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EVOLUZIONE DELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Possiamo dividere la giurisprudenza della corte costituzionale e la sua evoluzione in tre fasi:
1) Dal 1964 al 1973, quando incominciavano a definirsi i primi passi. Le fonti europee non incidevano
ancora sul sistema delle fonti interne e gli eventuali contrasti tra fonti dovevano essere regolati
secondo il principio cronologico. La comunità europea in quella fase storica non aveva una grande
produzione normativa e sostanzialmente gli ambiti di competenza dell’istituzione europea erano
marginali, pertanto, la corte costituzionale valutava il caso di possibile contrasto come un’ipotesi rara.
2) Dal 1973 al 1984, il processo di integrazione europea inizia ad essere più incisivo e penetrante
anche a livello normativo e la corte costituzionale con la sentenza 183/73 cambia atteggiamento:
riconosce alle fonti europee la portata di vincoli che limitano la sovranità dello stato e quindi la corte
costituzionale riconosce che l’intero processo di integrazione europea trova un fondamento
costituzionale nell’art. 11. Non vi era nel 1948 nessun riferimento nella nostra costituzione all’Ue
(l’unico riferimento sarà nel 2001 quando il legislatore modificherà il titolo V della seconda parte della
costituzione), ma l’art. 11 della costituzione era stato pensato per consentire all’Italia di poter far
parte all’organizzazione delle nazioni unite che era l’organizzazione internazionale che raccoglieva al
proprio interno tutti gli stati della comunità internazionale. Tuttavia, siccome in questo articolo si
parla di limitazione della sovranità nazionale a favore di organizzazioni internazionali che perseguono
la pace e la giustizia tra i popoli, la corte costituzionale ha ritenuto di poter utilizzare questo parametro
costituzionale per dare una copertura al procedimento di integrazione europea. La corte
costituzionale manteneva, però, un’impostazione dualista: l’ordinamento interno è una cosa,
l’ordinamento europeo è qualcosa di esterno e sono due ordinamenti autonomi e distinti tra loro.
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Tant’è che in caso di contrasto tra norma interna e norma europea il giudice deve sollevare la
questione di legittimità costituzionale. Un approccio di questo tipo rischiava anche di intasare la corte
costituzionale visto che sempre maggiori erano le norme europee che entravano in vigore nel nostro
ordinamento e sempre maggiori potevano diventare i contrasti, rilevati dai giudici ordinari tra norma
interna e norma europea.
3) Dal 1984 ad oggi, con sentenza 170/1984 la corte costituzionale, pur in continuità a quanto stabilito
nella precedente sentenza del 1973, modifica il suo approccio ancora una volta e individua un nuovo
criterio: in caso di contrasto tra il diritto europeo e il diritto interno non è necessario ogni volta che il
giudice ordinario sollevi una questione di legittimità costituzionale, ma il giudice ordinario dovrà
valutare caso per caso questo contrasto e dovrà disapplicare la norma interna a favore della norma
europea (la norma interna rimane silente, nel senso che rimane nell’ordinamento ma il giudice ha
l’obbligo di dare prevalenza al diritto europeo). Questo criterio della disapplicazione, in realtà era già
utilizzato, ad esempio, per consentire ai giudici ordinari di disapplicare i provvedimenti della PA a
favore della legge ordinaria. Questo non vuol dire che la norma interna viene abrogata o viene
dichiarata invalida, semplicemente non viene applicata. Inoltre, la corte costituzionale per la prima
volta, in un giudizio in via principale con l’ordinanza 103/08, e in un giudizio in via incidentale
nell’ordinanza 207/13, ha sollevato una questione pregiudiziale innanzi alla corte di giustizia per
risolvere una questione di legittimità costituzionale che le era stata prospettata dai giudici ordinari. I
giudici nazionali possono rivolgere una questione pregiudiziale alla corte di giustizia per chiedere
come interpretare una norma europea se è in contrasto con l’ordinamento interno. A questo punto
l’ultima parola anche sulla costituzionalità delle leggi italiane non è quella della corte costituzionale,
ma della corte di giustizia. Negli ultimi anni, seppur raramente, la corte costituzionale ha sospeso i
giudizi davanti ad essa per chiedere alla corte di giustizia se quella legge interna, ancor prima di essere
incostituzionale, fosse in esplicito contrasto con uno dei principi che sono alla base dell’ordinamento
europeo.
TEORIA DEI CONTROLIMITI
L’art. 11 costituzione parla di cessioni di sovranità, ma l’ordinamento europeo e le fonti europee non
hanno sempre prevalenza sulle norme interne se questi principi europei sono in contrasto, ad
esempio, con i principi costituzionali; quindi, la corte costituzionale sin dalla metà degli anni ‘70 ha
elaborato la teoria dei controlimiti che poi di fatto non è quasi mai stata attivata. Il processo di
integrazione europea è un processo di cessione di sovranità, ma parziale, vi è comunque un residuo
forte di sovranità che resta in capo allo stato, e quindi resta anche in capo alla corte costituzionale
stabilire se una serie di fonti europee possano non prevalere sulla legge interna, proprio perché in
contrasto sia con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale, sia con la garanzia dei diritti
inviolabili della persona.
