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Estratto del documento

Da tempo l’osserva da dietro mentre

vv. 362-392. dice tali cose, volgendo lo sguardo di qua e di là,

e scorre tutto con gli occhi silenziosi, e così animata parla: «Tu non hai la madre dea, e Dardano non

è creatore della tua stirpe, infido, ma il Caucaso orrendo dalle dure rocce ti ha generato e le tigri in

Ircania ti hanno allattato. Perché infatti fingo o per quali eventi più grandi mi tengo viva? Forse

gemette col nostro pianto? Forse ha fatto lacrimare gli occhi? Forse da vinto ha concesso le lacrime

o ha avuto pietà di colei che ama? Da dove iniziare? Ormai, ormai né la grandissima Giunone né il

L’ho accolto rigettato sulla

padre saturnio osservano con occhi giusti. Per nulla sicura è la fiducia.

spiaggia, bisognoso, e stupida gli ho dato una posizione in parte del regno, gli ho reso la flotta perduta,

Ahi, sono spinta incendiata dalle furie! Ora l’augure Apollo, ora le sorti licie,

i compagni dalla morte.

ora pure l’interprete degli dèi inviato da Giove stesso riferiscono terribili ordini per l’aria. D’altronde

questo è un affare degli dèi superi, se quieti questa preoccupazione li turba. E io non ti trattengo né

respingo le tue parole: va’, raggiungi l’Italia coi venti, cerca i regni in mezzo alle onde; spero solo,

se i pii numi qualcosa possono, che tu possa scontar la pena in mezzo agli scogli e che invocherai

spesso il nome di Didone. Seguirò da lontano con le torce funebri e, quando la fredda morte avrà

separato gli arti dall’anima, come un’ombra sarò presente in tutti i luoghi. Pagherai la pena, vile; io

ascolterò e questa fama mi giungerà tra i mani degli abissi». Con queste parole interrompe il discorso

a metà, e malata fugge i soffi d’aria, dai suoi occhi si distoglie e strappa, lasciandolo esitare con molta

paura mentre si prepara a dire molte cose. La accolgono le fantasie e le membra collassate la riportano

al talamo di marmo e si ripongono sul giaciglio.

vv. 393-415. Ma il pio Enea, pur desiderando calmare lei che si duole consolandola e distogliere le

preoccupazioni dalle parole, pur molto gemendo e scosso in animo da un grande amore, tuttavia

esegue gli ordini degli dèi e ritorna alla flotta. Allora davvero i Teucri si lanciano e spingono le alte

navi su tutta la spiaggia. La carena bagnata galleggia e portano i remi frondosi e i tronchi non lavorati

dai boschi per la fretta di fuggire. Li vedresti che si spostano e da tutta la città si riversano, e come le

su un ingente mucchio di farro quando memori dell’inverno saccheggiano e al riparo si

formiche in mezzo all’erba il bottino su uno stretto

ripongono: la nera schiera va per i campi e trasportano

sentiero, in parte trascinano pensante grano facendo forza sulle spalle, in parte stringono le file e

rimproverano gli indugi, ogni sentiero ferve di lavoro. Che sentimento avevi allora mentre scorgevi

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Traduzione di Alberto Longhi, Matr. 861497

Didone, che gemiti emanavi osservando dall’alta rocca lungo le spiagge che fervevano e vedendo

ciò,

davanti ai tuoi occhi che la distesa del mare si mescolava a tante grida! Amore malvagio, a cosa non

spingi i petti mortali! S’induce ancora ad andare in lacrime, ancora a tentare pregando e supplice

sottomettere animi ad amore, ché destinata inutilmente a morire non lasci nulla intentato.

