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Nel regime conservatore corporativo predominano schemi assicurativi pubblici collegati alla
posizione occupazionale e formule di compute collegate ai contributi. Lo Stato interviene solo nella
misura in cui i bisogni non trovino risposta a livello individuale, famigliare e di associazioni
intermedie. I destinatari principali sono i maschi adulti capofamiglia. È caratterizzato da una
demercificazione media e da una destratificazione bassa.
Nel regime socialdemocratico predominano schemi universalistici di sicurezza sociale con
prestazione anche generose. I destinatari sono tutti i cittadini ed è caratterizzato da una
demercificazione alta e da una destratificazione alta.
In riferimento al welfare state italiano si è parlato di doppia distorsione: la prima è data dalla spesa
pubblica che globalmente non risulta troppo dissimile dagli altri paesi europei, ma la sua
particolarità sta nella composizione interna: gran parte di questa è assorbita dal sistema
pensionistico. La seconda distorsione ha invece natura distributiva: all’interno delle varie distorsioni
di spesa vi è un netto divario fra le diverse categorie occupazionali. Sulla base di ciò si può dividere
la popolazione in tre gruppi: i garantiti (composto dai lavoratori dipendenti delle amministrazioni
pubbliche e delle grandi imprese; la loro protezione è molto elevata); i semi-garantiti (composto da
una variegata composizione di lavoratori dipendenti autonomi e atipici; la forma di protezione per la
vecchiaia è la pensione al minimo, mentre per gli altri rischi ci sono tutele assai limitate); e i non
garantiti (composto dai lavoratori che restano relegati all’economia sommersa; per quanto riguarda
la vecchiaia sono tutelati dagli assegni sociali, mentre per gli altri rischi non godono di alcuna
tutela).
Capitolo 2)
A. Illustrare le diverse possibili modalità di finanziamento, gestione delle risorse e calcolo delle
prestazioni pensionistiche e descrivere l’evoluzione dei sistemi pensionistici nella fase
espansiva, con particolare riferimento al caso italiano e ai provvedimenti che ne hanno segnato
l’evoluzione.
Le diverse possibili modalità di finanziamento sono due: il finanziamento fiscale, associato alla
pensione sociale e alla pensione di base, e il finanziamento contributivo associato alla pensione
previdenziale di anzianità (PPA) e alla pensione previdenziale di vecchiaia (PPV). In un sistema
fondato sul finanziamento fiscale, la gestione delle risorse proviene dall’amministrazione centrale
dello Stato; in un sistema fondato sul finanziamento contributivo ci sono invece due alternative: la
prima consiste nella creazione di risparmio a fini previdenziali, attraverso il versamento,
l’accumulazione e l’investimento di contributi sociali (sistema a capitalizzazione); la seconda
consiste nello scambiare una quota del proprio reddito da lavoro con il diritto ad una prestazione
pensionistica una volta terminata l’attività lavorativa (sistema a ripartizione). Per quanto riguarda la
pensione sociale e di base (PV, PB) il calcolo della pensione è indipendente dal precedente reddito
da lavoro: le pensioni sono a somma fissa; per le PPV e PPA si può distinguere invece tra metodo
contributivo e metodo retributivo. Il primo calcola l’importo della pensione in base ai contributi
versati durante la carriera lavorativa, mentre il secondo calcola l’importo in percentuale sulla media
delle retribuzioni di n anni di carriera dove n può corrispondere all’intera carriera o solo agli ultimi
anni; la formula è : P = rp * n * r
Durante la fase espansiva (1945-1975) nei sistemi bismarckiani si passa da una gestione delle
risorse a capitalizzazione ad una gestione a ripartizione; si istituisce la pensione sociale per i
cittadini anziani in stato di bisogno; si estende la copertura a categorie di lavoratori non ancora
assicurate; si abbassa l’età pensionabile; e il calcolo della pensione passa da contributivo a
retributivo. Nei sistemi beveridgeani invece vi è un rafforzamento della protezione di base con
l’abolizione della prova dei mezzi; e l’istituzione di prestazioni pensionistiche supplementari per i
lavoratori in base alla retribuzione, finanziate tramite metodo contributivo.
B. A partire dalla definizione di sistema pensionistico mono-pilastro, descrivere le sfide poste a tali
sistemi dalle trasformazioni intervenute a partire dagli anni ’70 del ‘900 e le strategie di riforma
dei sistemi pensionistici mono-pilastro; illustrare inoltre le riforme del settore pensionistico
attuate in Italia negli anni ’90 del XX secolo.
Il sistema mono-pilastro è composto da paesi beveridgeani e bismarckiani che hanno istituito scemi
supplementari con prestazioni collegate alle retribuzioni, su base prevalentemente pubblica, a
ripartizione e prima della metà degli anni ’70. Le sfide che sono nate riguardano cause
demografiche (bassa fertilità, allungamento della vita media…), economiche (debole crescita del
Pil), del mercato del lavoro (disoccupazione), politico-istituzionali (UE) e sociali (nuovi modelli
familiari. Occupazione femminile…). Inoltre cause endogene possono essere invece le scelte di
politica pubblica e la maturazione degli schemi a ripartizione. Le strategie di riforma si sono
articolate in due momenti: in un primo tempo si è mirato all’incremento delle entrate tramite
l’aumento delle aliquote contributive, mantenendo una politica pensionistica espansiva. In un
secondo tempo si è optato invece per una politica pensionistica restrittiva tramite il contenimento
dei costi (innalzamento dell’età pensionabile e diminuzione degli importi delle prestazioni) e
tramite l’estensione dei periodi contributivi minimi per accedere a PPV e PPA.
