziale conflitto con il divieto posto dall'art. 101 del
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TFUE, in quanto la loro protezione non potrebbe essere più
giustificata sulla base di principi di interesse pubblico.
L'obbligo di pagare royalties per la concessione di diritti di
proprietà intellettuale invalidi potrebbe contribuire ad un artificiale
incremento dei prezzi. Una clausola di non contestazione, inserita
in un contratto con cui si concede in licenza un diritto di privativa
invalido, può esercitare sulla concorrenza gravi effetti negativi e
non apportare alcun beneficio, in quanto, oltre a far rialzare i prezzi
del prodotto oggetto di licenza, può anche impedire al licenziatario
di concorrere con il licenziante.
D'altro canto, in determinate circostanze, le clausole di non
contestazione possono facilitare la concessione di una licenza e la
diffusione della tecnologia.
Sipensi al caso delle piccole e medie imprese che concedono in
licenza i loro diritti ad un'impresa di grandi dimensioni. In tali
circostanze, le piccole e medie imprese temono che il licenziatario
si appropri del know-how e possa poi contestare la validità del
brevetto. Mentre per le PMI questo è un rischio concreto, la società
di grandi dimensioni non incontrano di solito difficoltà a sostenere
i costi di un'azione di contestazione, al fine di poter ottenere libero
accesso alle tecnologie sotto licenza. Il problema può essere risolto,
dunque, inserendo nel contratto una clausola di non contestazione.
Le clausole di non contestazione, le quali impediscono al
licenziante e al licenziatario di contestarsi la validità dei rispettivi
diritti di proprietà intellettuale, non beneficiavano del safe-harbour
(porto sicuro) nel precedente Regolamento (Reg. n. 772/2004),
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venendo sempre considerate contrarie all’art. 101, par. 1, TFUE. Il
licenziante, tuttavia, poteva legittimamente provvedere
all’interruzione dell’accordo se il licenziatario contestava la
validità dei diritti di proprietà intellettuale specificamente oggetto
dell’accordo di licenza.
La clausola del Reg. 316/2014, che riconosce la facoltà del
licenziante di interrompere l’accordo quando il licenziatario
contesti la validità dei diritti tecnologici oggetto della
dell’esenzione dall’applicazione dell’art. 101
licenza,beneficia
TFUE soltanto nell’ambito di accordi di licenza esclusivi.
La bozza del 2013 delregolamento in esame aveva addirittura
escluso l’esentabilità della terminationclause anche con riferimento
agli accordi di licenza esclusiva(Franzosi, Scuffi, 2014, 988); nel
corso della consultazione la scelta dell’esecutivo europeo è stata
però differente a causa delle pesanti critiche subite da parte di
influenti società titolari di diritti tecnologici.
Un esempio ci viene offerto dalle osservazioni presentate da
Microsoft, proprio in conformità del dibattito seguito alla
pubblicazione della prima bozza.La Microsoft ha infatti osservatoil
fatto che la facoltà per il licenziante di interrompere l’accordo,
laddove il licenziatario contesti la validità dei diritti tecnologici
dati in licenza, dovrebbe essere sempre ammessa, salvo l’ipotesi in
cui i titoli dati in licenza costituiscano brevetti essenziali ai fini del
rispetto di uno standard (Lo Bue, 2015). Microsoft, rilevando come
le clausole di non contestazione favoriscano la stabilità delle
relazioni commerciali, ha evidenziato l’importanza di introdurre
41
dei meccanismi che limitino alla fase precedente alla conclusione
del contratto la possibilità per i licenziatari di contestare la validità
dei diritti tecnologici oggetto del futuro accordo (Lawrance, 2014,
412).