vedi che tutt’intorno alla spiaggia si affrettano; sono giunti da ogni dove; la vela

vv. 416-436. «Anna,

flutti d’aria, e i felici marinai hanno posto le corone sulle poppe. Se ho potuto io prevedere

già invoca i

questo sì tanto dolore, sorella, potrò pure sopportarlo. Anna, per me infelice compi soltanto questo

comunque; quel perfido infatti solo te onorava, a te confidava pure i segreti; tu sola conoscevi le

tenere vie e i momenti dell’uomo. Va’, sorella, e da supplice implora il nemico superbo. Io non ho

giurato in Aulide coi Danai che la gente di Troia fosse trucidata né ho mandato la flotta a Pergamo, e

non ho profanato la cenere e i mani del padre Anchise: perché si rifiuta di accogliere le mie parole

Dove corre? Che dia quest’ultimo dono all’infelice che ama:

nelle sue dure orecchie? che aspetti una

Ormai non prego per l’antica unione

fuga agevole e i venti favorevoli. che ha tradito, e che non

abbandoni il bel Lazio e non lasci il suo regno; chiedo tempo vuoto, tranquillità e spazio al furore,

Quest’ultima grazia prego (abbi pietà

fino a quando la mia sorte non insegna a me vinta a soffrire.

della sorella) che una volta datami restituirò colmata con la morte».

vv. 437-449. In tal modo pregava, e infelicissima tali pianti porta e riporta la sorella. Ma quello non

è commosso da alcun pianto o intrattabile non ascolta una minima voce: i destini si oppongono e il

le placide orecchie dell’uomo. E come quando una quercia robusta dal tronco di molti

dio ostruisce

anni i venti alpini combattono tra loro per sradicarla, ora qui la Bora, ora di lì i soffi; passa lo stridore

lei stessa s’attacca alle rocce e quanto in

e le alte fronde ricoprono la terra una volta scosso il fusto;

cima alle orecchie eteree, tanto alla base tende al Tartaro: non diversamente tra voci continue di qui

e di lì l’eroe vien battuto e in cuor suo sente le preoccupazioni; la mente rimane impassibile, le lacrime

si riversano inutili.

Allora atterrita dal destino l’assai sfortunata Didone invoca la morte:

vv. 450-473. tedia osservare la

volta del cielo. Perché più concluda quanto iniziato e lasci la vita, vede, ponendo doni sugli altari

fumanti d’incenso, che i liquidi sacri (orribile a dirsi) anneriscono e i vini versati si tramutano in

osceno sangue. Non rivelò a nessuno questa visione, nemmeno alla sorella stessa. Inoltre sotto i suoi

tetti ci fu un tempio di marmo per l’antico sposo, che con straordinario onore venerava, avvinto di

velli nevosi e fogliame da festa: di qui le sembrò che si udissero le voci e le parole del marito che la

l’oscura notte teneva le terre;

invocava, mentre soltanto un gufo dai comignoli spesso si lamentava

con canto funebre e portava lunghe parole in pianto; e ancora le molte predizioni degli antichi indovini

con il loro terribile monito la spaventano. Lo stesso Enea feroce smuove lei furente nei sogni; e le

pare sempre di essere rimasta sola, sempre di attraversare una lunga strada senza i compagni e di

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Traduzione di Alberto Longhi, Matr. 861497

cercare i Tirii in terra deserta: come Penteo delirante vede le schiere di Eumenidi e due soli e una

o l’Oreste figlio di Agamennone perseguitato sulle scene, quando fugge

duplice Tebe si mostrano,

dalla madre armata di fiaccole e neri serpenti, sulla soglia siedono le Dire vendicatrici.

vv. 474-503. Dunque appena raccolse le furie sfinita dal dolore e ritenne di dover morire, escogita tra

sé il tempo e il modo e, raggiunta la triste sorella, con le parole nasconde il proposito in volto e mostra

speranza sulla fronte: «Ho trovato, sorella, la via (rallegrati per la sorella) che me lo riporti o da lui

dell’Oceano, dove tramonta il Sole, c’è l’ultimo paese degli Etiopi,

liberi me innamorata. Ai confini

dove il sommo Atlante con la spalla ruota l’asse terreno attaccato alle stelle ardenti; di qui mi fu

indicata una sacerdotessa della popolazione dei Massili, custode del tempio delle Esperidi, che dava

cibarie al drago e conservava i sacri rami sull’albero, spargendo liquidi mieli e il papavero soporifero.

