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I CRITERI DI IMPUTAZIONE DELLE CIRCOSTANZE
Prima della riforma del 1990 le circostanze si applicavano in ogni caso, cioè a prescindere dalla conoscenza che di esse ne aveva l'agente, il che, ovviamente cozzava con il principio di colpevolezza cui si vorrebbe informare tutto il diritto penale. A seguito della famosa sentenza della Corte Costituzionale del 1988 il legislatore ha provveduto ad armonizzare la disciplina delle circostanze con il sistema odierno e ha stabilito che "Le circostanze che attenuano la pena sono valutate a favore dell'agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti. Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti".
Dunque le circostanze aggravanti sono imputate al reo solo in questi tre casi:
- se questi le conosceva;
- se sono ignorate per colpa, cioè se questi avrebbe dovuto conoscerle;
- se...
Sono ritenute erroneamente inesistenti, per errore determinato da colpa. Quelle attenuanti sono invece valutate in ogni caso.
LA RECIDIVA
La recidiva, letteralmente ricaduta, è una circostanza aggravante prevista dal diritto penale che comporta un aumento della pena per chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro.
Il codice penale all'art.99 prevede tre tipologie di recidiva comune, cioè riguardante tutti i reati:
- Semplice: consiste nella commissione di un delitto non colposo a seguito della condanna con sentenza irrevocabile per un precedente delitto non colposo. È indipendente dalla natura del reato successivo e comporta un aumento di pena di un terzo della sanzione da infliggere per il nuovo reato.
- Aggravata: consiste nella commissione di un nuovo reato della stessa indole del reato precedente, ovvero nella commissione di un reato entro cinque anni dalla condanna precedente, ovvero durante o dopo l'esecuzione della pena.
inflitta per un reato precedente. La pena per il nuovo reato potrà essere aumentata fino alla metà oppure almeno della metà (se 2 clausole).
Reiterata: è la situazione in cui versa colui che ha commesso un nuovo reato ed è già recidivo. In tal caso l'aumento disposto è della metà se la precedente recidiva è semplice, di due terzi se la precedente recidiva è aggravata.
LE CIRCOSTANZE ATTENUANTI GENERICHE
Il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell'articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell'applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62.
Ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto dei criteri di
Cui all'articolo 133 primo comma numero 3) e secondo comma, nei casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, in relazione ai delitti previsti dall'articolo 407, comma 2 lettera a), del codice di procedura penale, nel caso in cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni.
In ogni caso, l'assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma.
IL DOLO NEI DELITTI TENTATI
Parte della dottrina ritiene che nei delitti tentati è configurabile solo il dolo diretto, laddove, viceversa, non vi è spazio per la configurabilità del dolo eventuale. Ciò in quanto la stessa struttura della norma, nella parte in cui parla di "...atti diretti a..." evidenzia la volontà del legislatore di punire solo le condotte che evidenziano una determinata direzione.
Anche del coefficiente psicologico. Tale posizione non è tuttavia pacifica in dottrina. Altri autori osservano che il delitto tentato ha la stessa struttura del delitto consumato con il quale si coniuga. Ciò che manca è semplicemente la mancata verificazione dell'evento o la non commissione dell'azione.
IL TENTATIVO NEI REATI OMISSIVI
La condotta omissiva in ordine a tali reati risulta perfettamente frazionabile sicché non ci sono particolari difficoltà per l'individuazione degli atti idonei diretti in modo non equivoco alla realizzazione del reato. Si pensi, ad esempio, la madre omette di allattare il figlio fino al punto tale che solo l'intervento medico può scongiurare la sua morte. La stessa pone in essere una condotta omissiva idonea a provocare l'evento tipico previsto dall'articolo 575 c.p. Quest'ultimo viene impedito dall'intervento dei medici, ma non per questo il comportamento della madre non
può considerarsi idoneo e diretto all'evento morte.
GLI ATTI IDONEI ED UNIVOCI NEL TENTATIVO
Dalla lettura dell'articolo 56 c.p. si evince che il delitto tentato si impernia su due elementi oggettivi: gli atti idonei ed univoci, diretti a commettere un delitto.
Il requisito dell'idoneità è collegato agli atti compiuti, i quali devono avere una propria efficacia lesiva per essere ritenuti riconducibili nell'ambito del delitto tentato. L'atto diretto a commettere un delitto deve essere anche idoneo a mettere in pericolo lo specifico interesse tutelato dalla norma. L'idoneità si accerta sul piano causale, quando gli atti posti in essere, se fossero stati portati a compimento, avrebbero portato alla realizzazione di quell'evento dannoso.