In modo particolare, Microsoft si è soffermato sul fatto che
«quando un licenziatario contesta la validità dei diritti tecnologici
ilcuore dell’accordo, e l’esclusione del
concessi in licenza colpisce
diritto del licenziante di ritirare la licenza può produrre effetti
negativi sugli accordi in vigore, oltre che disincentivare la
2
concessione di nuove licenze in futuro» (Lo Bue, 2015, p. 7). Non
è da sottovalutare il fatto che ad opporsi non vi fu soltanto la
società Microsoft ma anche altre aziende partecipanti al market
test. In particolare, sia France Telecom-Orange che Shell, hanno
evidenziato che, soprattutto nel caso di licenza esclusiva, il
licenziatario generalmente non avrebbe incentivo a che i titoli di
proprietà intellettuale siano dichiarati invalidi, ma potrebbe
utilizzare la minaccia di una contestazione per mettere pressione
sul licenziante.
I rilievi avanzati da tali aziende hanno indotto la Commissione
a ritornare parzialmente sui propri passi e a mediare tra la
che prevedeva un’esenzione totale per le
disciplina pre-riforma,
clausole di non contestazione, ed il cambiamento realizzato nella
2 Public Consultation on Proposed Technology Transfer Package, Microsoft
Response, 17 maggio 2013, consultabile al seguente link:
http://ec.europa.eu/competition/consultations/2013_technology_transfer/microsoft
“When a
_en.pdf. licensee challenges the validity of the
licensedintellectualproperty, it strikes at the verysubjectmatter of the agreement
and potentiallydepriving the licensor of the right to respond by terminating the
licensehasseriousconsequences for bothexisting and future license agreements”.
42
bozza del nuovo regolamento, che aveva invece totalmente escluso
il safeharbour per detta clausola (Franzosi, Scuffi, 2014, p. 988).Il
ragionamento portato avanti dalla Commissione nell’introdurre una
differenza di trattamento tra accordi esclusivi e non esclusivi si
basa sulla scelta di perseguire un bilanciamento tra le due istanze in
gioco, ossia: il bisogno di preservare gli incentivi ad innovare e
dare in licenza e l’esigenza di assicurare che diritti tecnologici
e all’attività
invalidi siano rimossi come barriera all’innovazione
economica(Herrmann, 2015). L’obiettivo finale della Commissione
consiste quindi nell’incentivare le piccole e medie imprese
innovatrici a dare in licenza la loro tecnologia su base esclusiva,
senza creare una situazione di dipendenza verso i loro licenziatari.
Di converso, sembra che la Commissione si aspetti che i titolari di
una licenza non esclusiva si sentiranno più in grado di contestare i
diritti di proprietàindustriale, con la conseguente rimozione di quei
diritti tecnologici invalidi che vengono da sempre percepiti come
3
un ostacolo all’innovazione e alla concorrenza nel mercato .
2. Le royalties post-expiration
Nel 1964 grazie alla decisione Brulotte vs. Thys Co., la Corte
Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che il proprietario di un
brevetto non può ricevere i pagamenti dei diritti che maturano dopo
la scadenza di un brevetto. Quindi, in base a tale sentenza, il
3 Tale auspicio è espresso dalla Commissione nelle Linee guida sull'applicazione
dell'articolo 101 TFUE agli accordi di trasferimento di tecnologia, all’ultimo
periodo del paragrafo 235. Sul punto v. anche Corte di Giustizia UE, 25 febbraio
1986, caso C-193/83, Windsurfing v. Commission, par. 92, in Racc., 1986, 00611.
43
titolare del brevetto non può ricevere royalties per le vendite di un
licenziatario (o altre attività coperte dal brevetto) se queste si
verificano dopola scadenza del brevetto. Con il recente caso
Kimble v. Marvel Entertainment, la Corte Suprema si è rifiutata di
ribaltare questa massima. In linea generale, il titolare di un diritto
di proprietà intellettuale è libero di fissarne l’importo e le modalità
di pagamento. Tuttavia, mentre in Europa la libertà riconosciuta
alle parti di determinare l’importo e le modalità di pagamento delle
royalties include la possibilità di estendere i suddetti obblighi
anche oltre il periodo di validità dei diritti di proprietà intellettuale
concessi in licenza, nel contesto antitrust statunitense ciò non è
possibile (Colangelo e Pierucci, 2015, 423-440).
