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IL BEATO ANGELICO: LE ANNUNCIAZIONI
L’Annunciazione di Cortona
Nell’iconografia tradizionale, la scena dell’Annunciazione è rappresentata secondo una lettura che procede
da sinistra verso destra, con l’angelo che arriva da sinistra e la Vergine che chiude a destra la
rappresentazione, in genere con un elemento architettonico.
Inoltre, sono individuati, la Vergine e l’Angelo in un proprio spazio definito: la scena unica, in altre parole, è
divisa in due parti (quasi sempre da una colonna, o da un altro elemento) che stanno a rappresentare il
mondo celeste e lo spazio terreno, uniti dall’Annuncio e, che anche l’Angelico, nella sua fitta serie delle
Annunciazioni, non sembra trasgredire quasi mai.
Nell’Annunciazione di Cortona, eseguita per la chiesa di San Domenico, gode di un’innovazione, l’ambiente
del porticato, si apre sulla sinistra con tre arcate in prospettiva LATERALE, dove nella prima, entra
l’Arcangelo Gabriele
Lo spazio dedicato al verde dell’orto, che raffigura il Paradiso Terrestre, è ridotto rispetto ad altre
Annunciazioni dell’Angelico, comunque, s’intravede la raffigurazione in alto a sinistra della cacciata dal
Paradiso di Adamo ed Eva. Nello Schema compositivo le ali dell’Arcangelo che attraversano il porticato,
suggeriscono il suo arrivo, ovvero, il momento in cui l’Angelo si avvicina alla Vergine. Il senso d’azione della
scena è accentuato dall’atteggiamento delle mani dell’Angelo, con un indice rivolto alla Madonna e l’altro
che invita al sussurro (delle parole scritte che si aprono a raggera)
L’Annunciazione di San Marco
Rispetto all’Annunciazione della Pala di Cortona, l’Angelico apporta delle modifiche sia stilistiche che
compositive.
Qui lo studio, dello spazio interno, s’accentua e si analizza in una ricerca che scandisce il grande portico in
due bracci ben distinti, di cui, quello di sinistra dell’Arcangelo, sembra più profondo dell’altro, dove si trova
la Vergine. Dietro la Madonna, lo spazio si fa più intimo. Qui a confronto con le altre scene
dell’Annunciazione, non troviamo più lo Spirito Santo e sono scomparse le figure d’Adamo ed Eva cacciati
dall’Eden dall’Angelo.
In quest’Annunciazione, la prospettiva è costruita con precisione geometrica fin nei minimi dettagli
architettonici, basti guardare la variazione dei capitelli laterali anche se pur con qualche incertezza (le basi
delle colonne).
Nell’Annunciazione della cella n. 3. la suggestione prospettica centrale è la forma simbolica del dipinto,
nell’Annunciazione dell’Armadio degli Argenti, qui la costruzione prospettica non separa in due spazi, quello
celeste da quello terreno ma li unifica.
IL BEATO ANGELICO: LA DEPOSIZIONE
La Deposizione
L’opera, la Deposizione iniziata, da Lorenzo Monaco (ca. 1370-1423) su commissione della famiglia Strozzi,
(realizza la cornice) era originariamente destinata alla sagrestia della chiesa fiorentina di Santa Trinità. La
costruzione della cappella nobiliare dei ricchissimi Strozzi, ad opera di Lorenzo Ghiberti, risale al 1418-1423.
In quello stesso anno Gentile da Fabriano ultimava la pala d'altare considerata il suo capolavoro,
l'Adorazione dei Magi per l'altare principale. Per il secondo altare venne poi commissionata a Lorenzo
Monaco una pala di forma e dimensioni analoghe, che non venne portata a termine per la morte dell'artista
(1424).
In seguito il completamento (o secondo alcune interpretazioni la ridipintura della parte centrale) venne
affidato al frate Beato Angelico. La datazione della pala è molto discussa dagli studiosi
Secondo alcuni l'Angelico vi lavorò quindi verso il 1432, prima che nel 1434 Palla Strozzi (=Collezionista di
libri rari e conoscitore del greco e del latino, si trovò già sessantenne invischiato nell'opposizione ostinata
contro Cosimo de' Medici. Cosimo il Vecchio infatti era l'uomo che per la prima volta si era di fatto preso
tutto il potere cittadino, grazie a un sistema di favoritismo con uomini chiave alla guida degli uffici della
Repubblica fiorentina. Davanti a Cosimo solo due strade erano possibili: allearsi accettando un ruolo da
“dipendenti” o scontrarsi frontalmente, e Palla, dall'alto della sua ricchezza e fiero della propria cultura, fu
a capo della fazione antimedicea assieme ad un altro oligarca indomabile, Rinaldo degli Albizi.
