Circo mediatico e Femminiccidio. Il potere della comunicazione
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quali non parlano d’altro che di cronaca nera. Interrogati su quali siano i reali
soggetti responsabili dell’aumento della paura e dell’insicurezza, il 20,4%
sostiene che il circuito informativo-mediatico gioca un ruolo fondamentale
sull’aumento delle paure, selezionando le notizie per cercare di catturare
l’audience. È stato inoltre dimostrato che anche i politici fomentano le paure
della popolazione; questa tecnica viene usata per distogliere l’attenzione dai
problemi reali, favorire il consenso e legittimare il proprio ruolo (questa
affermazione deriva dal 29,6% degli intervistati).
In Italia, in particolare, quasi il 50% degli intervistati incolpa i media di creare
allarme sociale, circa un quarto, ovvero il 28,6%, incolpa la politica, mentre i
gruppi terroristici vengono indicati solo dal 7%. Il ruolo dei media viene
sottolineato da percentuali di intervistati anche a Parigi (27%) e New York
(22,2%), mentre chiamano in causa soprattutto la politica gli abitanti di Parigi
(31,9%), San Paolo (49,4%), Tokyo (37,3%) e Mosca (23,8%).
Nel 2009 un altro Istituto di ricerca, Demos, ha condotto uno studio sullo stesso
argomento. Lo studio fa emergere due aspetti particolarmente significativi: il
primo riguarda il lavoro (in particolare la disoccupazione) e come esso venga
sottostimato nei notiziari televisivi. Il secondo riguarda il formato
dell’informazione televisiva in Italia, rispetto al resto d’Europa, caratterizzata da
una presenza costante della criminalità comune, ma anche dalla sua traduzione
“romanzesca”. L’indagine è stata condotta mediante un sondaggio su un ampio
campione rappresentativo della popolazione italiana e attraverso la rilevazione
dell’Osservatorio di Pavia, il quale ha studiato la “notiziabilità” del tema nei Tg
Rai e Mediaset.
All’interno della ricerca i dati dimostrano che “solo” il 77% degli italiani pensa
che la criminalità sia cresciuta in Italia (a differenza dell’88% del 2007) e scende
al 37% il numero di quanti percepiscono un aumento della criminalità nella
propria zona di residenza (contro il 52% del 2007). Esemplificativo come sia
cresciuto il numero di persone che hanno preoccupazioni di tipo economico
(ricordiamo che la ricerca è stata effettuata l’anno dopo l’inizio della Crisi
Economica).
! 45!
L’analisi delle notizie sulla criminalità proposte dai Tg prime time nel periodo
2005-2009 forniscono alcune informazioni interessanti:
- non esiste una correlazione tra l’andamento dei reati denunciati e il numero di
notizie sulla criminalità;
- esiste, invece, una forte correlazione tra il numero di notizie di reati e la
percezione della criminalità;
- tra il 2007 e il 2008 si è assistito ad una “bolla dell’insicurezza mediatica”
prodotta da una crescita della percezione della criminalità e delle notizie di
reato, anche se in presenza di una loro leggera diminuzione;
- nel 2009 si torna alla normalità, cioè ai dati della fase 2005-2006 precedenti
alla bolla criminalità.
Quanto al numero di notizie sulla criminalità, nelle reti Rai il TG1 sopravanza
nettamente gli altri canali. In Mediaset il Tg di Rete 4 dà minore spazio alle
notizie di reati e presenta una notevole stabilità. Sono invece Tg5 e Studio
Aperto, che a partire dal I° semestre 2007, presentano un atteggiamento di
grande attenzione verso la criminalità. L’agenda dei giornali dal 2007 al 2009
vede sempre la criminalità al primo posto. Nella ricerca è anche presente il
confronto sulla criminalità tra i principali telegiornali pubblici e privati europei di
Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna nel periodo dal 2008 al
2009 da cui emerge:
- la quantità di notizie relative alla criminalità in Italia è superiore a quella degli
altri paesi europei soprattutto nelle reti pubbliche; il Tg 1 ha il doppio di notizie
del Tg spagnolo, 20 volte in più rispetto al telegiornale tedesco.
- La pagina della criminalità in Italia è costante, mentre l’agenda degli altri paesi
non rileva la presenza quotidiana di notizie criminali.
- La copertura mediatica del crimine è una caratteristica dei telegiornali italiani,
infatti, nei Telegiornali degli altri paesi europei notizie di furti, rapine, incidenti
automobilistici non trovano spazio, viceversa in quelli italiani i reati comuni
occupano il 60% dei notiziari.
Nell’anno successivo, è stata realizzata un’altra ricerca Demos-Coop, e il dato
più evidente riguarda il sensibile calo di fiducia subita dai maggiori telegiornali
di Rai e Mediaset. La fiducia verso il Tg 1 si attesta al 53%, cioè 10 punti in
! 46!
meno rispetto all’anno precedente. Il Tg 5 viene considerato affidabile dal 49%
degli italiani, otto punti in meno dell’anno 2009. Cresce il gradimento verso i Tg
di La Sette, Sky e News 24.
Un elemento focale della ricerca dimostra che le persone più spaventate e più
preoccupate per la propria incolumità sono quelle che guardano maggiormente
la televisione. Il 39% di chi la guarda più di quattro ore al giorno vive in uno
stato ansioso molto superiore alla media.
I risultati delle ricerche dimostrano che il crimine e la paura sono il fulcro della
maggior parte dei giornali e dei servizi giornalistici televisivi, in particolare
italiani. Per decenni i mass media hanno enfatizzato gli aspetti sensazionali e
perfino erotici di omicidi e aggressioni violente, crimini sessuali e sequestri di
persona.
Una volta le informazioni potevano essere solo lette, con l’avvento dei
cinegiornali le notizie potevano essere anche “viste” e questo ha dato maggior
enfasi all’informazione; siamo passati da una realtà in cui c’era il mezzo di
comunicazione da una parte e la realtà da un’altra, fino ad arrivare in un’epoca
in cui persino la “realtà” ci è presentata sotto forma di intrattenimento.
Secondo uno studio condotto in America nel 2002 esistono due ragioni per cui il
20
crimine è così diffuso nella televisione : la prima è che il crimine è connesso
alla paura, pezzo forte dei format di intrattenimento. La seconda è che il crimine
è molto facile da trattare e perciò si adatta bene alla programmazione e alle
limitazioni di personale delle Tv locali. Un limite di questo procedimento sembra
essere il fatto che i crimini più violenti e rari, come gli omicidi, ricevono la
maggior parte dello spazio informativo. Invece i crimini più “banali”, come i furti,
sono poco trattati e, di conseguenza, gli spettatori associano il “crimine” al
“crimine violento”.
Parole che vengono usate frequentemente insieme nel parlato comune
possono fondersi in un unico significato; in questo modo, a lungo andare,
diventa superfluo aggiungere la parola “violento” a “crimine”, etc.
In questo caso, i modelli televisivi possono contribuire alle definizioni sociali.
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!Gabrio!Forti!e!Marta!Bertolino,!La#televisione#del#crimine,!Vita!e!pensiero,!Milano,!2005!
20
! 47!
L’indagine Creating Fear: news and the Construction of Crisis di David L.
Altheide dimostra un incremento del 100% dell’uso della parola “paura” nelle
notizie e nei titoli dei principali quotidiani americani tra il 1987 e il 1996. Lo
studioso vede nel sentimento della paura un’ispirazione per i media, dando per
scontato l’effetto che essi possono avere nell’immaginario collettivo.
La fede cieca per i mass media, visti come delle “finestre” sul mondo, è un
presupposto perfetto per far in modo che la paura diventi parte dei nostri
discorsi quotidiani, anche se in realtà non abbiamo nessun motivo di averne.
Il crimine, da una parte aumenta la paura, ma dall’altra parte ci affascina.
Sempre più spesso i singoli individui vogliono ricoprire ruoli drammatici per
catturare l’attenzione: le vittime stanno diventando, anzi sono già diventati,
motivo di intrattenimento e per questo cresce sempre di più il fenomeno della
vittima per vocazione o vittima nata.
