vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Il sistema naturalistico nella poetica cavalcantiana
Ed è proprio questo sistema naturalistico, di impianto aristotelico, che venne accolto nella poetica cavalcantiana. In questa atmosfera materialistica, egli elabora un originale edificio lirico basato sul lessico amoroso della passione. Tutto ciò è condensato in quello che si potrebbe definire il manifesto della sua "dottrina degli spiritelli" ovvero la canzone "Donna me prega". L'ira non poteva mancare, imponendosi con forza nel corpo testuale della quarta stanza:
50. La nova - qualità move sospiri, e vol ch'om miri - 'n non formato loco, destandos'ira la qual manda foco (imaginar nol pote om che nol prova), né mova - già però ch'a lui si tiri, 55. e non si giri, - per trovarvi gioco, né certamente gran saver né poco.
Amore non corrisposto, qualità accidentale e nova, produce con i suoi movimenti i sospiri, cioè il desiderio concupiscente verso l'oggetto piacente che non
Potrà essere raggiunto. Questa condizione di lontananza costringe l'amante a fissare gli occhi su qualcosa che gli è interdetto. L'anima insorge. L'appetito irascibile, al pari di una fiamma, irrompe contro gli ostacoli. Il suo impeto è tale che nessuno può conoscerlo se non attraverso la propria esperienza sensibile. Tuttavia, sebbene l'impeto passionale sia forte, non si troverà il modo per oltrepassare lo scoglio. Il desiderio, nutrito dall'immagine dell'amata, sconquassa la volontà dell'io lirico nelle sue azioni. Tutto ciò è reso attraverso una serie di gesti - mova, tiri, giri - che esprimono la lacerante disperazione dell'individuo. Per questi motivi, Cavalcanti riconosce l'ira come un fatto naturale ed irrinunciabile poiché è parte ineluttabile dell'anima angosciata per l'amore.
D'altro canto, non si può dimenticare che
L'ira era ed è annoverata nel canone dei peccati capitali. Il senso del peccato era un tema che permeava la proiezione simbolica della realtà. I serbatoi dell'immaginario medioevale erano ricolmi di mostruosi inventari di pene per coloro che commettevano un peccato così grave come l'ira. È doveroso menzionare l'esempio di Durante degli Alighieri che impone agli iracondi, come contrappasso, di straziarsi vicendevolmente nella fanghiglia dello Stige. La vischiosa vulgata teologica, trasversale a ogni categoria sociale, imponeva una condanna totale dell'ira, generando il terrore di fuggire il peccato. Non dobbiamo stupirci che anche Petrarca, era immerso in questo clima. La sua prospettiva lirica, nel Canzoniere, manifesta un complesso processo di elaborazione del concetto stesso di ira. Vi sono, infatti, numerosi componimenti che esprimono un potenziale interpretativo tale da interagire con il più raffinato orizzonte letterario.
Il corpo, l'anima ed il metafisico si incontrano nel comun denominatore dell'ira. Partendo dall'universale, per poi muoversi verso l'individuale, poniamo la prima accezione dell'ira, quella divina, posta nel decimosonetto dei Rerum vulgarium fragmenta. Petrarca attinge al pantheon della letteratura classica, invocando una suggestione ovidiana nel sintagma "l'ira di Giove". Essa si manifesta nelle fiamme celesti, la cui potenza è tale che, "quando 'l gran Giove tona", talvolta, si carica di un valore eversivo contrario alle stesse leggi naturali. "La gentil pianta" del lauro-Laura, privilegiata da Giove ed amata da Phebo, è la vittima prescelta dalla falce mortifera dell'ira superna. La stessa invettiva petrarchesca, nel sonetto 60, si spinge sino ad augurare la morte del lauro, prefigurandone la futura immagine di distruzione. Ciononostante, v'è qualcosa che disarma la mano di«Giove irato» : il saluto pietoso di madonna Laura. Allo stesso tempo v’è il Dio biblico la cui ira è sempre seguita dalla giustizia. Nei componimenti 137 e RVF 24,22 Cf. RVF 323, 33-35 RVF 64,94 Cf. RVF 147 RVF 111,5-8 «l’irato «l’albergo138, Petrarca attira ciel» contro d’ira» avignonese poiché auspica l’inter-7vento della potente mano divina contro «l’avara e falsa Babilonia» e, quindi, il ritorno della curia papale a Roma. La dimensione politica non si esaurisce qui, perché nella canzone 128, l’ira è posta all’origini degli scontri tra le genti italiche. Le piaghe mortali, nel bel corpo dell’Italia, nella visione petrarchesca, sono i frutti di una guerra fratricida, guidata da una cieca violenza iraconda. Dunque, l’ira è intesa come una violenza verso sé stessi,
sia come io collettivo ideale sia come io individuale. Le grandi anime del passato non fanno eccezione. L'ira vinse il modello di vincitore classico, Alessandro Magno ed altri, rendendoli "lippi" e ciechi. Petrarca, accogliendo la lezione oraziana, distingue un "breve furore" ed un "furor lungo". Il primo è identificabile con la passione istintiva aristotelica, mentre il secondo, privo di qualsiasi controllo, coincide con il peccato capitale. Inoltre, l'ira è, sulla scorta della tradizione, una perturbazione dell'anima e spesso chi la possiede prova vergogna verso sé stesso. L'io lirico, "d'ira et di dolor" trafitto, riempie gli occhi vergognosi di dolorose lacrime. La carne dell'amante, nutrito dalla passione, arde per la memoria dell'amata. L'esperienza oculare compie un atto conoscitivo primario nel rapporto amoroso. "Disdegno et ira" scendonoDagli occhi di Laura. L'epifania dell'Ira è la malattia degli occhi, la cecità. Ed è allora che l'ira necessita di una corporeità, assunta in proteiformi personificazioni dal variabile statuto ontologico. L'Ira si serve del geloso attraverso cui porre un freno al corpo dell'amato che può essere vicino in spirito, secondo il privilegio degli amanti. Ciò dimostra i limiti giurisdizionali dell'azione di questa passione. In virtù di ciò, Laura, beata nel regno d'Amore, non è trattenuta dal portar conforto al Petrarca in sogno. Un'ultima concezione lessicale dell'ira come angoscia, alla provenzale, è apprezzabile nel sonetto 330 nella clausola conclusiva e nella terza stanza della canzone 332. L'ira, in entrambi i casi, partecipe di un lutto di cui non si vuol prendere conoscenza. Donde ne deriva la profonda inquietudine che opprime l'animo.
In tutte le sue parti. L'ira senza dubbio è trai peccati più presenti nel Canzoniere, esibendo il suo ampio valore polisemantico. Dall'insieme di osservazioni, qui proposte, è possibile evidenziare un chiaro nesso aristo-telico tra Cavalcanti e Petrarca. I due poeti toscani, sebbene le differenti rielaborazioni, vivono l'ira in una dimensione di consapevolezza. Petrarca, nel suo Canzoniere presenta la poliedrica figura dell'ira mente Cavalcanti, in Donna me prega, è linearmente naturalistico.
RVF 202,67 RVF 138, 18 RVF 137, 19 RVF 232,710 RVF 232, 1111 RVF 232, 1212 Cf. RVF 201,713 Cf. RVF 22414 RVF 44,1415 Cf. RVF 2416 Cf. RVF 22217 Cf. RVF 34018 3 di 4