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PRODUZIONE RIUTILIZZO

RECUPERO

SMALTIMENTO “ Figura 1 “

È chiaro che l’incipit di tutti i flussi di materia siano le attività produttive: esse generano rifiuti sia

per via diretta che attraverso le altre entità del sistema. Quindi, teoricamente porre l’onere

economico e giuridico della gestione dei rifiuti in capo ai produttori significa obbligarli a: migliorare

le proprie prestazioni ambientali in termini di design dei prodotti; selezionare accuratamente, sulla

base dell’osservanza delle leggi, le imprese di trattamento alle quali affidano i propri rifiuti; indurre

i consumatori ad attuare i migliori metodi di utilizzo dei prodotti e di gestione dei relativi scarti.

Qualora dovesse mancare la conformità ai regolamenti in un livello della filiera, e peggio ancora

dovessero verificarsi situazioni di rischio elevato in caso di abbandono e/o incendio doloso di rifiuti,

“basterebbe” percorrere a ritroso il flusso del rifiuto per identificare almeno un responsabile, sia

esso il produttore originale e/o il gestore di un impianto di trattamento. A tal proposito è in vigore

il sistema europeo di catalogazione e identificazione dei rifiuti, il cosiddetto CER, coadiuvato sia dal

regime autorizzatorio imposto a tutte le attività di gestione, sia dall’obbligo di rendicontazione di

tutte le quantità e tipologie di rifiuti in entrata e in uscita dai singoli impianti coinvolti, e sia

dall’operato del Ministero dell’Ambiente attraverso l’ONR (Osservatorio Nazionale dei Rifiuti) e gli

altri organi pubblici o privati connessi. Attualmente però, la responsabilità estesa del produttore è

confinata quasi esclusivamente agli imballaggi e ai rifiuti di imballaggio, e numerosi sono gli abusi

che frequentemente si verificano.

Sempre in riferimento alla “Figura 1”, si può notare come di fatto le operazioni di recupero abbiano

la funzione di riconvertire il rifiuto in una nuova risorsa, e che il loro grado di efficienza si ripercuote

sulla quantità di rifiuti da destinare allo smaltimento. La legge prevede il rispetto di precisi parametri

di composizione chimico-fisica sia per quanto riguarda la risorsa recuperata, che per il rifiuto in

output da destinare allo smaltimento. In svariate occasioni i costi delle tecnologie necessarie al

rispetto degli standard si sono rivelati insostenibili: l’Italia si ritrova di fronte a situazioni difficili in

cui corre i rischi di danneggiare gli imprenditori, di minare la sicurezza pubblica avvallando servizi

inefficienti e di vacillare sotto le pesanti sanzioni imposte dall’Europa. Per cui, la riuscita dell’intero

ciclo di gestione non può dipendere unicamente dal sistema legislativo, ma necessita anche di

un’adeguata struttura economica che assicuri la presenza di mercati consolidati per le materie

prime-seconde e garantisca profitti sufficienti per il progresso del settore; anche la struttura fiscale

e tariffaria deve risultare adeguata a sostenere e incentivare un continuo miglioramento.

Il ruolo dei consumatori assume infine un’enorme rilevanza, come suggerisce la definizione stessa

di rifiuto (Art. 183): esso è qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso o

abbia l’obbligo di disfarsi. Quindi, non solo egli è il decisore nel processo di discriminazione tra

risorsa e rifiuto, ma rappresenta anche la variabile indipendente, sulla base delle proprie abitudini

di consumo e del proprio reddito, nella funzione della portata totale di rifiuti prodotti. Questo

argomento verrà approfondito più avanti nel capitolo “Conclusioni e considerazioni personali”.

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In Italia, secondo i rapporti dei rifiuti formulati dall’ISPRA, ogni abitante produce in media circa 490

kg di rifiuti urbani (RU) ogni anno, per cui si registra un totale di circa 30 milioni di tonnellate annue

prodotte; a queste si aggiungono altri 39 milioni di tonnellate di rifiuti speciali. I dati italiani non si

discostano significativamente dalla media europea. Nel primo grafico si osserva la produzione di RU

dal 2005 al 2017, nel secondo tale produzione è confrontata con l’andamento dell’economia del

Paese negli stessi anni: si possono analizzare tali informazioni per dedurre l’evoluzione complessiva

riguardo la produzione di rifiuti.

Si può notare che, sebbene dal 2010 al 2013 il calo della produzione di RU sia correlato alla

decrescita del PIL e dei consumi delle famiglie, nell’ultimo anno si registra una correlazione inversa

tra gli indicatori. Per merito delle recenti politiche sul tema, pare che si stiano realizzando dei

miglioramenti; di fatto, per il periodo 2010-2017 si ottiene una variazione percentuale del rapporto

RU/PIL pari al - 8,5%, mentre la variazione della produzione dei rifiuti urbani per unità di spese delle

famiglie risulta pari al -7,9%. In questo frangente, l’Italia sta conseguendo correttamente gli obiettivi

imposti dall’Europa. I seguenti grafici mostrano invece la situazione riguardante la gestione delle

numerose tonnellate di rifiuti prodotti, assumendo sempre come esempio i RU.