Secondo Altheide:
“La paura fa parte dei nostri discorsi quotidiani (…). E’ ormai il nostro trastullo e
sempre più la fonte dei nostri mondi immaginari sono i mass media. Le notizie
di attualità si confondono con i programmi di reality Tv e con le storie
poliziesche ispirate alle prime pagine, che a loro volta ci forniscono i modelli per
guardare ai fatti di tutti i giorni. L’aumento delle false denunce ne è un esempio.
Sappiamo da tempo che alcuni personaggi pubblici usano la paura per
promuovere politiche puerili. Il crescente interesse per la paura e la
vittimizzazione aiuta: 1) il pubblico a trastullarsi con servizi giornalistici ripetitivi,
quasi fossero messe in scena teatrali dei suoi terrori quotidiani; 2) i singoli
individui a ottenere ruoli drammatici in grado di catturare l’attenzione e, con ciò,
21
di conferire identità rispettabili al cospetto di certe fasce di audience” .
Questo discorso tenta di spiegare come una persona sentendosi “vittima” riesca
a sentirsi parte di una comunità, mettendo in moto un meccanismo di
integrazione. Quindi non sarebbe più tanto il “crimine” a fare audience, quanto
piuttosto i ruoli attanziali ad esso associati, come il ruolo di vittima.
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!
21 David!L.!Altheide,!I#mass#media,#il#crimine#e#il#discorso#di#paura,!in!Università!cattolica!del!Sacro!
Cuore! di! Milano,! Università! degli! studi! di! Milano_Bicocca,! La# televisione# del# crimine:# atti# del#
!
Convegno#la#Rappresentazione#televisiva#del#crimine,!15W16!maggio!2013
! 48!
2.2 Media e femminicidio
“I media spesso presentano gli autori di femminicidi come vittime di raptus e
follia omicida, ingenerando nell’opinione pubblica la falsa idea che i femminicidi
vengano perlopiù commessi da persone portatrici di disagi psicologici o preda
di attacchi di aggressività improvvisa. Al contrario, negli ultimi 5 anni meno del
10% di femminicidi è stato commesso a causa di patologie psichiatriche o altre
forme di malattie e meno del 10% dei femminicidi è stato commesso per liti
legate a problemi economici o lavorativi”.
Queste parole, redatte dalla “Piattaforma Cedaw” (New York, 2011) nel
“Rapporto Ombra”, dimostrano come i mass media tendano a minimizzare il
reato di omicidio di donne.
Elemento di cronaca sminuito ma, allo stesso tempo, molto trattato; infatti,
come dimostrato nel paragrafo precedente, oggi parlare di cronaca nera è
diventato quasi una moda.
L’industria dei mass media si è piegata ai desideri del suo pubblico, non è più
lei a decidere su cosa concentrarsi o quali informazioni deve passare ma, nel
tentativo di attrarre audience, cerca di concentrarsi su episodi scabrosi della
nostra società. Siamo passati da informazione a pseudo-informazione che
oramai si basa solo sulle tre S: sesso, sangue e soldi.
Per questo motivo, oggi, di femminicidio se ne parla su ogni mezzo di
informazione, dalla stampa, alla tv, al web; emblematico un articolo del Fatto
Quotidiano che recitava “ Che mass media sei se non ti occupi di violenza e
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femminicidio? ”.
Leggendo i vari articoli o ascoltando i servizi alla televisione si evince una
società contro la violenza, ma se è facile sostenere “Io sono contro il
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
!
22 Che# mass# media# se# se# non# ti# occupi# di# violenza# e# femminicidio?,! ilfattoquotidiano.it,! Mario! di!
Maglie,! 2013.! Disponibile! all’indirizzo:! http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/16/cheWmassW
mediaWseiWseWnonWtiWoccupiWdiWviolenzaWeWfemminicidio/657082/!(consultato!il!10!dicembre!2014)!
! 49!
femminicido” o “ Gli uomini che compiono certi atti sono dei mostri”, difficile è
cercare di soffermarsi sulle radici del problema, sulla violenza di genere. Infatti,
anche se in pochi riescono ad ammetterlo, la violenza di genere, e in particolare
la discriminazione di genere, sono elementi che permangono nella nostra
società, e si riflettono nel sostegno di una cultura che vede ancora la
sottovalutazione della donna nei mass media.
23
Secondo un’indagine del Censis , il 53% delle donne in televisione non ha
voce, il 43% è associata a temi come sesso, moda, amore e bellezza e solo il
2% è collegata a impegni sociali e professionalità.
L’immagine più degradante si trova nel mondo della pubblicità. Essa ha il fine di
persuadere lo spettatore all’acquisto del prodotto che sta reclamizzando, e ha,
da sempre, fatto un grande uso del corpo della donna. Il corpo femminile è cosi
diventato, negli spot pubblicitari, un oggetto di ornamento.
All’interno degli spot la donna ricopre ruoli ben definiti e stereotipati quali: la
casalinga, la madre e la donna-oggetto, o meglio “oggetto sessuale”.
La “casalinga” vede la donna subordinata all’uomo, rinchiusa nelle mura
domestiche, i cui compiti sono la cura quasi maniacale della casa, prendersi
cura dei figli o preparare ottime colazioni; l’uomo raramente viene preso in
considerazione negli intermezzi pubblicitari che promuovo oggetti per la casa e,
laddove ci sia la sua presenza, è tendenzialmente vestito da lavoro oppure
ritratto nell’atto lavorativo (per esempio al computer).
La “madre” è tendenzialmente una donna rappresentata in maniera poco
sensuale, che ha messo da parte i propri sogni e i propri progetti, ha perso la
propria identità per dedicarsi completamente alla famiglia e in particolare ai figli.
La “donna-oggetto” invece, al contrario della mamma-chioccia, è una donna
dotata di grande sex appeal, il cui corpo è sempre in primo piano, ma la sua
voce non si sente quasi mai. Viene usata per reclamizzare ogni sorta di
prodotto, dalla lingerie a prodotti che poco hanno a che vedere con la
sessualità.
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!
23 Centro! studi! investimenti! sociali! (Censis),! Comunicazione,# pluralismo# sociale,# società# aperta.#
Donne#minori#e#immigrati#nei#media,#Censis!Note!e!commenti!n.!8/9,!2006.
! 50!
In* occasione* del* “2007* –* Anno* europeo* delle* Pari*
Opportunità*per*tutti”*la*Città*di*Torino,*realizza*un*progetto*
di* comunicazione* positiva* sul* tema* del* contrasto* alla*
pubblicità* che* usa* in* modo* strumentale* * e* spesso**
oltraggioso.
Il risultato non è altro che un’immagine degradante della donna, fortemente
sessista.
Rimanendo sempre nel mondo della pubblicità, in Italia, l’anno scorso, uno spot
ha suscitato grande scalpore. A Napoli era stato affisso un cartellone
pubblicitario raffigurante un uomo seduto su un letto con in mano un panno di
microfibra, dietro di lui si vedeva una donna sdraiata, apparentemente morta,
uccisa. Il tutto era accompagnato dallo slogan “elimina tutte le tracce”.
! 51!
Il cartellone suscitò subito un’ondata di sdegno, furono in molti ad additarla
come una campagna pro-femminicidio, e per questo fu prontamente eliminato.
L’indignazione, oltre per l’immagine offensiva, è collegata al ruolo che i media
dovrebbero ricoprire; infatti, insieme alla famiglia, alla scuola e alla Chiesa, in
Italia, fanno parte delle principali agenzie “educative” e, in quanto tali,
dovrebbero cercare di creare un’immagine paritaria dei sessi, ma nella maggior
parte dei casi, uomini e donne sembrano rimaner intrappolati negli stereotipi.