La decisione della Corte Suprema statunitense nel caso Kimble
evidenzia la difficile delimitazione delle aree di competenza della
protezione brevettuale e della tutela della concorrenza. In tal caso
la Corte Suprema americana ha richiamato l'attenzione sulla
convivenza di due filosofie giuridiche che, ridotte all'essenziale,
vedono da un lato svettare il primato dell'autonomia contrattuale e,
dall'altro, l'impostazione incentrata sui diritti di privativa
intellettuale. Tale sentenza ci fornisce l'occasione per inserirci nel
dibattito concernente la misusedoctrine(Colangelo, 2008, 49) e
l'incontro tra diritto della proprietà intellettuale e diritto antitrust,
tra abuso del sistema brevettuale ed analisi degli effetti prodotti sul
4
mercato secondo la "rule of reason" (Carli, 2015, 525).
4
Rule of reason: le esigenze imperative elaborate per la prima volta dalla Corte di
giustizia Europea nella sentenza Cassis de Dijon (CGUE, Cassis de Dijon,
44
Come per qualsiasi altro bene o servizio, il titolare di un diritto
di proprietà intellettuale è, in linea generale, libero di fissare
l’importo e le modalità di pagamento per la sua licenza. Anche se
la posizione americana, come detto, resta ancorata alla decisione
Brulotte, secondo le linee guida comunitariela libertà riconosciuta
alle parti di determinare l’importo e le modalità di pagamento delle
royalties include la possibilità di estendere i suddetti obblighi oltre
il periodo di validità dei diritti di proprietà intellettuale concessi in
licenza (Commissione europea, Linee direttrici sull’applicazione
dell’articolo 101 TFUE agli accordi di trasferimento di tecnologia,
184-187).
Secondo la Commissione europea, infatti, la pattuizione di
royalties post-expirationnon restringe la concorrenza perché una
volta estinti i diritti di proprietà intellettuale«i terzi possono
legittimamente sfruttare la tecnologia in questione e operare in
con le parti dell’accordo e questa concorrenza
concorrenza
effettiva e potenziale sarà di norma sufficiente ad assicurare che
l’obbligo in questione non determini effetti anticoncorrenziali
(Colangelo e Pierucci, 2015, 3, 423). Tra l’altro i
significativi»
sentenza 20 febbraio 1979, C-120/78) rispondono ad un criterio di ragionevolezza
e costituiscono un nuovo ordine di eccezioni all'esercizio delle libertà
fondamentali dell'Unione. Corte di giustizia ha individuato all'interno del solo
paragrafo 1 un test di ragionevolezza (rule of reason) rispetto ad intese aventi
caratteristiche ambivalenti, e cioè pro- ed anticompetitive: in altri termini,
secondo questa giurisprudenza già nell’art 101 del TFUE è possibile svolgere una
valutazione comparativa degli elementi pro ed anticompetitivi di un accordo, in
esito alla quale quest'ultimo può essere considerato non compreso nel divieto della
disposizione in esame, allorché sia accertato che le restrizioni alla libertà di azione
delle imprese hanno quale effetto quello di incentivare la concorrenza: a tale
scopo, l'interprete dovrà paragonare la situazione concorrenziale determinatasi in
conseguenza dell'intesa con quella che esisterebbe in assenza della medesima.