Questa promette di liberare coi suoi incantesimi i cuori che vuole, ma d’introdurre dure

preoccupazioni, arrestare l’acqua dei fiumi e capovolgere le stelle; smuove i mani notturni; vedrai la

terra muggire sotto ai piedi e gli orni scendere dai monti. Chiamo a testimonio, sorella cara, gli dèi e

te, e il tuo dolce capo, mi armo seppur nolente d’arti magiche. Tu di nascosto fa’ erigere una pira ai

soffi d’aria sul tetto intero e ponici sopra le armi che l’empio eroe ha lasciato appese nel talamo, tutte

le sue spoglie ed il letto coniugale su cui mi rovinai: giova abolire tutti quanti i ricordi del nefando

Così parlato fa silenzio; nel frattempo il pallore s’insinua per

eroe, e lo raccomanda la sacerdotessa».

il volto. Anna tuttavia non pensa che la sorella con gli strani riti prepari il suo funerale e nel pensiero

non immagina tanti deliri o non teme qualcosa di più grave della morte di Sicheo. Allora inizia a

preparare quanto ordinato.

vv. 504-521. Ma la regina, fatta erigere in un luogo segreto sotto ai soffi dei venti una pira enorme

per i pini ed il leccio segato, riveste il luogo con delle corone e lo incorona con del fogliame funebre;

posiziona sopra le spoglie e la spada lasciata e l’immagine sul divano, consapevole di ciò che sta per

succedere. Ci stanno degli altari intorno, e la sacerdotessa coi capelli sparsi intona trecento dèi,

l’Erebo, il Caos e la triplice Ecate, i tre volti della vergine Diana. Aveva pure sparso le finte acque

della fonte d’Averno (alla Luna si cercano anche delle erbe lanuginose mietute con falci bronzee con

del liquido nero velenoso; si cerca anche l’amore strappato dalla fronte di un puledro e sottratto alla

madre), lei stessa una focaccia; con le pie mani rivolte verso gli altari, tolti i calzari a un piede,

allentata alla veste, intenzionata a morire chiama a testimonio gli dèi e le stelle consapevoli del

si preoccupa dell’ineguale patto dell’amante, lo

destino; allora, se un qualche nume giusto e memore

si inizia a pregare.

vv. 522-553. Era notte e i corpi stanchi coglievano un placido sopore per le terre e riposavano i boschi

e le terribili distese d’acqua, quando le stelle si volgono cadendo in mezzo, quando ogni campo tace,

le pecore e i variopinti volatiti, sia che occupino i laghi estesamente liquidi sia gli aspri campi tra i

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Traduzione di Alberto Longhi, Matr. 861497

cespugli, posti dal sonno sotto la notte silente [dimentichi delle fatiche tranquillizzavano le

la fenicia infelice in animo per null’affatto si scioglie in sonno o negli

preoccupazioni e i cuori]. Ma

occhi o mai accoglie la notte nel petto: raddoppiano le preoccupazioni e di nuovo svegliandosi amore

infierisce e fluttua nel grande calore delle ire: «Ecco, che fare? Affronterò di nuovo i pretendenti che

prima ridevo e supplice cercherò unioni coi Nomadi, che ormai ho tante volte disdegnato per il

matrimonio? Seguirò dunque le navi iliache e i bassi comandi dei Teucri? Forse perché giova averli

sta bene tra i memori dell’antico fatto?

sollevati prima col soccorso e la grazia Ma chi me lo

permetterà, fa’ che lo voglia, o odiosa mi accoglierà sulle navi superbe? Ahi, non sai, scellerata, e

non senti ancora gli spergiuri della gente di Laomedonte? Cosa, al

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A.A. 2016-2017
13 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alberto.longhi55 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura latina avanzata e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Gioseffi Massimo.