Per esempio a scuola, i giochi da “maschio” sono diversi da quelli da
“femminuccia”. Nel primo caso l’elemento principale è l’affermazione della forza
fisica, per questo si vedranno maschietti sotto forma di cowboy, di super eroe o
di poliziotto; nel secondo caso i giochi sono diversi e non sono improntati sulla
forza, piuttosto sulla “debolezza” come la principessa che deve essere salvata
dal cavaliere oppure la reginetta di bellezza che deve cercare il riconoscimento
dagli altri. In questo modo i bambini si vedranno fin da piccolissimi ancorati in
un ruolo di “forza” e le bambine nel ruolo di “persone accondiscendenti, docili, e
in alcuni casi sottomesse”.
A causa di questa cultura arcaica, ancora fortemente ancorata, non è raro che
l’uomo si senta un essere superiore e, di conseguenza, avvengano ancora
violenze sulle donne.
I mass media, inoltre, quando si occupano di femminicidio, all’interno di servizi
televisivi o di articoli di giornale, non lo distinguono dall’omicidio e quindi non
considerano la peculiarità del movente di genere. La donna è ancora una volta
ancorata al suo stereotipo, viene vista come colei che si è permessa di tradire il
marito, o di lasciarlo, o peggio ancora, di aver cercato di vivere una vita diversa
da quella che la società le imponeva, “quasi a suggerirne una complicità della
donna stessa la quale, avendo provocato, tradito, esasperato, respinto l’uomo
24
si ritrova uccisa ”.
Altro problema causato dai media è il modo con cui si fa riferimento all’atto di
violenza e agli autori.
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!L.!BETTI,!2013,#Convenzione#di#Istanbul#e#media:#un#incontro#per#cambiare,!in!Articolo!21:!
24
http://www.articolo21.org/2013/09/convenzioneWdiWistanbulWeWmediaWunWincontroWperW
cambiare/.!
! 52!
Le parole più usate sono “raptus, infermità mentale, gelosia, delitto passionale,
25
stress dovuto al lavoro o alla perdita di lavoro ”.
Non è raro che l’uomo venga visto come un marito affettuoso, un padre
modello, un ottimo lavoratore, tutto questo a dimostrazione che l’omicidio non
sia legato a una questione di genere, di violenza sulle donne ma piuttosto sia
stato lui stesso “vittima” di un raptus o di una moglie “traditrice”. Il carnefice non
sarebbe altro che un pover’uomo follemente innamorato che, in preda a un
momento di follia, causato da una passione irrefrenabile, uccide la propria
consorte.
Gelosia è, probabilmente, il termine più usato, in particolare nei titoli degli
articoli. Questa definizione sottolinea ancora di più la colpa della donna, sembra
voler insinuare il dubbio che se la donna non avesse avuto un’altra relazione, o
piuttosto se fosse stata meno appariscente, il reato non sarebbe stato
commesso.
In sostanza, il reo non “agisce” ma “reagisce” a un comportamento della vittima.
Di seguito alcuni esempi di delitti:
- “Miss Honduras e la sorella uccise per gelosia” da “Corriere della Sera”,
novembre 2014;
- “Pisa, la moglie vuole lasciarlo. Dopo un litigio lui la uccide” da “Corriere
della Sera”, giugno 2014;
- “Sonia, il compagno assassino: un istante di follia, un raptus” da
“Corriere della Sera”, ottobre 2014;
- “Uccisa per gelosia dall’ex compagno” da “Repubblica”, ottobre 2014;
- “’Ndrangheta: Cosco, ha ucciso Lea Garolfo, è stato un raptus” da
“Libero”, aprile 2013;
- “Lo chiama con il nome dell’ex. Lui la strangola per gelosia” da “Libero”,
aprile 2012;
- “Fabiana bruciata viva per gelosia mentre implorava il fidanzato di non
farlo” da “Il Sole 24 Ore”, maggio 2013;
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#Ibidem.!
25
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! 53!
- “Vigevano. La moglie lo lascia: barista si vendica uccidendola” da “Il
Messaggero”, marzo 2014;
- “Geloso della compagna la uccide” da “ La Stampa”, marzo 2013;
- “Laila uccisa dall’ex convivente. L’amavo, lei voleva lasciarmi”, settembre
2012;
- “Donna uccisa in stazione a Mozzate, l’ex convivente confessa l’omicidio
per gelosia” da “Il Fatto Quotidiano”, marzo 2014;
- “Collegno; uccide moglie, figlia e suocera: era depresso per il lavoro e
malato” da “La Stampa”, dicembre 2013.
I termini usati, come dimostrato, sono sempre gli stessi. Oltre a quelli appena
citati, anche un altro spicca nel panorama dei mass media italiani: amore; alle
storie romantiche, infatti, si appassionano in tanti, al dolore, invece, non si
appassiona nessuno. Così si finisce per chiamare amore persino la violenza, la
morte.
- “Paola, uccisa per troppo amore” da “Corriere della Sera”, agosto 1998.
Sebbene in genere i mass media non aiutino a contrastare il fenomeno della
violenza sulle donne, si hanno altri casi, per lo più ad opera di volontari dei
centri anti-violenza, in cui si cerca di arginare o addirittura eliminare questo
problema, come nel caso del cortometraggio “Prima che faccia buio”.
Prima che faccia buio è ispirato ad una storia vera, ed è il primo cortometraggio
26
italiano sul femminicidio . Ideato dal centro antiviolenza di Linea Rosa di
Ravenna, verrà usato per la formazione alle forze dell’ordine, degli assistenti
sociali, degli avvocati e degli operatori sanitari.
La vice presidente di Linea Rosa, Monica Vodarich, ha spiegato che Ravenna
conta sei vittime di femminicidio, e questo mini-film è proprio ispirato alla storia
vera di una di queste donne.
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26 Un# cortometraggio# contro# il# femminicidio,! Sara! Ficocelli,! repubblica.it,! 2013.! Disponibile!!
all’indirizzo:http://d.repubblica.it/attualita/2013/10/10/news/femminicidio_cortometraggio_line
a_rosa_violenza_donneW1839639/!(Consultato!il!13!dicembre!2014)!
!
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! 54!
L’impulso maggiore contro la violenza arriva dal mondo virtuale: da internet,
sempre più spesso, infatti, nascono campagne di sensibilizzazione. In Italia, per
esempio, su Twitter è nata, grazie alla Rete degli Studenti e l’Unione degli
Universitari, una mobilitazione contro la violenza sulle donne. Gli studenti
hanno invitato i cittadini a postare sui social network una foto accompagnata
dallo slogan “Stop femminicidio #iocimettolafaccia”.
Un altro esempio arriva dalla Colombia, dove la morte di Nataly Palacios
Còrdoba, ammazzata a soli 23 anni dal
fidanzato, ha causato sconcerto tra i suoi amici
e compagni, i quali, insieme, hanno deciso di
creare la campagna El amor no mata. In questo
caso gli utenti sono stati invitati a inviare, sulla
pagina ufficiale di Facebook, dei loro selfie con
il nome della campagna e, volendo, un piccolo
27
messaggio .
Foto* condivisa* sulla* pagina* Facebook:*
https://www.facebook.com/pages/El5
Amor5No5Mata5No5m%C3%A1s5
feminicidios/619670884731509
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27 Love# doesn’t# kill:# Campaign# Against# Femicide# in# Colombia.! Disponibile! all’indirizzo:!
http://globalvoicesonline.org/2013/11/25/loveWdoesntWkillWcampaignWagainstWfemicideWinW
colombia/!(consultato!in!data!14!dicembre!2014).!
! 55!
Queste mobilitazioni, anche se hanno avuto un grande impatto nel loro paese,
sono rimaste per lo più all’interno dei loro confini nazionali. Un unico grande
evento è stato condiviso da gran parte del mondo: il 14 febbraio 2013 milioni di
persone sono scese in piazza a ballare, insieme, la canzone scritta da Eva
Ensler “Break the Chain” come forma di protesta contro la violenza sulle
28
donne . Le adesioni al flash mob One Billion Rising sono state in tutto il mondo
e vi hanno partecipato 200 paesi e 5000 associazioni.