45
giudici comunitari, nella sentenza Ottung (Corte di giustizia, 12
maggio 1989, causa C-320/87, Ottung c. Klee &Weilbach e
Schmidt), avevano stabilito che un’obbligazione contrattuale,
secondo la quale il concessionario di una licenza per un’invenzione
brevettata è tenuto a pagare un corrispettivo a tempo indeterminato,
quindi anche dopo l’estinzione del brevetto, non costituisce una
restrizione della concorrenza, ma solo nel caso in cui il contratto
fosse stato concluso dopo la presentazione della domanda di
brevetto e immediatamente prima del rilascio dello stesso. In
questo contesto la Corte ha anche espressamente dichiarato che un
contratto di licenza riconosce al licenziatario la possibilità di
recedere liberamente con un preavviso ragionevole(Colangelo e
Pierucci, 2015, 423-440).Ribadiamo che con la sentenzaBrulotte la
Corte Suprema statunitense ha giudicato illecita la riscossione di
royalties oltre la durata del brevetto dato in licenza, ritenendola una
5
ingiustificata estensione del monopolio al pari del tying : «secondo
la Corte, tramite l’imposizione di una royalty post-expiration, il
titolare di un brevetto sarebbe in grado di mettere in atto un
patentleverage che gli consentirebbe di conseguire un profitto
6
maggiore di quello altrimenti conseguibile » (Colangelo, 2015,
425).
5
Il Tying consiste in un acquisto collegato di due prodotti: un prodotto principale e
un prodotto secondario il cui acquisto è determinato dall'uso del prodotto
principale.
6 La Corte caratterizzal’accordorelativo ad una royalty post-expiration come «a
telltale signthat the licensorwasusing the licenses to projectitsmonopolybeyond
the patent period» (Brulotte, cit., p. 32) e richiama, in proposito, le parole del
Chief Justice Stone in Scott Paper v. MarcalusMfg., 326 U.s., 1945, pp. 249, 256,
secondo il quale «anyattempted reservation or continuation in the patentee or
46
Nonostante tale orientamento giurisprudenziale persista, la
giurisprudenza successiva non ha mancato di rilevare come il
principio affermato in Brulotte sia ormai inadeguato, allineandosi a
fatica al precedente vincolante (Zila, Tinnell, 2007, p.1019-1020).
Tanto è vero che successivamente con la sentenza Aronson la
stabilito che non è precluso l’enforcement di un
Corte Suprema «ha
accordo che contempli il pagamento di royalties senza limiti
temporali laddove nessun brevetto sia stato rilasciato»(Aronson v.
Quick Point Pencil, 440 U.s., 1979, p. 257; Colangelo, 2015, 426).
È questo il caso in cui, in attesa di un pronunciamento sulla
richiesta di un brevetto, le parti negozino una royalty per un certo
lasso di tempo: qualora la richiesta di brevetto venisse respinta,
secondo Aronson, l’accordo sarebbe perfettamente valido,
viceversa, «laddove la richiesta di brevetto venisse accolta,
troverebbe applicazione Brulotte e non sarebbe ammissibile una
royalty post-expiration»(Colangelo e Pierucci, 2015, 423-440).Una
volta che il brevetto è scaduto, chiunque può realizzare il processo
o il prodotto brevettato senza essere reo di contraffazione.Il
brevetto non può più essere utilizzato per escludere alcuno da tale
produzione. Pertanto la scadenza del brevetto realizza esattamente
la funzione per la quale è pensata(Colangelo e Pierucci, 2015, 423-
440).
Per un licenziatario la previsione contenuta in un contratto di
licenza di continuare a versare le royalties anche dopo la scadenza
those claiming under him of the patent monopoly, after the patent expires,
whatever the legaldeviceemployed, runs counter to the policy and purpose of the
patent laws». 47
la durata di quest’ultimo né tecnicamente
del brevetto non estende
né praticamente dal momento che se il licenziatario si accorda per
continuare a corrispondere royalties dopo la scadenza del brevetto il
tasso della royalty sarà più basso. La durata del brevetto fissa il
limite del potere del titolare per estrarre royalties; «è irrilevante se il
licenziante decida di estrarre le royalties ad un tasso più elevato in
un arco temporale più breve o viceversa ad un tasso più contenuto
7
in un lasso di tempo più lungo» (Colangelo, 2015, p. 426).
