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2) L’oggetto di studio della pedagogia con particolare riferimento alla sua origine storica.
La pedagogia, sin dai suoi prodromi, in tutta la sua evoluzione e nell’attuale assetto critico e
problematizzante, ha sempre mantenuto il suo orizzonte su due aspetti fondamentali del corso
di vita dell’uomo: educazione e formazione. Tali elementi, essenza dell’essere umano, in
stretto rapporto dialettico tra loro, si fondono ma non si confondono, mantenendo ognuno la
propria specificità, ma anche la propria interdipendenza.
Ma siccome “l’educazione è sempre strettamente legata alle varie forme di vita storicamente
determinate, ogni concezione pedagogica, nel delineare i criteri della formazione umana e gli
obiettivi dell’apprendimento, riflette gli ideali politici e gli interessi economici del proprio
tempo” (J. S. Bruner, Il significato dell’educazione).
Trovando le sue radici prodromiche nell’età preistorica, in cui “educare” si traduceva in
trasmettere tecniche pratiche ed intellettuali, secondo principi quali imitazione ed esercizio
manuale, l’educazione trae le sue origini nel mondo classico, in più vaste concezioni
filosofiche, etiche o politiche. Con Socrate e Platone, i Greci elaborarono l’ideale del perfetto
equilibrio fisico e morale e intendevano la formazione del soggetto conforme al modello del
cittadino della polis, al guerriero; i romani puntarono alla formazione del cittadino secondo un
ideale di austerità. Formazione ed educazione sono qui enucleate dal concetto di paideia,
“formazione generale dell’uomo e del cittadino, secondo criteri che rinviano ad una vera e
propria filosofia dell’educazione” (Enciclopedia filosofica l’Universale), trasmissione non di
semplici concetti nozionistici e strumentali, ma di un sistema di conoscenze e di valori, legati
ad un contesto aristocratico e, almeno inizialmente, legati alla formazione del perfetto cives
della polis. Così, l’ideale greco di uomo in grado di entrare a far parte della società era quello
antropologico di forza e saggezza, che vedeva l’apprendimento come processo di
perfezionamento etico e culturale. E così i primi educatori, formatori e pedagoghi furono i
sofisti, i quali si ponevano come parte proattiva della società aristocratica nella trasmissione
dei saperi.
Ma come trasmettere tale virtù? Con la comunicazione educativamente orientata, lontana
dalla propaganda e dal proselitismo, proiettata verso il raggiungimento del bene, ma non come
assimilazione o adattamento passivi, del bello, ma non come canone, del vero, ma non come
dottrina, piuttosto come possibilità di vivere saggiamente nella polis. Vero che nell’excursus
storico della pedagogia muta significati e connotazione ontologica: dal Vero platonico,
aristotelico ed agostiniano di perfezione, alla lezione cristiana di tensione verso Dio, a quella
illuminista e razionalista del “vivere secondo ragione”, a quella rousseauiana di
emancipazione dell’individuo dalla cultura e della vita “secondo natura”. Giungendo, poi,
all’ideale estetico della Bildung schilleriana: educazione come tensione asintotica verso la
calocagatia, il bello ed il buono: la grazia. Riprendendo la paideia classica, il modello
romantico ripropone l’humanitas come caratteristica culturale, etica e morale dell’individuo.
Humanitas come umanizzazione dell’uomo e della donna, filantropia che si fa pensiero
autonomo, da cui autoregolatore e responsabile. Humanitas come creatività, criticità, cultura e
co-costruzione della stessa, alla luce di un processo che vede la doppia agentività
dell’individuo e della società in un interscambio.
Persona e società sono gli elementi del continuum pedagogico ai cui estremi educazione e
formazione trovano spazio. Educazione come “portar fuori” (e- dūcĕre) verità, attitudini, ma
anche come “portar dentro” norme, valori, cultura, conoscenze; educazione come adattamento
reciproco tra individuo e società, più che come arida infusione di modelli; educazione come
sapere, saper fare e saper essere.
E formazione come prender forma, “formar-si autonomo (da un lato) e prender forma, l’essere
formato (d’altro canto)” (ibidem). Non come entelecheia aristotelica, realtà che ha inscritta in
se stessa la meta finale verso cui tende e si evolve, ma come crescita, frutto di cura,
coltivazione, umanizzazione.