One* Billion* Rising* in* Italia.* Disponibile* all’indirizzo:*
http://www.repubblica.it/cronaca/2013/02/14/foto/le_d
onne_dicono_basta_alla_violenza552633151/1/#11*
!
Billion* Rising* in* Inghilterra.* Disponibile* all'indirizzo:*
http://www.theguardian.com/society/2014/feb/14/one5
billion5rising5to5end5violence5against5women5global5day5of5
action5and5dancing5live5coverageOne*
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28 Valeria! Pini,! Il# ballo# in# piazza# contro# la# violenza.# Le# donne# dicono# bast,! repubblica.it,! 2013.!
Disponibile!all’indirizzo:!
http://www.repubblica.it/cronaca/2013/02/14/news/il_ballo_in_piazza_contro_la_violenza_W
!
52632704/!(consultato!in!data!14!dicembre!2014).
!
! 56!
One* Billion* Rising* in* America.* Disponibile* all'indirizzo:*
http://www.theguardian.com/society/2014/feb/14/one5billion5rising5
to5end5violence5against5women5global5day5of5action5and5dancing5live5
coverage
One* Milion* Rising* alle* Maldive.* Disponibile* all'indirizzo:*
http://www.haveeru.com.mv/news/49742
! 57!
2.3 Spettacolarizzazione e comunicazione dell’evento
delittuoso
Fin da tempi remoti, la violenza è sempre stata un elemento insito nella nostra
società. L’uomo, definito da Aristotele “animale politico”, è sempre stato attratto
da sangue e violenza.
Gli antichi romani sono stati i primi a intuire questa caratteristica insita negli
esseri umani, e, a tal fine, edificarono le arene in cui avevano luogo efferati
spettacoli, ricchi di brutalità e aggressività, che venivano intesi come una forma
di intrattenimento. Uomini, donne e bambini venivano letteralmente sbranati da
leoni o altri animali feroci, e i gladiatori erano costretti a combattere tra di loro
per avere salva la vita all’insegna del mors tua vita mea.
Anche nel Medioevo si ritrova la stessa cornice di violenza mista a
intrattenimento; la tortura, l’aggressività e la morte, infatti, venivano mostrate
pubblicamente. Un altro esempio è dato dalle donne uccise nei roghi perché
accusate di stregoneria.
Il culto di spettacolarizzare la violenza non è un elemento legato solamente al
passato; oggigiorno, infatti, esistono ancora spettacoli di violenza e di morte,
non sono più celebrati in luoghi pubblici ma vengono offerti dai mezzi di
comunicazione di massa tramite la sovraesposizione della cronaca nera.
Per quanto riguarda il nostro paese, solo a partire dagli anni Settanta, grazie
alla Legge n. 103 del 14 aprile 1975, che ha “svecchiato” il settore televisivo
pubblico a favore di una taglio più moderno e aperto anche a nuove forme di
sperimentazione, si ha una rottura dei generi classici a favore di programmi
legati alla spettacolarizzazione. Il primo programma che mise in pratica le
nuove opportunità fu “Odeon” di Brando Giordani e Emilio Ravel, nel 1976, il cui
motto fu “Fare informazione sullo spettacolo facendo spettacolo”. Andava in
onda dopo il Tg2 ed il format comprendeva una serie di servizi riguardanti
l’approfondimento giornalistico, ma attenzione era anche data al mondo del
cinema, del costume e della musica. La rubrica riprendeva degli elementi di
Tv7, una trasmissione di approfondimento del TG1, e i metodi di spettacolo
! 58!
inerenti al cinema, svolgendo la sua funzione narrativa con ironia e leggerezza.
Da subito questo programma ebbe un grande successo, e fu il primo che riuscì
a mescolare intrattenimento e informazione nel territorio italiano, riproponendo
un genere ibrido già conosciuto in altri parti del mondo, l’infotainment,
informazione con spettacolarizzazione .
Oggigiorno il palinsesto italiano è costituito per lo più da programmi che trattano
questo “nuovo” genere ibrido, ne sono un esempio “Anno Zero”, “Ballarò”,
“Domenica In”, “Maurizio Costanzo Show”, “Porta a porta”. Ogni trasmissione
ha il suo “infotainers” ovvero un conduttore, definito ibrido, che si muove
sempre tra le due anime di questo particolare genere di televisione, come detto
precedentemente, giornalismo e intrattenimento, dove a vincere, sempre più
spesso, è il sensazionalismo.
Nel saggio “I Telegiornali: Istruzioni per l’Uso” del 1995, Ugo Volli e Omar
Calabrese, due esperti della teoria e tecnica della comunicazione di massa,
analizzando le metamorfosi dei TG nella storia d’Italia dai primi anni Cinquanta
fino all’era della tv berlusconiana, nel capitolo “informazione e spettacolo”
scrivono: “La regia degli eventi, la costruzione dei colpi di scena, il montaggio
degli argomenti, la personalità e l’aspetto fisico degli interpreti, l’impaginazione
e la titolazione seduttiva, la costruzione della suspense, il lavoro che
continuamente l’apparato mette in opera per costruire l’illusione di realtà (…) In
televisione anche le notizie esistono solo se fanno spettacolo e si sottopongono
alle leggi dello spettacolo – la prima delle quali è naturalmente che il pubblico
29
ha sempre ragione e non si deve mai annoiare”
“Illusione di realtà” perché la realtà scompare, e si assottigliano sempre di più i
confini tra reale e immaginario, si può parlare di iper-realtà.
Al momento della loro nascita i media erano visti come delle “finestre sul
mondo” ma in realtà dall’immensità di notizie che dovrebbero/potrebbero
esporre, ne estraggono solo alcune, le più sensazionali, e si concentrano su
quelle: invece che raccontare eventi reali si finisce per riportare solo delle
mezze-verità. Un esempio è dato dal caso del processo di O.J. Simpson, nel
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
! !
29 Alessio!Mannucci,!Viaggio#Allucinante#2.0,!Lulu.com,!2010
! 59!
1994: l’attenzione si è spostata più sulle immagini che passavano
continuamente nei servizi dei telegiornali piuttosto che sull’evento reale.
Inoltre nei telegiornali, dove il tempo per esporre una notizia è veramente
limitato a pochi secondi, si finisce per descrivere un evento in poche frasi ad
effetto che fanno breccia nelle emozioni del pubblico. Si tratta di un nuovo tipo
di giornalismo che non si limita a esporre il fatto ma indaga tra le vite dei
personaggi, scava nel loro passato, nelle loro vicende più intime e personali e
ne ricostruisce un “elemento iper-reale e sensazionale” da dare in pasto a
milioni di spettatori attirati da quel dolore e dalla rappresentazione di esso.
I media hanno, quindi, il compito di stimolare l’inconscio dello spettatore,
creando episodi il più possibile coinvolgenti. Non possono avere un linguaggio
neutro, quasi distaccato di fronte a un bambino ucciso o a una donna
brutalmente violentata, si darebbe l’impressione di un’indifferenza da parte del
narratore, devono anzi creare grande enfasi. Per questo i media si muovono
sempre tra due poli, il rispetto per le vittime da una parte e l’esigenza di
informare (spettacolarizzando) il pubblico sulla tragedia dall’altro.
I mezzi di comunicazione cercano, quindi, di estrapolare le frasi più
sconcertanti, gli atti più scabrosi, i pensieri più oscuri, si concentrano sul male
della nostra società, per poi creare servizi o articoli che attraggano il
consumatore finale. I media hanno anche questo compito: non possono
mostrare solo il “bello della vita”, ma anche questa parte malata della natura
umana. Lo fecero già i Greci con la tragedia, nella quale il mito viene
interpretato dal poeta in modo tale da assumere un valore universale e
diventare simbolo della tragicità della vita di ogni uomo immersa in un vuoto di
senso. La tragedia costringe quindi il pubblico a confrontarsi con la paura, la
30
sofferenza e il dolore assolvendo in tal modo a una funzione catartica .