In un primo momento la fortuna sorrise la sua fazione, riuscendo ad ottenere prima l'incarcerazione di
Cosimo, poi la dichiarazione del medesimo come magnate, cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio dalla
città (1433). L'obiettivo dello Strozzi comunque non era tanto l'eliminazione di un avversario, ma la
restaurazione della libertas fiorentina e in questo è diverso dall'alleato Rinaldo degli Albizi. Intanto Cosimo
mandava già segni di prepararsi a un rientro, che avvenne puntuale al cambio di governo con il veloce
avvicendamento dei gonfalonieri, meno di un anno dopo la partenza da Firenze. Tra i primi provvedimenti
vi è proprio la vendetta sugli avversari, con l'esilio delle famiglie degli Albizi e degli Strozzi, e in questo
Cosimo fu favorito anche dall'appoggio popolare che lui e la sua casata si erano saputi conquistare. Nel
1434 quindi lo Strozzi parte per Padova, dove si preparava per un rientro che non avvenne mai. La sua casa
di Padova, nella quale egli visse una seconda giovinezza, fu un ritrovo di artisti e letterati, nel periodo d'oro
quando la città veneta era uno dei centri culturali più notevoli della penisola italiana, per certi risultati
artistici più importante della stessa Firenze (si pensi ai capolavori lasciati proprio da due fiorentini come
Giotto o Donatello). Morì a Padova l'8 maggio 1462) venisse espulso dalla città
Nonostante la cornice ancora gotica, infatti, la scena del dipinto è collocata in uno spazio stretto e definito,
l'Angelico riesce ad unificare lo spazio della narrazione sfondando con la prospettiva; a tal fine, egli
introduce un paesaggio regolato su infiniti piani successivi, che spaziano dalla città ideale di sinistra (forse
Cortona), ricca di case e torri variopinte, fino al castello sul colle di destra e poi, ancora, verso la distesa dei
campi e dei paesi che si perdono nell'orizzonte.
Lo sfondo è ispirato ai dipinti di Masaccio (Cappella Brancacci) e al decorativismo tardo gotico di Gentile da
Fabriano.
L’equilibrata composizione si ritrova nei personaggi in primo piano, i quali, nonostante la solida volumetria,
sembrano appartenere più ad una dimensione spirituale che alla realtà quotidiana.
Si noti in particolare il corpo di Cristo che, con la sua posizione obliqua, spezza l'andamento verticale del
dipinto, individuando una diagonale che si prolunga nella figura della Maddalena (in basso a sinistra) per
collegarsi poi idealmente con i tre angeli oranti (in alto a destra, all'interno dell'arco acuto), quasi a
simboleggiare la coralità di un dolore tanto grande da sconvolgere sia la terra sia il cielo.
Nonostante la salda volumetria delle figure, soprattutto quella del Cristo nudo modellato anatomicamente,
manca una rappresentazione convincente del peso e dell'azione, con le figure sulle scale che sembrano
lievitare nell'aria. Notevole è invece l'attenzione al dettaglio, come i segni delle frustate sul corpo di Gesù, o
la dettagliata resa delle fisionomie dei personaggi. Sotto i tre archi acuti della cornice si svolgono tre
rappresentazioni differenti che si uniscono nel racconto biblico: a sinistra le pie donne che reggono il
sudario dove adageranno il corpo di Cristo, con la Maddalena che bacia i piedi a Gesù, l’unica donna capace
di toccarlo; al centro la Deposizione a destra, il gruppo dei dotti uomini che discutono sui simboli della
passione, chiodi e corona di spine.
Con questa tavola l’Angelico, incarna una dottrina filosofica per quanto riguarda l’ambientazione, come mai
gli uomini hanno come sfondo la natura? E le donne, la città costruita dagli uomini?
Perché, le donne amano Cristo con i fatti e gli uomini con l’intelletto. La natura, è infinita come la loro
discussione sui simboli della passione, invece, alle donne è assegnata la città degli uomini per poterla
migliorare. La composizione è pacata non c’è dolore perché tutti sanno che avverrà la resurrezione, quindi,
la rinascita.
L’angelico, non dimentica di caratterizzare fortemente i suoi personaggi, tra i quali ritroviamo i ritratti di
Michelozzo, l’uomo con il berretto nero, e quello probabilmente di uno Strozzi, il giovane con il berrettone
rosso all’estrema destra
Il suolo è coperto da una fitta serie di pianticelle descritte nei minimi particolari, che alludono alla
primavera, intesa sia come periodo storico in cui si svolse la scena, sia come simbolo di rinascita.
LA CONVERSIONE DI SAN LORENZO
Beato Angelico lavorò alla Cappella Niccolina durante il suo soggiorno romano tra il 1445 e il 1450. I primi
documenti che attestano gli affreschi sono datati tra il 9 maggio e il 1º giugno 1447, durante il pontificato di
Niccolò V, ma è possibile che fossero già stati avviati nei due anni precedenti, sotto Eugenio IV
Gli affreschi di quella che era la cappella privata del papa dovevano essere terminati, dopo una pausa
nell'estate 1447 quando il pittore si recò a Orvieto, entro la fine del 1448. Il 1º gennaio 1449 l'Angelico
riceveva infatti la commissione per un nuovo lavoro
La scena della Consacrazione di san Lorenzo è l'unica del ciclo a non essere affiancata a un'altra nella
medesima parete, ma, per via della disposizione delle finestre, si erge isolata al centro. Essa è comunque da
mettere in diretta relazione con l'episodio della lunetta soprastante con Santo Stefano riceve il diaconato
da san Pietro.
Entrambe le scene sono infatti rappresentate in una basilica e mostrano un papa che consegna la pisside e
la patena nella cerimonia del conferimento del diaconato. In questo caso però la navata della chiesa è
rappresentata di scorcio, in un'ardita costruzione prospettica con cinque colonne per lato che sorreggono
un architrave (riferimento all'architettura paleocristiana delle basiliche romane), recedendo fino a una
nicchia centrale. Le figure non occupano esattamente il centro, ma il solo elemento in primo piano che si
trovi sulla verticale di fuga è il calice che Sisto II sta porgendo a Lorenzo. La prospettiva centrale venne
introdotta a Roma proprio dall'Angelico e la rappresentazione di una fuga prospettica di colonne all'interno
di una basilica, ripresa poco dopo anche nell'affresco di San Lorenzo che distribuisce le elemosine, è usata
qui per la prima volta su scala monum