Secondo la più comune dottrina, l’analogia con il tying è
inappropriata e l’utilizzo di una royalty per un periodo di tempo
successivo all’estinzione del brevetto non consente di estendere
l’esclusiva brevettuale oltre il termine ventennale previsto dalla
normativa ed i terzi sono liberi di riprodurre il prodotto o il
processo brevettato senza incorrere in contraffazione (Colangelo e
Pierucci, 2015, 423-440).Quindi mentre la Corte ipotizza che,
durante il periodo di vigenza di una royalty post-expiration, il
libero mercato influenzerebbe il monopolio, in dottrina si evidenzia
come la suddetta royalty, anziché rappresentare un ostacolo alla
concorrenza, sia in grado di rendere il mercato più attraente per i
7
Nellostessosenso Department of Justice, Federal Trade Commission, Antitrust
Enforcement and IntellectualPropertyRights: PromotingInnovation and
Competition, 2007, pp. 116-119 e pp. 122-123, laddovesiriconosce come una
royalty post-expiration possarappresentareunasoluzioneefficiente in quanto in
grado di ridurre «deadweight lossassociated with a patent monopoly and allow the
patent holder to recover the full value of the patent,
therebypreservinginnovationincentives». Si vedanoanche M. Koenig, Patent
Royalties Extending Beyond Expiration: An Illogical Ban from Brulotte to
Scheiber, in «Duke L. &Tech. Rev.», 5, 2003; R.J. Gilbert, C. Shapiro, Antitrust
Meet
Issues in the Licensing of Intellectual Property: The Nine No-No’s the
Nineties, Brookings Papers on Economic Activity, Microeconomics 1997, 1998,
p. 283. 48
nuovi entranti (Colangelo e Pierucci, 2015, 423-440).Né, tanto
meno,la pattuizione di una royalty post-expiration consentirebbe al
licenziante di ottenere dal licenziatario un ammontare maggiore di
quello altrimenti conseguibile.
Sulla teoria della leva, tradizionalmente utilizzata per
denunciare i profili di anti-competitività del tying, si è rilevata la
forte evidenza che esiste soltanto un profitto da monopolista per
ogni catena di distribuzione (Colangelo, 2015, 426).Per conseguire
il profitto desiderato, dunque, il licenziante non ha bisogno di
ricorrere a royalties post-expiration, potendo imporre
semplicemente al licenziatario royalties più elevate durante gli anni
di vigenza del brevetto. Tra l’altro si parla solo di una
“presunzione” circa il fatto che un brevetto conferisca
necessariamente al titolare un potere monopolistico in un tying; «il
tying brevettuale infatti può costituire abuso solo se si dimostra che
il licenziante detiene un potere di mercato sul prodotto legante
coperto dal brevetto» (Colangelo, 2015, 427).Tanto è vero che tale
assunto ha poi consolidato la tesi secondo cui un brevetto non
conferisce necessariamente al relativo titolare un potere di mercato,
sicché la circostanza che il prodotto legante sia brevettato non
supporta una presunzione di potere di mercato. Il divieto per sé
espresso in Brulotte«finisce così per scoraggiare accordi di licenza
flessibili e più funzionali alle necessità di commercializzazione di
alcune invenzioni e rischia paradossalmente di penalizzare il
licenziatario, il quale viene privato della possibilità di
ammortizzare il costo del brevetto ottenuto in licenza spalmando le
49
royalties su un arco temporale più ampio di quello corrispondente
al periodo di esclusiva»(Colangelo e Pierucci, 2015,440).