Come nell’antica Grecia, anche oggi l’episodio di cronaca nera si trasforma in
una storia da raccontare. I media incorniciano l’evento, separandolo dalla
quotidianità, per poi inserirlo all’interno di una dimensione in cui gli individui si
31
spogliano dei loro tratti “umani” per assumere connotati fortemente simbolici ,
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
! !
30 Maria!Angela!Polesana,!Criminality#show,!Carocci,!2010
! !
31 Ibidem.
! 60!
come per esempio può essere un padre di famiglia buono, onesto, cattolico,
laborioso, in poche parole il “bene” e, al lato opposto, il “male” incarnato nello
scansafatiche, nello spacciatore, nel violento.
La serializzazione con cui vengono esposti gli eventi di cronaca nera assomiglia
molto al feuilletton francese, ovvero un romanzo a puntate, e che come tale,
deve avere delle particolari caratteristiche: un buono e un cattivo, un delitto, un
processo e, in particolare, il progredire delle indagini, che crea suspense
intorno al caso. Come il lettore francese aspettava la domenica per l’uscita del
“romanzo d’appendice”, lo spettatore vuole conoscere il seguito del delitto,
vuole sapere “come andrà a finire”; in entrambi i casi, il piacere è legato alla
tensione dell’attesa. Nel momento di attesa entra in gioco l’immaginazione del
pubblico, il quale formula delle ipotesi possibili sulla risoluzione del caso.
Casi italiani che si avvalgono di questo meccanismo possono essere il delitto di
Cogne, di Garlasco o di Erba: questi sono casi che hanno (o stanno)
appassionando il pubblico perché non sono frutto della fantasia, ma sono reali.
E proprio come avviene nei reality show, l’occhio dei media indaga 24 ore su 24
nella vita di alcune persone coinvolte (scelte perché fortemente caratterizzate)
32
che vengono fotografate sui giornali o riprese dalle telecamere televisive .
Si parla di criminality show, ovvero un format televisivo che si rifà a elementi e
storie reali, vissute da persone reali, dove l’attenzione è posta su elementi di
cronaca nera, criminality appunto, (anch’essi realmente accaduti) con una
cornice di spettacolarizzazione, show appunto.
Il criminality mutua e affina gli elementi del reality: tutto comincia con la
determinazione del luogo. Se, ad esempio, reality come l’Isola dei famosi
attirano il pubblico tanto meglio quanto più la location è esotica, qui vale il
contrario; il “locus commissi delicti”, pomposa espressione mutuata dai testi di
Cesare Beccaria e passata alle introduzioni di Michele Cucuzza, devono colpire
33
per la loro assoluta normalità . La cittadina deve essere priva di storia
precedente la cronaca e non deve essere una grande metropoli; per questo
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
! !
32 Ibidem.
!
33 Gabriele!Romagnoli,!Da#Cogne#al#processo#di#erba:#delitti#e#reality,#repubblica.it,!2008.!!
Disponibile! all’indirizzo:! http://download.repubblica.it/pdf/diario/2008/080208.pdf! (consultato!
!
in!data!20!dicembre!2014)
! 61!
Garlasco o Erba sono stati luoghi perfetti per avviare il meccanismo del
criminality show e, allo stesso tempo, città come Roma o Milano sarebbero
state improponibili. Oltre al paesino, una dei grandi “protagonisti” diventa la
casa, luogo dove solitamente avviene il delitto. L’abitazione diventa familiare,
più volte al giorno verrà fatto vedere in televisione il citofono o il cancello
antistante la casa, ma sarà anche possibile entrare dentro l’abitazione grazie ai
famosi plastici di Porta a Porta, la ricostruzione su scala dell’appartamento sulle
prime pagine dei giornali o le ricostruzioni del RIS. Altro elemento significativo
di questo meccanismo è il conduttore che, proprio come all’interno dei reality,
cerca, all’interno della sua trasmissione, di creare degli scontri e dei dibattiti
sull’accaduto. Chiamerà in studio una serie di esperti, dal medico, all’avvocato,
al giornalista, al “famoso” tuttologo, sempre presente, che in realtà poco
conosce dei fatti reali. All’interno del dibattito la prima ad essere esclusa è la
vittima: oramai non è più presente, è il personaggio che interessa di meno. Non
è importante che possa essere l’elemento chiave per spiegare la causa del
delitto e, quindi, le motivazioni dell’assassino: non fa più spettacolo. La vera
attenzione mediatica sarà tutta rivolta all’assassino o al presunto assassino,
che dovrà avere delle caratteristiche particolari, non potrà mai essere un
“buono”, dovrà avere per forza degli elementi oscuri, come un passato difficile o
una personalità disturbata. In questo caso il pubblico ne sarà “affascinato”, e
tanto più sarà il livello di gradimento, tanto più ritardato sarà lo spegnimento dei
riflettori.
Proprio come in un telefilm, il caso dovrà essere ricco di colpi di scena.
Il delitto, una volta che entra nella dimensione spettacolare non torna più
indietro, si trasforma in “evento”.
!
!
!
! 62!
3. VALUTAZIONI FINALI
3.1 Scopi della ricerca
Ogni giorno nel mondo avvengono migliaia, se non milioni di fenomeni inerenti
la politica, l’economia, la cronaca nera, etc., ma solo una minima parte di essi
verrà riportata dai mezzi di comunicazione di massa e, quindi, entrerà a far
parte dell’opinione pubblica.
Negli anni Ottanta, in Italia, in un convegno organizzato dal Comitato di
redazione del “ Corriere della Sera”, dall’Istituto Gramsci e dalla Casa della
Cultura di Milano, si discusse riguardo al fatto che non esistevano più “fatti”,
come disse Umberto Eco. Ma non esistono non perché il mondo abbia smesso
di produrre eventi, piuttosto perché l’evento diventa notizia solo se i media lo
riconoscono come tale. Quando un accadimento non viene ripreso
dall’informazione mediatica la sua conoscenza si diffonde solo attraverso la
comunicazione informale e, quindi, ne verranno a conoscenza soltanto i
protagonisti dell’evento e coloro a cui verrà raccontato.
Invece i giornali e la televisione sono dei moltiplicatori di conoscenza:
forniscono ad un determinato evento pubblica notorietà e favoriscono, in questo
34
modo, la costruzione di uno spazio pubblico e condiviso di conoscenze .
Questo processo ha caratterizzato anche il femminicidio: da quando i mezzi di
comunicazione trattano l’argomento, esso è diventato di pubblico dominio.
I media, però, sono stati in grado di trasformare i vari episodi di omicidi di
donne in “rappresentazioni sociali della realtà”; è difficile che qualcuno di noi
abbia avuto esperienza diretta o sia venuto a contatto con persone coinvolte in
questo particolare atto delittuoso; tutto ciò che sappiamo a riguardo ci è stato
fornito dai vari mass media, i quali forniscono significati e interpretazioni che
possono corrispondere soltanto parzialmente a quanto successo realmente.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
! !
34 Agostini!Angelo,!Giornalisti.#Media#e#giornalisti#in#Italia,!il!Mulino,!2012
! 63!
Il mio progetto di ricerca, che deve essere considerato in un'ottima più ampia,
longitudinale, è compiuto tramite un’indagine quantitativa e qualitativa, nasce
dalla curiosità di approfondire l’argomento femminicidio e la sua relazione con i
mass media sotto diversi punti di vista: le informazioni riguardanti i fatti di
cronaca sono acquisite attraverso esperienze personali o sono per lo più
dettate da esperienze mediali? I mass media sono in grado di influenzare il
nostro modo di vivere e/o di pensare? Sono in grado di portare all’attenzione
dell’opinione pubblica determinati argomenti a discapito di altri? E più nello
specifico, si conosce il fenomeno del femminicidio? Attraverso quale mezzo è
avvenuta la conoscenza? Quale messaggio hanno trasmesso i mass media?