Ad esempio Tizio spara a Caio mirando alla testa ma lo manca; dopo la pistola si inceppa e dunque viene disarmato. Se Tizio avesse potuto portare a termini la condotta causale avrebbe
cagionato la morte di Caio. Proprio al fine di evitare eventuali problemi di natura interpretativa, accanto al requisito dell'idoneità illegislatore colloca quello dell'univocità degli atti. Questi ultimi, infatti, per come vengono posti in essere devono indirizzare ex se verso la realizzazione di un reato. In altre parole essi devono evidenziare, in base alla comune esperienza, quale delitto erano diretti a commettere. Il loro accertamento deve essere fatto ex post, cioè attraverso una analisi della scena del crimine dal quale ricavare a quale delitto gli atti miravano. RECESSO ATTIVO Una diversa ipotesi di tentativo è quella del delitto impedito (o recesso attivo), quando l'agente ha posto in essere la condotta tipica, la quale è consumata, ma prima della verificazione dell'evento lo stesso si ravvede. Ad esempio, Tizio vuole uccidere Caio e gli somministra del veleno letale. Ad un certo punto Tizio si pente, eSomministra a Caio l'antidoto, salvandogli la vita. Se la pena per il tentativo è diminuita da un terzo a due terzi in relazione alla pena prevista per il reato base, nel caso del recesso attivo, quest'ultima pena avrà una ulteriore diminuzione da un terzo ad un mezzo. La scelta del legislatore di prevedere una ulteriore diminuzione per il caso di recesso si spiega nel fatto che con la sua condotta l'agente ha evitato volontariamente il verificarsi di un evento, altrimenti certo.
TENTATIVO COMPIUTO E DELITTO MANCATO
Si ha delitto mancato (o tentativo compiuto) quando l'agente pone in essere la condotta causale tipica, ma l'evento non si verifica per cause indipendenti dall'agente. Ad esempio Tizio inizia a compiere la condotta tipica del furto, magari intrufolandosi nell'abitazione, ma poi non finisce la condotta perché interviene la polizia. La condotta tipica è perpetrata e consumata, anche se l'evento furto
Non avviene. In tale caso si parla di delitto mancato. L'evento non si verifica, nonostante l'azione si compia.
DESISTENZA VOLONTARIA
L'articolo 56 comma 3 c.p. disciplina l'ipotesi della desistenza volontaria. Si ha desistenza volontaria quando il colpevole volontariamente desiste dall'azione. In questi casi il legislatore non punisce il reo per delitto tentato. Quest'ultimo infatti risponderà solo per i fatti che di per sé costituiscono reato, ma non anche a titolo di tentativo per il reato che ha deciso volontariamente di abbandonare.
Classico esempio è quello del ladro che, una volta intrufolatosi nell'abitazione altrui, non compie la condotta di sottrazione delle cose mobili altrui, ma volontariamente decide di abbandonare il proposito criminoso. Ciò che è importante è che la desistenza sia frutto di una scelta libera e personale e non il frutto del costringimento di fattori esterni.
REATO
IMPOSSIBILE
L'articolo 49 al comma 2 prevede la figura del cosiddetto reato impossibile: "La punibilità è esclusa quando, per l'inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa è impossibile l'evento dannoso o pericoloso". Se la punibilità è esclusa, il giudice può applicare una misura di sicurezza, qualora ritenga che il soggetto sia comunque pericoloso. È ovvio che "se concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di un reato diverso, si applica la pena stabilita per il reato effettivamente commesso". Quello previsto dall'articolo 49 c.p. è uno dei due casi previsti dal nostro ordinamento in cui il giudice può applicare una misura di sicurezza senza che ci sia reato, a causa della pericolosità sociale che ha dimostrato il soggetto e per questo motivo alcuni autori parlano di quasi-reato. Il reato impossibile ricorre dunque in due casi: quando
l'azione è inidonea; ad esempio: Caio vuole uccidere Tizio dandogli un pugno sulla spalla;– oppure sparandogli con una pistola giocattolo; quando l'oggetto dell'azione (cioè l'oggetto materiale del reato) è inesistente; ad esempio Caio vuole– uccidere Tizio ed entra di notte nella sua casa sparando ad un fantoccio, scambiando questo per la vittima.
PRINCIPIO DI SPECIALITÀ E PRINCIPIO DI CONSUNZIONE→ Specialità: per risolvere il conflitto tra norme il legislatore ha dettato l'articolo 15: “Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”. Talvolta però può accadere che due o più norme regolino la stessa materia e non sia individuabile una norma speciale rispetto all'altra.
un maggior disvalore giuridico. Questo principio si basa sul concetto che il potere decisionale dovrebbe essere delegato al livello più basso possibile, in modo che le decisioni siano prese a livello locale o regionale anziché a livello nazionale o sovranazionale. In altre parole, il principio di sussidiarietà afferma che le decisioni dovrebbero essere prese al livello più vicino possibile ai cittadini interessati. Il principio di sussidiarietà è spesso utilizzato nell'ambito dell'Unione Europea, dove si cerca di garantire che le decisioni siano prese al livello più appropriato. Ad esempio, se un problema può essere risolto efficacemente a livello nazionale, non è necessario che l'Unione Europea intervenga. Tuttavia, se un problema richiede una soluzione a livello sovranazionale, l'Unione Europea può intervenire per garantire una risposta adeguata. In sintesi, il principio di sussidiarietà promuove la decentralizzazione del potere decisionale e l'assegnazione delle responsabilità al livello più basso possibile, garantendo così una migliore governance e una maggiore partecipazione dei cittadini.