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INDICE

1.Introduzione………………………………………………… pag. 5

1.1 Dati epidemiologici…………………………………….... pag. 7

1.2 Differenze dermatologiche …….……………………....... pag. 8

1.3 Scopo dell’elaborato……………………………………... pag. 10

2. Metodi………………………………………………………. pag. 11

3. Risultati……………………………………………………... pag. 12

3.1 Valutazione delle lesioni da pressione…………………… pag. 13

3.2 La Formazione…………………………………………… pag. 17

pag.

3.3 Partecipazione nella ricerca medica……………………... 21

4. Conclusioni………………………………………………..... pag. 22

Bibliografia……………………………………………………. Pag. 25

Ringraziamenti………….……………………………………... pag. 30 4

1. INTRODUZIONE

Una lesione da pressione (LdP) è una lesione localizzata alla cute e/o al tessuto

sottostante, solitamente collocata su una prominenza ossea come risultato di un’elevata

e/o prolungata compressione o, in alternativa, di forze di taglio che, causando uno stress

meccanico ai tessuti e un'occlusione dei vasi sanguigni, conducono a un processo

ischemico tissutale (NPUAP, EUAP, PPPIA, 2019).

Le lesioni interessano generalmente la cute, il derma e gli strati sottocutanei, arrivando a

toccare anche muscoli e ossa nei casi estremamente gravi: nel complesso, talloni,

caviglie, osso sacro, nuca e spalle sono le aree maggiormente colpite.

Nel caso delle lesioni da pressione, seguendo la classificazione presente nella linea

guida “Prevenzione e Trattamento delle Ulcere da Pressione: Guida Rapida di

della National Pressure Ulcer Advisory Panel (NPUAP), European

Riferimento”

Pressure Ulcer Advisory Panel (EPUAP) del 2014, possiamo adottare una suddivisione

in stadi: nel primo registriamo la comparsa di arrossamento o eritema non sbiancante

alla digitopressione, la cute di colore scuro non può avere uno sbiancamento visibile e

quindi difficile da rilevare. Nel secondo, abbiamo una perdita di spessore parziale del

derma che si presenta come un’ulcera aperta superficiale con un letto della ferita rosso-

rosa, senza tessuto devitalizzato (slough), può anche presentarsi come una vescica

intatta o aperta/rotta piena di siero; nel terzo abbiamo una perdita di tessuto a spessore

totale. Il grasso sottocutaneo può essere visibile ma le ossa, i tendini o i muscoli non

sono esposti, lo slough può essere presente, ma non oscura la profondità della perdita di

tessuto. Infine, nell’ultimo si ha una distruzione dei tessuti, necrosi o danno a muscoli,

tessuto devitalizzato o l’escara possono essere presenti in alcune parti

ossa e/o tendini. Il

del letto della ferita. Oltre il quarto stadio la lesione diventa non stadiabile: essendo

questa totalmente coperta da slough o escara, la profondità non risulta determinabile.

l’inversione di stadio in quanto ciò richiederebbe una completa restaurazione

Non esiste

delle strutture anatomiche distrutte, che di fatto non si verifica. Possiamo tuttavia

parlare di guarigione: le lesioni da pressione di stadio 2° guariscono per la migrazione

di cellule epiteliali dai bordi della lesione, mentre in quelle di stadio 3° e 4° la perdita di

sostanza viene colmata con tessuto di granulazione (Caula, Apostoli, Libardi, Lo palo,

2018).

Dal punto di vista eziologico, i fattori di rischio possono essere distinti in estrinseci ed

intrinseci; tra i primi troviamo (NPUAP, EPUAP, PPPIA, 2019): 5

la forza comprimente fra superficie corporea e piano d’appoggio è più

o Pressione:

intensa della pressione del sangue del distretto arteriolo-capillare (32 mmHg), dunque si

determina una condizione di ischemia persistente.

o Forze di stiramento o taglio: mentre la pelle tende ad aderire alla superficie di appoggio,

lo scheletro tende contrariamente a scivolare provocando zone di stiramento dei tessuti

superficiali su quelli profondi; lo stiramento provoca angolazione dei peduncoli

vascolari, microtrombosi locali ostruzione e recisione dei piccoli vasi con conseguente

necrosi tessutale profonda.

o Attrito: lo sfregamento del corpo contro la superficie di appoggio causa un

della cute, favorendo l’apparizione di lesioni più gravi.

arrossamento

o Aumento della temperatura locale: al crescere della temperatura corporea aumenta

contestualmente il metabolismo della cute con conseguente aggravamento degli effetti

dell'ischemia tessutale.

o Umidità: una cute umida può andare incontro a macerazione, aumentando la sensibilità

rispetto a fattori come pressione e attrito.