Per condurre l’indagine ho realizzato un questionario on-line e ne ho analizzato
ed interpretato i risultati. Il questionario viene considerato essenzialmente come
un mezzo per la raccolta di dati generici e, quindi, come uno strumento di
ricerca quantitativo. In realtà non è così, in quanto è possibile formulare
domande personali che tendono a essere rappresentative del pensiero del
soggetto intervistato e per tanto può essere utilizzato anche come strumento
qualitativo. Alla luce delle considerazioni fatte ho cercato di costruire un
questionario tenendo bene a mente gli obiettivi della ricerca, scegliendo delle
specifiche aree di contenuto, posizionando le domande in modo che
risultassero, ove possibile, conseguenziali, formulando quest’ultime il più
possibile personali, effettuando un pre-test per eventuali modifiche e cercando
di usare un linguaggio comprensibile a tutti gli intervistati.
Prima della somministrazione, ho contattato personalmente gli intervistati
comunicandogli l’invio del questionario, senza però spiegare loro gli obiettivi
della ricerca, evitando così di influenzarli.
Il campione scelto per la mia ricerca è composto da 80 soggetti, tutti residenti in
Lombardia, in provincia di Monza e Brianza e Milano. Il periodo di
somministrazione è durato circa tre mesi, da Settembre a Novembre 2014, ed il
questionario è stato distribuito tramite posta elettronica.
Al momento dell’elaborazione dei dati ho effettuato un’analisi di tipo orizzontale,
confrontando tutte le risposte date alla medesima domanda.
! 64!
I questionari sono composti di un totale di 12 quesiti, di cui i primi 3 riguardano
il profilo socio-demografico degli intervistati: sesso, età e professione. In seguito
vi sono 2 domande chiuse e 3 aperte, che servono a studiare più da vicino il
comportamento e il pensiero degli intervistati. Le ultime 2 domande, invece,
prevedono una prima parte a risposta chiusa seguita da una seconda parte a
risposta aperta per comprendere in modo più specifico le scelte/motivazioni
degli interpellati.
Le persone che hanno risposto si sono mostrate motivate e contente di poter
dare un contributo personale alla mia ricerca e tutti i questionari sono stati
compilati in modo integrale.
!
! 65!
3.2 Analisi dei dati
I primi dati del questionario corrispondono alle informazioni di tipo sociologico:
- sesso
- età
- professione
Sesso
Il campione di 80 persone comprende 34 uomini e 46 donne.
42%! Uomini!
Donne!
58%!
Età’
Il questionario è stato sottoposto a persone maggiorenni. Il campione è
composto da un range di persone con un’età minima di 18 anni e una massima
di 62. L’età media è di 27 anni. Per comodità ho diviso i numeri in due fasce:
una corrispondente alla generazione 18-35, e una relativa alla generazione 36-
62.
! 16%!
* 18W35!
36W62!
84%!
! 66!
*
Professione
Più della metà del campione, 59 intervistati, è composta da studenti universitari
di diversi atenei: Iulm, Bicocca, Politecnico, Bocconi e Cattolica. Ci sono inoltre:
4 docenti, 4 imprenditori, 2 liberi professionisti, 1 casalinga, 4 impiegati, 1
parrucchiere, 1 ostetrica, 1 organizzatrice d’eventi, 1 giornalista, 2 tecnici
specializzati.
1%! 1%! 3%!
1%!
3%! studenti!universitari!
1%! 5%! docenti!
1%! imprenditori!
5%! parrucchiere!
organizzatrice!d'eventi!
5%! liberi!professionisti!
casalinga!
impiegati!
74%! giornalista!
tecnici!specializzati!
I parametri socio-demografici mostrano come il questionario sia stato per lo più
compilato da persone con un livello di istruzione medio-alto e appartenenti a
una fascia d’età tra i 18 e i 35 anni.
! 67!
La prima domanda del questionario è a formulazione generica:
Generalmente dove acquisisce le informazioni (giornali cartacei, articoli
online..)?
Più di un terzo del campione, 31 soggetti, ha dichiarato di acquisire le
informazione online. Il resto degli intervistati si è così diviso: 27 acquisiscono le
informazioni attraverso tutti i principali mass media (televisioni, giornali e
internet); 2 attraverso televisione e internet; 15 attraverso giornali e internet; 3
attraverso la televisione; 1 attraverso giornali e televisione e 1 attraverso
giornali. televisione,!giornali!e!
internet!
1%! televisione,!internet!
4%! internet!
19%! 34%! giornali,!televisione!
1%! giornali,!internet!
televisione!
2%!
39%! giornali!
I risultati sono in linea con la condizione odierna riguardante la reperibilità di
notizie. La situazione non è sempre stata così: in precedenza a monopolizzare
l’informazione fu la televisione, che a sua volta scansò i giornali e la radio.
L’avvento della televisione in Italia si ebbe con alcune sporadiche trasmissioni
televisive trasmesse nel 1937, ma solo da Domenica 3 gennaio 1954 iniziò il
vero servizio di trasmissione regolare ad opera della Rai. Il servizio pubblico
aveva lo scopo di produrre programmi a carattere pedagogico: non doveva
seguire i gusti dell’audience, piuttosto doveva guidarli, in una missione
educativa, facendo diventare il mezzo televisivo un nuovo centro di diffusione
del sapere; basti pensare al programma di alfabetizzazione “Non è mai troppo
! 68!
tardi” del maestro Manzi, un programma che insegnò a leggere e scrivere a
migliaia di analfabeti.
Nell’aprile del 1972 ebbe inizio il fenomeno delle Tv commerciali con il caso
35
Talabella , due anni dopo Silvio Berlusconi fece nascere Telemilano (oggi
canale 5) e nel 1985, sempre Berlusconi a capo della Fininvest, rilevò anche
Italia 1. In questo modo la tv commerciale s’impose come il maggior
concorrente per la rete pubblica.
Sotto i colpi della Rai e di Fininvest, non cadde a pezzi solo lo scopo
pedagogico del servizio pubblico, ma finì in pezzi qualsiasi idea di televisione
che non fosse generalista. Il nuovo modello presuppone intrattenimento, il
pubblico non è più il destinatario del prodotto ma è divenuto il centro del
processo. L’informazione non è più elemento caratteristico del giornale ma
diviene un elemento di programmazione televisiva, in questo modo si trasforma
e diviene un genere ibrido composto da intrattenimento, fiction e informazione,
definito infotainment. Sempre più italiani iniziarono a usare la televisione come
principale mezzo di informazione. Al giorno d’oggi, invece, la televisione ha
perso il suo fascino, i TG hanno perso la fiducia del loro pubblico, come
dimostrato nel capitolo precedente. Per questo motivo viene scelta sempre più
spesso la Rete come strumento d’informazione, proprio perché viene vista
36
come un luogo libero e indipendente .
I risultati prodotti dal mio questionario rispecchiano questa nuova tendenza: ben
il 39% utilizza esclusivamente internet come strumento d’informazione e,
invece, il 34% utilizza televisione, giornale cartaceo e Internet. Solo il 4% usa
unicamente la televisione come medium privilegiato per informarsi, e questo
sottolinea quando detto fino ad ora, ovvero l’informazione televisiva ha perso la
sua credibilità ed è spesso usata solo come uno strumento di informazione
“marginale”.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
!
35 Un’emittente!televisiva!nata!nel!1971.!Si!occupava!principalmente!di!informazione!ma!mandò!in!
onda!anche!Campanile#in#vasca,!la!prima!trasmissione!“leggera”!di!spettacolo!non!a!opera!della!Rai.!
!
36 Ilvo! Diamanti,! Il# paese# stanco# che# non# crede# più# ai# Tg# e# ai# talk# show,! repubblica.it,! 2013.!!
Disponibile!all’indirizzo:!
http://www.repubblica.it/politica/2013/12/16/news/mappe_paese_stanco_non_crede_a_tg_e_talk
!
W73708417/!(Consultato!il!8!gennaio!2015)
! 69!
Le successive domande riguardano il tema del femminicidio:
Ha mai sentito parlare di femminicidio?
Tra gli intervistati solo una persona non è a conoscenza del neologismo
femminicidio.! 1%! SI!
NO!
99%! !
Se SI, in quale contesto?
