Scegliere l'apollineo come categorie della creazione artistica è un viaggio curioso ed insolito che attraverso la “ragione filosofica”, tenta di indagare l’origine stessa dell’atto creativo. Se accostare tre nomi, Nietzsche, Freud e Fellini, può suscitare meraviglia, in realtà tutto il percorso è tenuto insieme da un’unica ed effettiva presenza: l’apollineo e il dionisiaco. Non è però la classica visione che, da “La nascita della tragedia” in poi, si è sempre avuta. Difatti il dionisiaco e l’apollineo hanno rappresentato, da quando Nietzsche li ha imposti alla cultura estetica e filosofica contemporanea, i due possibili modi d’essere dell’uomo, l’irrazionale (il dionisiaco) e il razionale (l’apollineo). Per giungere, però, a dipanare la matassa di quella che per noi è stata un’intuizione immediata, cioè l’equivalenza tra la “messa in scena artistica “ del film “Otto e mezzo” di Fellini e l’indagine di Nietzsche sulla “creazione artistica” secondo l’apollineo e il dionisiaco, abbiamo dovuto ancor prima cercare di confutare le più tradizionali interpretazioni che, nell’epoca postmoderna, sono state fatte intorno a “La nascita della tragedia” e che considerano il libro solo una fucina nella quale il filosofo ha potuto affilare gli arnesi con cui intraprendere la battaglia contro la modernità. Questo unico punto di vista, il più allettante per la cultura postmoderna, impedisce di apprezzare l’altro aspetto dell’opera, e cioè quello di essere nata come trattato di estetica che intende in tal senso enunciare una teoria intorno al problema della creazione artistica, indicandone i principi nelle figure dell’apollineo e del dionisiaco. In breve, ciò che si è fatto in questa dissertazione è un lavoro di elaborazione delle due figure in modo da considerarle come due “categorie mentali” del processo di creazione che danno spiegazione di un’opera d’arte (qui si è svolta l’analisi del film “Otto e mezzo” di Fellini). A dire il vero, in questo loro significato li aveva trattati anche lo stesso Nietzsche, ma è certamente il loro aspetto meno considerato da tutta l’esegetica nietzschiana, anzi completamente trascurato. Questo è accaduto, secondo noi, perché tale loro modo d’essere sfiora lo psicologismo e il rischio di sconfinare in questo è in agguato. Certamente lo stesso Nietzsche fu uno psicologo, termine che egli richiama spesso nelle sue opere, perché le sue considerazioni si spingono non di rado al di là della filosofia esistenziale fino ad indagare i meccanismi mentali dell’uomo. Di fronte al rischio di sconfinamento nella psicologia ci siamo trovati anche noi. Abbiamo, infatti, elaborato le due categorie della creazione artistica come “categorie pure”, in senso kantiano, cioè “formali”, vale a dire private del loro significato “di contenuto”, cioè di valori esistenziali, attenendoci all’altro loro possibile significato, quello “di uso”, e cioè quello che spiega come l’uomo arriva a produrre delle immagini, delle forme, delle parole, dei pensieri, delle metafore, tutto ciò che serve ad esprimere un senso per quello che noi sentiamo dentro. Come si vede il confine con la psicologia è sottile, e abbiamo ritenuto che, per alcune affinità di contenuto, bisognava fare una netta distinzione con la psicoanalisi di Freud, rilevando come la “ragione filosofica” potesse, intorno ad allo stesso argomento, esplorare diversamente dalla “ragione psicologica”, indicando i limiti di questa in materia di estetica. E’ stata anche l’occasione per ribadire le affinità d’indagine di alcune scoperte di Freud con quelle di Nietzsche., ma anche la possibilità di dimostrare come, in un’epoca dove sempre più la “ragione psicologica” sembra acquistare esclusiva autorità nella conoscenza sull’uomo, la “ragione filosofica” può da un lato essere un buon osservatorio critico sulla “ragione psicologica” e, dall’altra, dimostrare, come certe strade di conoscenza sono precluse alla psicologia.
Concludendo, dopo quanto detto, volendo noi stessi esprimere un giudizio sul lavoro di ricerca svolto, crediamo che ne sia uscito un piccolo trattato di estetica che, mettendo a confronto tre autori apparentemente estranei tra loro, da un lato offre alla riflessione filosofica una nuova strada da percorrere circa l’interpretazione dell’apollineo e del dionisiaco, e dall’altro offre alla psicoanalisi lo spunto per un’ulteriore meditazione su se stessa. Ma, soprattutto, speriamo possa dare un minimo contributo a chiarire meglio la figura di Fellini nel panorama culturale del Novecento, anche se ci siamo limitati all’analisi del film “Otto e mezzo”, che d’altra parte resta punto nodale nella sua filmografia.
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