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Anche in questo caso si procede verso un miglioramento complessivo, dato che vi è una tendenza

in aumento per quanto riguarda i trattamenti di recupero oltre che di quelli utili alla preparazione

dei rifiuti indifferenziati per lo smaltimento, nonché una diminuzione delle quantità destinate alla

discarica. Tuttavia, la distribuzione sul territorio degli impianti dedicati alla gestione dei rifiuti, ed in

particolare allo smaltimento, è fortemente disomogenea. Un caso è quello degli inceneritori,

essenziali per il recupero di energia, per la riduzione dei volumi di rifiuti e per la loro inertizzazione:

circa il 70% dei rifiuti vengono inceneriti al Nord, di cui quote considerevoli provengono dal Centro

e Sud Italia. La sola Lombardia riceve da fuori regione circa 300 mila tonnellate ogni anno

prevalentemente dal Lazio. Questo fenomeno rappresenta una notevole criticità, dato che in primis

evidenzia uno stato di emergenza nella gestione dei rifiuti in Meridione dovuto alla mancanza di

infrastrutture e servizi, in secondo luogo comporta grosse spese aggiuntive di trasporto ed

organizzazione, ed infine viola il principio di autosufficienza e prossimità (in particolare Art. 183

comma 2) in termini di gestione e attribuzione di competenze giuridiche in materia di rifiuti. Risulta

chiaro che “l’emergenza” si estende a tutto il Paese, così come i costi generati dalla gestione

frammentata, i provvedimenti disciplinari imposti dall’Europa ed i rischi ambientali che vengono

corsi operando in condizioni sub-ottimali. Un dato in particolare riassume tale problematica:

Le carenza impiantistica di alcune regioni porta allo smaltimento in discarica di elevate percentuali

di rifiuti sul totale di produzione, qualora non sia possibile o economicamente conveniente inviarli

altrove: la Sicilia conferisce in discarica l’83% dei rifiuti che produce. Per cui, nonostante sia vero

che “lo spostamento dei rifiuti all’interno del Paese non compromette l’evoluzione del ciclo di

gestione di nessuna area e consente di confermare una generale tendenza alla riduzione dell’utilizzo

delle discariche soprattutto nelle zone dove erano maggiormente utilizzate”(ISPRA), questa

disomogeneità rappresenta il maggiore ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo nazionale di

ridurre la percentuale di rifiuti smaltiti in discarica al 10% entro il 2035.

In aggiunta, vi sono delle ripercussioni ancora più gravi: l’assenza di un sufficiente numero di siti di

smaltimento rappresenta un blocco in fondo alla filiera di gestione. Ciò significa che non solo è

necessario inviare flussi di rifiuti in tutto il Paese o persino in altri Stati, ma si corre anche il rischio

che l’accumulo degli scarti di aziende produttive, di recupero e trattamento divenga ingestibile,

segnando una congestione dell’intero ciclo. Proprio tali condizioni favoriscono inoltre i fenomeni di

smaltimento illecito, già ben radicati in alcune regioni e attivi nello sversamento nell’ambiente di

rifiuti provenienti da ulteriori attività illecite. Quindi, parallelamente agli sforzi condotti a favore

dell’allineamento alle nuove politiche europee, l’Italia affronta da molti anni l’abusivismo in tema di

smaltimento dei rifiuti in discarica, le cui cause sono evidentemente intrecciate alle problematiche

appena descritte.

Si tratta di uno storico contenzioso attualmente ancora aperto con l’Europa, la quale ha rilevato un

elevato numero di siti illegali di smaltimento su tutto il territorio italiano a partire dagli anni ’80. Le

discariche abusive in oggetto sono sia semplici luoghi di abbandono, sia dei veri e propri depositi di

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rifiuti urbani, anche pericolosi, la cui attività si svolgeva a pieno regime e con la completa

inosservanza delle condizioni di sicurezza per l’uomo e per l’ambiente imposte dalla legge

comunitaria (riguardo gli impatti ambientali verrà discusso nel capitolo 3). Sul totale di quasi 5000

discariche localizzate dai censimenti, il MATTM ha individuato 200 siti di smaltimento illecito di

rifiuti-SSIR corrispondenti ad una superficie di circa 800.000 metri quadrati.

Ciò ha portato ad una prima condanna nel

2007 poiché l'Italia era "venuta meno, in

modo generale e persistente, agli obblighi

relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle

direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti

pericolosi e alle discariche di rifiuti". Non

bastava garantire che nei siti oggetto della

condanna non venissero più depositati

rifiuti o che i rifiuti già depositati venissero

gestiti in conformità della normativa UE in

materia, ma occorreva altresì verificare che

i rifiuti non avessero inquinato il sito e,

all'occorrenza, procedere e completare le

attività di messa in sicurezza o bonifica del

sito. L’Italia però non ha realizzato tutte le

azioni indicate entro i termini previsti, per

cui la Corte di Giustizia ha emanato una seconda condanna nel 2014: ad oggi le sanzioni versate

sono dell’entità di oltre 204 milioni di euro, e se ne aggiungeranno altri 40 ogni semestre fino al

completo soddisfacimento delle condizioni imposte. Al 10 Aprile del 2019 rimanevano ancora 55

SSIR, localizzati principalmente in Calabria, Campania, Abruzzo, Puglia, Lazio, Sicilia e Veneto.

Le maggiori difficoltà riscontrate dal Paese nella risoluzione del fenomeno sono dovute all’assetto

del governo, alla complessità tecnica delle operazioni da attuare e, naturalmente, alla natura delle

spese da sostenere. Infatti, il marcato decentramento del potere governativo che si traduce nella

presenza di numerose amministrazioni su più livelli, non solo complica l’organizzazione ed allunga i

tempi delle azioni

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
26 pagine
SSD Scienze della terra GEO/05 Geologia applicata

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher paolocara11 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Geologia ambientale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof De Amicis Mattia Giovanni Maria.