La metà esatta del campione, 40 casi, dichiara di aver sentito parlare di
femminicidio attraverso i mass media (televisione, Internet, giornali cartacei e
online, radio). 22 intervistati ne sono venuti a conoscenza tramite televisione; 5
in contesti familiari; 5 in ambito scolastico/universitario; 3 attraverso giornali
cartacei e 5 tramite altri mezzi e/o esperienze.
6%! 6%!
4%! 6%! Contesto!familiare!
Tv!
28%! Mass!media!
Giornali!
Ambito!scolastico!
Altro!
50%!
! 70!
Saprebbe darne una definizione?
Le risposte relativa a questa domande sono state varie e sono state divise in
due macrocategorie:
- uccisione di donne in quanto donne (DI GENERE);
- uccisione per motivo amoroso, passionale, sentimentale (AFFETTIVO).
4%!
30%! Di!genere!
Affettivo!
Non!deninibile!
66%!
I risultati della mia ricerca mostrano come il fenomeno del femminicidio sia
entrato a far parte dell’opinione pubblica soprattutto grazie ai mass media:
infatti, 65 intervistati, oltre i ¾ del campione totale, hanno dichiarato di
conoscere il neologismo grazie ai media, solo 15 partecipanti ne sono venuti a
conoscenza attraverso altri mezzi o istituzioni e solamente 1 persona ha
dichiarato di non conoscere il neologismo.
Particolarmente interessante è analizzare le definizioni di femminicidio date
dalle persone venutene a conoscenza tramite i mass media. In ben 12 casi è
stata utilizzata la parola “gelosia” e in 5 “ delitto passionale”. Come descritto nel
capitolo precedente, sempre più spesso, i media tendono a tralasciare il motivo
“di genere” alla base del femminicidio e, invece, si tende a colpevolizzare la
donna o a giustificare eccessivamente il carnefice, attraverso l’uso di parole
come, appunto, gelosia o delitto passionale.
! 71!
Secondo lei in che modo trattano il fenomeno i media?
35 intervistati hanno risposto NON SODDISFACENTE, 42 SODDISFACENTE e
solamente 3 PIENAMENTE SODDISFACENTE
4%! Non!soddisfacente!
44%! Soddisfacente!
52%! Pienamente!
soddisfacente!
Il grafico a torta appare, all’incirca, tagliato a metà. Gli intervistati, quasi in modo
equo, si sono divisi tra chi pensa che i media trattino l’argomento in modo
soddisfacente e chi il contrario. Come è spiegabile questa divisione? Dobbiamo
pensare al contesto in cui viviamo, ovvero un mondo dominato dai mezzi di
comunicazione. Siamo bombardati, costantemente, da notizie di ogni genere,
dalle più assurde alle più vere. Per questo abbiamo, in parte, perso fiducia e
credibilità nei media e nel loro modo di trattare le notizie. La fetta del grafico
che ha dichiarato di non essere soddisfatta del modo in cui viene trattato
l’argomento appartiene proprio a questa fascia della popolazione, distaccata e
disillusa.
! 72!
Secondo Lei i mass media hanno la possibilità di influenzare l’opinione
pubblica su questo fenomeno?
Secondo 66 intervistati i media sono in grado di influenzare l’opinione pubblica
riguardo il femminicidio, contrariamente 14 persone pensano non sia possibile.
18%! SI!
NO!
82%!
Se Sì, in che modo?
Anche in questo caso sono state raggruppate le risposte in 3 grandi
macrocategorie:
- incrementando la paura nella popolazione;
- sensibilizzando l’opinione pubblica;
- focalizzando l’attenzione su questa tematica a discapito di altre.
6%! 18%! Incremento!della!paura!
Aumento!della!
sensibilizzazione!
Maggior!focalizzazione!
47%! 29%! Non!deninibile!
! 73!
La maggior parte del campione vede i media come mezzi in grado di
influenzare la pubblica opinione.
Per quanto concerne il femminicidio sono state 3 le macrocategorie createsi a
seguito delle risposte date sull’influenza dei mezzi di comunicazione.
L’aumento della paura a seguito delle notizie fornite dai mass media è stato a
lungo elemento di dibattito tra molti studiosi, ma questo argomento è già stato
ampliamente trattato nel capitolo precedente. Per quanto riguarda i risultati del
questionario, sono stati “solo” 12 gli intervistati che hanno affermato di aver
riscontrato un incremento della paura come conseguenza dell’aumento di
notizie riguardo il femminicidio, un esiguo 18%. La maggior parte delle persone
(31 intervistati) ha, invece, dichiarato di vedere i mass media come mezzi
capaci di influenzare l’audience, in grado di focalizzare l’attenzione su un
argomento a discapito di altri. Un esempio pratico può spiegare meglio quanto
descritto fin ora: nel periodo successivo l’11 settembre 2001, la stampa
dedicava pagine su pagine alla crisi internazionale ed il resto pareva
dimenticato o poco rilevante.
Esistono, quindi, delle situazioni nelle quali intere porzioni di realtà non trovano
più spazio o cittadinanza sui media e rischiano, conseguentemente, di non
raggiungere neppure l’attenzione collettiva. È altrettanto vero, tuttavia, che quei
momenti sono di solito talmente eccezionali da rientrare subito nello schema
della “selezione delle priorità”, meccanismo obbligato di ogni società
complessa. Il fatto eccezionale, come può essere un caso di femminicidio, è
avvincente ed emotivamente coinvolgente per chiunque: la classe sociale,
dirigente, giornali, opinione pubblica. L’esigenza di reagire all’inaspettato, al
tragico, all’evento sconvolgente crea meccanismi d’attenzione che superano le
soglie dell’abitudine, sconvolgono i ritmi quotidiani. È questa la situazione nella
quale i media possono e devono offrire quantità ben più abbondanti
d’informazione.
Questa caratteristica dei media, però, è vista in modo negativo dalla maggior
parte dell’audience, la quale dimostra di non essere soddisfatta del servizio
offerto (v. domanda: Secondo lei in che modo trattano il fenomeno i media?).
! 74!
Le uniche risposte positive paiono essere quelle racchiuse nella categoria
riguardante l’aumento della sensibilizzazione. Secondo 19 intervistati, infatti,
parlare di femminicidio può portare a una maggiore consapevolezza del reato,
mettendolo al centro dell’opinione pubblica in modo che gli enti ufficiali possano
prendano misure preventive e possano aiutare potenziali vittime, proteggendole
e “spingendole” a denunciare o a chiedere aiuto.
Secondo Lei nei fatti di cronaca riguardante il femminicidio, i mezzi di
comunicazione danno maggiore risalto alla vittima o al reo?
47 intervistati ritengono che i media diano maggior risalto al reo, contrariamente
33 pensano che i media tendano a dare più importanza alla vittima.
41%! Vittima!
Reo!
59%!
Da cosa lo deduce?
Il 59% degli intervistati vede il reo come il “protagonista” dei racconti mediatici
legati alla cronaca nera. Secondo alcuni, infatti, la maggior parte degli articoli di
giornali online, giornali cartacei e sevizi dei Tg hanno come soggetto il carnefice
e non la vittima o il reato. Secondo altri il vero motivo è la spettacolarizzazione:
il reo è un elemento più affascinante della vittima, essendo possibile studiarne i
pensieri, le attitudini, i comportamenti etc.
Il 41% dei rispondenti, invece, vede la vittima come la reale protagonista
dell’evento mediatico.
In realtà la vittima è posta al centro dell’attenzione solo immediatamente dopo
l’evento criminale, quando ancora non è chiaro chi sia stato l’assassino o il
! 75!
presunto assassino. Ben presto, però, la cronaca sposterà l’attenzione su colui
che ha, o potrebbe aver, commesso il reato e la vittima viene accantonata,
quasi dimenticata. Si può parlare di spersonalizzazione della vittima, poiché
diventa un semplice oggetto di aggressione al quale è stato fatto del male. Il
vero “centro mediatico” diviene la figura del reo, il quale offre molto più
materiale su cui lavorare. Programmi come “Porta a porta” costruiscono interi
servizi basati sul carnefice: vengono studiate le abitudini, i comportamenti dopo
l’evento delittuoso, i movimenti, le risposte date ai media, etc, ma allo stesso
tempo viene elevato a capro espiatorio.