FASE ASCENDENTE E DISCENDENTE PROCESSO NORMATIVO EUROPEO
La fase ascendente del processo normativo europeo è quella che concerne il processo di formazione
degli atti europei, mentre la fase discendente del processo normativo europeo è diretta ad eseguire,
tra l’altro senza l’intermediazione del governo, gli impegni europei e in particolar modo a modificare o
abrogare quelle disposizioni statali che ancora vigono nel nostro ordinamento giuridico e che sono in
contrasto con gli obblighi di derivazione UE. 18
ARG. 3.1 E 3.2 – DECRETO LEGGE
INTRODUZIONE
Il decreto-legge è un atto avente forza di legge che il governo può adottare in casi straordinari di
necessità ed urgenza. È regolato dall’art. 77 della costituzione. Quando il governo adotta sotto la sua
responsabilità questi provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per
la conversione alle camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro
5 giorni. Il decreto legge viene adottato dal governo (e quindi in consiglio dei ministri) e viene firmato
poi dal Presidente della Repubblica prima della pubblicazione in gazzetta ufficiale (il pdr svolge una
funzione anche di controllo preventivo nella procedura di adozione del decreto-legge da parte del
governo). Una volta pubblicato in gazzetta ufficiale, il testo del decreto-legge produce seppur
provvisori, effetti immediati. Questa procedura così rigida è voluta dal costituente perché nel
momento storico in cui il costituente scriveva il testo dell’art. 77 erano ancora vicini gli eventi che
avevano portato all’instaurazione del regime fascista. Il potere legislativo è un potere esercitato solo e
soltanto dal parlamento, ma in caso di situazioni straordinarie di necessità ed urgenza per cui l’intero
iter legislativo diventa troppo lungo per far fronte a queste situazioni (es un terremoto), è necessario
che il governo agisca immediatamente.
CONVERSIONE DEL DECRETO LEGGE
E’ possibile che il parlamento decida di convertire solo una parte dei decreti legge e non tutti i decreti
legge, ma nella prassi dei lavori parlamentari una simile ipotesi creerebbe non pochi problemi di
coordinamento. Se i decreti-legge non vengono convertiti entro 60 giorni dalla pubblicazione in
gazzetta ufficiale, essi perdono efficacia sin dall’inizio, ex-tunc, come se non fossero mai stati
adottati. La conversione in legge del decreto legge ha l’effetto di ripristinare l’ordine normale delle
competenze legislative in capo al parlamento e si parla della conversione in legge come un processo di
novazione del decreto legge. Ad esempio, quando si va a novare un contratto, le parti altro non fanno
che rinnovare in un nuovo contratto il contenuto di quello precedente. Il parlamento può sempre
emendare il testo originario del decreto legge, anche con emendamenti soppressivi, e tutti hanno
efficacia ex nunc, al contrario delle norme del decreto legge che, se non convertite, perdono efficacia
ex tunc. È vero che la mancata conversione del decreto legge produce il venir meno retroattivo di tutti i
suoi effetti, tuttavia, il decreto legge è entrato in vigore e in quei 60 giorni ha prodotto degli effetti
giuridici. E se questi effetti giuridici hanno consolidato delle posizioni giuridiche soggettive in capo a
singoli soggetti, si pone un problema di certezza del diritto. In realtà, l’art. 77 Costituzione prevede
esplicitamente una serie di questioni connesse alla mancata conversione dei decreti legge che hanno
comunque prodotto situazioni giuridiche in capo ai singoli, uno strumento specifico di tutela: la legge
di sanatoria.
DUE TESI SULLA NATURA DEL DECRETO LEGGE
La tesi maggioritaria in dottrina ritiene che il decreto legge costituisca esercizio di un’eccezionale
competenza data al governo dalla costituzione per fronteggiare i casi eccezionali a cui non si potrebbe
provvedere tempestivamente con gli strumenti legislativi ordinari. La tesi minoritaria, che era la tesi
espressa dal prof. Esposito, vuole che la costituzione non attribuisca al governo alcun potere di
emanare decreti legge. Il decreto legge in questa prospettiva nascerebbe come atto di per sé invalido
destinato ad essere sostituito dalla legge con effetto retroattivo. Si tratta, quindi, di una tesi
minoritaria ispirata ad un principio di grande garantismo costituzionale e di tutela di garanzia delle
prerogative parlamentari con riferimento all’esercizio della funzione legislativa che però, anche in
ragione dell’abuso del decreto legge nella prassi da parte del governo è purtroppo diventata
minoritaria. A partire dall’inizio degli anni ‘90 i governi hanno cominciato ad utilizzare i decreti legge,
non più in via eccezionale, ma in via ordinaria. In pratica il governo adottava un decreto legge, veniva
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pubblicato in gazzetta ufficiale, doveva essere convertito entro 60 giorni dall’entrata in vigore (quindi
dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale), allo scadere del 60° giorno il parlamento, magari perché era
contrario a quello specifico decreto legge, non lo convertiva. Allora il governo allo scadere del 60°
giorno reiterava il medesimo testo per altri 60 giorni, per evitare che il decreto legge perdesse ex tunc
i suoi effetti giuridici. Tant’è che si è dato il caso dei decreti legge catenaccio.
INTERVENTO CORTE COSTITUZIONALE
Con la sentenza 360/96