Negli anni ’90 abbiamo due principali riforme: la riforma Amato del 1992 e la riforma Dini del
1995. La riforma Amato innalza l’età pensionabile portandola a 60 per le donne e 65 per gli uomini,
vi è una graduale eliminazione delle baby pensioni, innalza da 15 a 20 anni il periodo contributivo
minimo per accedere a PPV, estende il periodo di riferimento per l’importo delle prestazioni: dagli
ultimi 5 anni (dipendenti pubblici) e dall’ultimo mese (dipendenti privati) agli ultimi 10 anni per
tutti i lavoratori con almeno 15 anni di contribuzione. Infine la riforma elimina l’incremento delle
pensioni all’aumentare delle retribuzioni dopo il pensionamento: le pensioni restano indicizzate al
solo tasso d’inflazione.
Con la riforma Dini invece il primo pilastro rimane a ripartizione, ma introduce il metodo
contributivo per i neo assunti dal 01.01.1996; i contributi vengono calcolati in base alla media del
PIL degli ultimi 5 anni; introduce l’età pensionabile flessibile (dai 57 ai 65 anni) per accedere a
PPV con almeno 5 anni di contributi, per accedere alla PPA occorrono invece almeno 52 anni
(crescenti, diventeranno infatti 57) e almeno 35 anni di contributi che diventeranno 40 nel 2008. La
pensione sociale viene trasformata in assegno sociale per le persone con almeno 65 anni di età che
non hanno versato contributi e che sono in stato di bisogno. Infine si distinguono 3 gruppi in base
all’anzianità contributiva:
. contribuzione maggiore di 18 anni: la presente riforma non si applica, si applica ancora il sistema
retributivo della riforma Amato.
. contribuzione minore di 18 anni: si applica un sistema contributivo pro rata, un sistema misto, in
parte contributivo, in parte retributivo.
. nuovi entrati nel mdl: si applica interamente il sistema contributivo della riforma Dini.
C. Descrivere le politiche pensionistiche adottate dai governi italiani dopo la crisi del 2007,
soffermandosi in particolare sui contenuti della riforma Fornero e descrivere la nuova
architettura di sistema pensionistico delineata dalle riforme succedutesi in Italia.
Dopo la crisi del 2007 i governi italiani attuano misure anticrisi, in particolare il pacchetto anticrisi
del 2009 (riforma Sacconi) e il pacchetto anticrisi del 2010 (riforma Tremonti). La prima prevede
l’innalzamento dell’età pensionabile per le dipendenti pubbliche a 65 anni nel 2018 e l’adeguamento
automatico in base alla variazione dell’aspettativa di vita per i requisiti di accesso a PPV, PPA, e
assegno sociale. La seconda riforma anticipa l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni al 2012
e rende operativo a partire dal 2015 l’adeguamento automatico in base all’aspettativa di vita.
La riforma Fornero del 2011 rappresenta invece il terzo pacchetto anticrisi, essa aumenta l’età
pensionabile per le donne nel settore privato a 66 anni e 7 mesi e fissa l’età pensionabile minima a
67 anni nel 2021. Anticipa al 2013 l’adeguamento automatico, introduce la possibilità di
pensionamento posticipato a 70 anni e accelera l’entrata in vigore del sistema contributivo. Inoltre
aumenta da 5 a 20 anni il periodo minimo di contribuzione pe le PPV e elimina le pensioni di
anzianità introducendo le pensioni anticipate: non serve il requisito dell’età anagrafica, occorrevano
42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne fino al 2012, mentre
successivamente 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Per i lavoratori
interamente soggetti al contributivo la pensione anticipata è possibile con 63 anni e 7 mesi con
almeno 20 anni di contributi, ma solo se l’importo della prestazione è almeno 2,8 volte l’assegno
sociale (non inferiore a 1202,35 €)
Testo Torrigiani, 2010, Valutare per apprendere
A. A partire dalla definizione di politica pubblica e dai suoi elementi costitutivi fondamentali,
riportare una a scelta tra le definizioni di valutazione di Palumbo (2001) e di Bezzi (2003) e
illustrare i tre approcci alla valutazione individuati da Nicoletta Stame.
L’analisi delle politiche pubbliche è lo studio di come, perché e con quali effetti i diversi sistemi
politici perseguono certi corsi di azione per risolvere problemi di rilevanza collettiva. Le sue
caratteristiche sono: la titolarità di un soggetto pubblico; è un insieme di azioni strutturate in vista di
una finalità o un obiettivo; ha lo scopo di dare soluzioni a problemi collettivi che rientrano
nell’agenda pubblica. L’agenda è formata restringendo un campo più ampio di problemi
potenzialmente oggetto di attenzione; le decisioni vengono prese in spazi pubblici, ma a volte anche
in spazi non pubblici; c’è una teoria causale che lega le azioni ai comportamenti dei destinatari e
questi ai risultati attesi; l’attuazione è guidata da regole che specificano chi deve fare cosa, come
quando e perché. Secondo Palumbo la valutazione è un’attività cognitiva volta
a fornire un giudizio su un’azione intenzionalmente svolta