3 .Gli accordi di transazione
Le linee guida del Reg. 316/2014 non solo hanno apportato
cambiamenti al regolamento di esenzione, ma contengono anche
disposizioni nuove in relazione agli accordi transattivie ai pool
tecnologici. Con riferimento alla rilevanza concorrenziale degli
accordi transattivi, l’orientamento della Commissione emergente
dalle linee guida pare chiaro: «un accordo transattivo in cui
l’utilizzatore di diritti tecnologici coperti da brevetto, in cambio di
un trasferimento di valore o di analoga contropartita da parte del
titolare dei diritti tecnologici, accetta termini di licenza più
restrittivi di quelli che avrebbe accettato sulla sola base della
rilevanza della tecnologia del licenziante, potrebbe infrangere l’art.
8
101 c. 1 TFUE » (Linee Guida Reg. 316/2014).
8 Il descritto orientamento pare trovare conferma anche nella recente decisione
adottata dalla Commissione sul caso Perindopril (n. 39612 del 9 luglio 2014).
Nella vicenda in esame, Servier, nota azienda farmaceutica francese, ha abusato
della sua posizione dominante nel mercato del «Perindopril» attraverso
l’implementazione di una strategia finalizzata a ritardare l’ingresso dei genericisti
nel mercato a seguito della scadenza del relativo brevetto. La Commissione ha
altresì ritenuto che le pratiche scrutinate potessero essere considerate come intese
vietate dall’art. 101 TFUE. Parte della strategia di Servier, infatti, è consistita
nella stipula di accordi transattivi che prevedevano trasferimenti di denaro a
in cambio dell’impegno di questi ultimi ad
favore dei potenziali genericisti,
astenersi dall’ingresso nel mercato e a non contestare la validità dei titoli
brevettuali per l’intera durata dell’accordo. Accanto alle condotte riconducibili
alla fattispecie del «pay for delay», è stata accertata anche la stipula di un accordo
transattivo tra Servier ed un genericista basato non su un trasferimento di denaro,
bensì sul rilascio di alcune licenze ai fini di una ripartizione del mercato. Le
e in cambio l’azienda genericista
licenze avrebbero riguardato 7 mercati nazionali,
50
Le Linee guida, tuttavia, non negano l’importanza di questo
strumento contrattuale. Al contrario, la Commissione è esplicita nel
riconoscere l’utilità dei accordi transattivi ai fini della risoluzione
di controversie spesso lunghe, costose e dall’esito incerto. La
prevalente dottrina ha ritenuto infatti che gli esiti positivi
discendenti da questi accordi si manifestano sia a favore delle parti
sia a vantaggio dei Tribunali, la cui azione è spesso resa inefficace
dalla gravosità del carico di ricorsi pendenti (Ghidini, 2011, 573).
Per la maggior parte dei casi, il contenuto di un accordo
transattivoèla concessione di licenze reciproche tra le parti in
causa, aventi ad oggetto i diritti tecnologici oggetto di un
precedente contenzioso. Tale esito non presenta implicazioni
anticoncorrenziali, ma anzi può determinare un incremento di
efficienza, posto che consente alle parti dell’accordo di eliminare
l’incertezza connessa a possibili interferenze tra brevetti.
Sebbene in linea generale, gli accordi transattivi finalizzati al
cross licensing non incorrano generalmente nel divieto previsto
dall’art. 101, par. 1, TFUE, all’interno degli accordi transattivi
possono tuttavia comparire previsioni anticoncorrenziali che
richiedono uno scrutinio caso per caso, soprattutto quando le parti
operano nei medesimi mercati. Una valutazione attenta dei accordi
transattivi, ad esempio, verrà svolta laddove l’accordo transattivo
sia preordinato a concedere in licenza i diritti tecnologici oggetto
del contenzioso, ponendo però a carico del licenziatario vincoli
avrebbe sacrificato a favore di Servier tutti gli altri mercati all’interno
dell’Unione. 51
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher katy193 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto industriale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Basilicata - Unibas o del prof Colangelo Giuseppe.
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