Fattori intrinseci sono invece:

o Età avanzata: determina modificazione delle caratteristiche della pelle come, ad

esempio, una riduzione dell’elasticità cutanea, della massa muscolare, della percezione

sensoriale e dei riflessi nocicettivi rendendo la pelle più fragile e più suscettibile ai

fattori estrinseci di rischio.

o Riduzione della mobilità che causa alto potenziale di frizione e scorrimento.

o Malnutrizione e disidratazione: portano a squilibri del bilancio proteico, vitaminico e

minerale. La presenza di ipoalbuminemia a e la conseguente riduzione della pressione

oncotica, favorisce l’edema interstiziale che aumenta la distanza delle cellule dai

capillari; ciò riduce pertanto il livello di diffusione di O a livello cellulare. Questo

2

fattore associato alla pressione che genera ischemia, è in grado di favorire la comparsa

di necrosi.

o Malattie vascolari e croniche come diabete, insufficienza renale ecc.: riducono la

circolazione ed il nutrimento della cute e del tessuto sottocutaneo che, se associati a

fattori estrinseci porta all’aumentata probabilità di sviluppare processi ischemici.

Secondo le buone pratiche cliniche, nella conduzione di una valutazione del rischio di

lesioni da pressione risulta fondamentale: usare un approccio strutturato, includere una

valutazione clinica approfondita dello stato cutaneo, affiancare l’uso di uno strumento di 6

valutazione del rischio, la valutazione di ulteriori fattori di rischio e interpretare i

risultati della valutazione usando un giudizio clinico (NPUAP, EPUAP, PPPIA, 2019).

Le scale maggiormente utilizzate sono la Braden e la Norton modificata secondo Stotts

(1985). La prima è composta da sei indicatori incentrati su due dei principali fattori

eziologici delle LdP, intensità e durata della pressione da una parte, tolleranza dei

tessuti dall’altra; nello specifico, gli indicatori sono percezione sensoriale, mobilità,

nutrizione, frizione e scivolamento, attività e umidità. Il punteggio massimo è 23 e

indica l’assenza di rischio, mentre un risultato uguale o inferiore a 16 ne rivela la

presenza.

Gli indicatori della scala di Norton sono invece cinque: condizioni fisiche, stato

mentale, deambulazione, mobilità e incontinenza. Il risultato massimo, associato alla

mancanza di rischio, è ora di 20, mentre la soglia di rischio individuata dalla raccolta è

di soli 14 punti. 1.1 Dati epidemiologici

Le lesioni da pressione rappresentano un problema sanitario di grande rilevanza: sono

un esempio di danno evitabile che aumenta tanto la mortalità quanto la durata della

degenza. I tassi di prevalenza variano dal 4,7% al 32,1% in ambito ospedaliero e si

attestano intorno al 22% nelle persone assistite in case di riposo (Cartabellotta et al.,

2014).

Inoltre, ricoveri e trattamenti relativi alle ulcere da pressione costituiscono il 4% della

spesa totale annuale del SSN (Calabrò, 2017).

Secondo le previsioni ISTAT del 2021, la popolazione over 64 rappresenta ad oggi il

23,5% del totale, a fronte del 12,9% occupato dagli under 15 e del 63,6% della fascia

15-64 anni: si registra quindi un elevato numero di persone anziane, peraltro in costante

crescita. Motivato dal miglioramento delle tecniche medico-chirurgiche, specie nel caso

delle procedure di screening e della gestione delle condizioni acute, l’allungamento

della vita media comporta una più frequente comparsa di patologie croniche.

L’invecchiamento determina un aumento della fragilità e, conseguentemente, dei

periodi di allettamento e degenza mediamente più lunghi: da qui la maggior probabilità

di sviluppare lesioni da pressione, gravando oltre che sulla salute generale del paziente

– sulle spese sanitarie. 7

1.2 Differenze dermatologiche

Il colore della pelle dipende da quantità e qualità della melanina, il pigmento che

protegge la pelle dai raggi ultravioletti (UVR) del sole, con entrambe che risultano

regolate dall'espressione dei geni. La genetica determina il colore costitutivo della pelle,

che è rafforzato dalla melanogenesi facoltativa e dalle reazioni di abbronzatura. La

melanina ha due forme, eumelanina (nero-marrone) e feomelanina (giallo-rossastro). Il

primo si raccoglie principalmente nelle persone dalla pelle scura, mentre le persone

dalla pelle chiara hanno maggiori probabilità di sviluppare il secondo (Ito S et al.,

2005). È stato osservato che la feomelanina sembra essere un componente minore della

melanina epidermica umana, anche nei tipi di pelle (europei) più chiari.

Indipendentemente dall'etnia, il contenuto di melanina epidermica è significativamente

maggiore nella pelle cronicamente fotoesposta rispetto alla corrispondente pelle

fotoprotetta (fino a due volte). Un ulteriore differenza sta nel fatto che l'analisi delle

dimensioni dei melanosomi ha rivelato una variazione significativa e progressiva delle

dimensioni con l'etnia: la pelle africana ha i melanosomi più grandi, seguiti a turno da

indiani, messicani, cinesi ed europei. Nelle pelli scure i melanosomi sono maggiormente

dispersi individualmente nello strato epidermico. I tipi di pelle più leggermente

pigmentati (europei, c

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
30 pagine
SSD Scienze mediche MED/45 Scienze infermieristiche generali, cliniche e pediatriche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher kellyaboa di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Metodologia clinica infermieristica 1 e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Vescovi Angela Gloria.