Troppo spesso l’autore del reato viene rappresentato come nemico pubblico
ovvero come mostro, creando così nel pubblico diffidenza e desiderio di
punizione nei confronti del deviante ma anche paura e insicurezza. Secondo
37
tale prospettiva il soggetto deviante viene “ pubblicizzato” più della vittima .
Il risultato di questo processo vede la vittima sempre più decontestualizzata dal
fenomeno criminale di cui è, invece, parte integrante.
!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
! !
37 Forti!G.!Bertolino!M.,!La#televisione#del#crimine,!Vita!e!Pensiero,!2005
!
! 76!
3.3 Conclusioni e riflessioni
Il mio processo di analisi volge al termine, ma prima ritengo che le risposte date
al questionario abbiano portato alla luce molti interessanti punti di riflessione
che meritano un’analisi.
I risultati mostrano come, ormai, il neologismo femminicidio sia diventato una
parola “comune” nel nostro vocabolario: non è più una parola legata agli omicidi
compiuti a Ciudad Juarez, bensì viene collegata ad episodi accaduti nel nostro
Paese o nella nostra città. La matrice di questo cambiamento è stata
inizialmente la televisione e, in seguito, i mass media in generale. Negli anni
Novanta, periodo in cui si è iniziato a parlare del fenomeno, non venivano usati
tutti i mezzi di comunicazione come ora e la Tv era il mezzo di informazione
privilegiato.
Oggi, invece, viviamo in un mondo sempre più complesso e veloce in cui le
persone hanno bisogno di essere informate istantaneamente; non siamo più in
grado di poter aspettare il notiziario della sera o il quotidiano mattutino.
“Aspettare” è un verbo che non rientra più nel nostro lessico.
Anche quando abbiamo bisogno di contattare una persona non dobbiamo far
altro che prendere il telefono e chiamarla oppure mandarle un messaggio, ma il
telefono oggi non serve solo a chiamare: siamo nell’era digitale e il cellulare si è
trasformato in smartphone tramite cui non solo possiamo comunicare con le
persone, ma riusciamo a collegarci con il mondo intero tramite i web browser.
Studiando le risposte del questionario si vede come il 39% del campione ha
dichiarato di acquisire le informazioni tramite Internet, il 34% tramite Tv, giornali
e sommandoli insieme si nota come il 94%, quasi la totalità dell’intero
campione, usi la rete per essere informato. Avere la possibilità di acquisire
notizie in tempo reale, però, ha effetti collaterali: noi acquisiamo, infatti, enormi
quantità di informazioni ogni giorno e quelle che realmente ci colpiscono
diventano sempre meno. Solo per le notizie che ci suscitano interesse avremo
la voglia di informarci veramente cercando successivi aggiornamenti, per il
resto ci affideremo alle informazioni che ci passano i mass media. È per questo
motivo che il 30% degli intervistati ha definito il femminicidio come un’uccisione
! 77!
legata ad un movente di tipo affettivo. Queste persone non hanno saputo
andare oltre la semplice informazione legata a un servizio televisivo o a un
articolo di giornale, che sia online o cartaceo e hanno preferito fidarsi
ciecamente.
Come visto, già nel 1989 Diana Russell aveva criticato i media e il modo in cui
trattano le notizie, banalizzandole e sminuendole. Fortunatamente sempre più
persone si stanno accorgendo del modus operandi utilizzato dei mass media e,
infatti, il 44% degli intervistati non è soddisfatto del modo in cui i mezzi di
comunicazione trattano le notizie o, in questo frangente, il femminicidio.
Contrariamente il 52% ne è soddisfatto e il 4% ne è pienamente soddisfatto.
Andando a scavare più a fondo, però, ne esce un altro ritratto, più pessimistico.
Ciò è dimostrato dal fatto che quasi metà del campione afferma che i media
sono in grado di focalizzare l’attenzione su un particolare evento, tralasciando,
dettagli importanti o non tenendo conto di altri fatti. Personalmente ritengo che i
media, visti come “finestre sul mondo”, siano tutto meno che finestre, anzi si
potrebbero definire fessure. Infatti, dei milioni di avvenimenti e fatti che
accadono ogni giorno, ci viene mostrato solo una minima parte di essi e, inoltre,
spesso senza un minimo di obiettività. Il mondo televisivo ha, quasi da subito,
cercato di attrarre audience e l’unico modo per farlo era fornire intrattenimento.
Nato inizialmente con le soap opera si è esteso ben presto fino all’informazione.
La politica, l’economia e la cronaca sono diventati oggetto dello show mediatico
e, in questo modo, si è perso di vista il reale scopo dell’informazione, ovvero
informare il lettore o lo spettatore in modo obiettivo, preciso e trasparente.
Sempre più spesso vengono create delle notizie ad hoc, create su misura di un
pubblico che compra un giornale, guarda la televisione o naviga su Internet non
tanto per essere informato, quanto più per svagarsi.
Il risultato di una cattiva informazione, sempre secondo il mio parere, può avere
due diversi risvolti. Se l’audience dovesse accorgersi di questo meccanismo
diminuirebbe la fiducia verso i mezzi di comunicazione di massa, processo che
per alcuni sta già avvenendo, come dimostrato nei risultati del questionario.
Contrariamente, nel momento in cui l’audience non dovesse accorgersi di
questo meccanismo, sarebbe portato a pensare che le uniche informazioni
! 78!
degne di nota siano quelle riportate dai mezzi di comunicazione di massa,
creando così una conoscenza limitata e imprecisa.
Concludo con una citazione di Lee Loevinger:
“ La televisione è la letteratura degli illetterati, la cultura del plebeo, il
benessere del povero, il privilegio del diseredato, il club esclusivo
delle masse escluse”.
! !
! 79!
! 80!
QUESTIONARIO !
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UOMO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! DONNA!!!!!!!!!!!
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________________!ETA’!!!!!!!!!!!!!!!!!!!_____________________!PROFESSIONE!
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1W Generalmente!dove!acquisisce!le!informazioni!(giornali!cartacei,!articoli!
online..)!?!
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2W Ha!mai!sentito!parlare!di!femminicidio?!
!!
!!!! SI!!!!!!!!!!!!!!!! NO!
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3W Se!SI,!in!quale!contesto?!
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4W Saprebbe!darne!una!definizione?!
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5W Secondo!Lei!in!che!modo!trattano!il!fenomeno!i!media!(Tv,!Radio,!Social!
Network..)!?!
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NON!SODDISFACENTE!
! !
SODDISFACENTE!
! PIENAMENTE!SODDISFACENTE!
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6W Secondo!Lei!i!mass!media!hanno!la!possibilità!di!influenzare!l’opinione!
pubblica!su!questo!fenomeno?!Se!SI!in!che!modo?!
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!!!!!!!!!!SI!!!!!!!!!!!!!!!!! NO!
! 81!
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7W Secondo!Lei!nei!fatti!di!cronaca!riguardante!il!femminicidio,!i!mezzi!di!
comunicazione!danno!maggiore!risalto!alla!vittima!o!al!reo?!
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!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!VITTIMA!!!!!!!!!!!!!!!!!! REO!
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8W Da!cosa!lo!deduce?!
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DESCRIZIONE TESI
Tesi sperimentale ( con questionario effettuato su un campione di 80 persone ) per Comunicazione relazioni pubbliche e pubblicità, dell'università degli studi Libera Università di Lingue e Comunicazione - Iulm elaborata dall’autore nell’ambito del corso di Media e crimine tenuto dal professore Dambone dal titolo Circo mediatico e Femminiccidio. Il potere della comunicazione. Scarica il file in formato PDF!
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher giulia.caimi.3 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Media e crimine e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione - Iulm o del prof Dambone Carmelo.
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