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Nel nostro ordinamento vige il principio di correlazione, in base al quale l’imputato deve essere giudicato in
relazione al reato che gli è stato preventivamente contestato e non per un fatto diverso. Può capitare però che
nel corso dell’udienza nasca la necessità di un “aggiustamento” dell’accusa.
Nell’udienza preliminare la modifica dell’imputazione è disciplinata dall’art. 423 ed esso prevede 3 diverse
situazioni.
Si ha fatto diverso quando la contestazione deve essere modificata nel suo accadimento materiale, ma
non nei connotati storici essenziali: ad esempio, la contestazione di una maggiore quantità di droga
ceduta. Il PM di sua iniziativa modifica l’imputazione in udienza contestandola all’imputato o anche
in sua assenza, al difensore che lo rappresenta a tali fini.
In modo analogo si procede in caso di contestazione suppletiva. Può accadere che leggendo meglio gli
atti di indagine il PM si accorga che è stata omessa, nella descrizione dell’imputazione una
aggravante ovvero di un reato legato a quello per cui si procede da concorso formale o continuazione.
Si ha fatto nuovo quando nel corso dell’udienza l’imputazione, nei tratti essenziali dell’accadimento,
risulta essere totalmente diversa da quella contestata. Ad es. nell’interrogatorio l’imputato confessa
che l’omicidio preterintenzionale per cui si procede in realtà è un omicidio volontario. In tali casi il
PM dovrebbe, svolte ulteriori indagini, esercitare una nuova azione penale in un nuovo procedimento.
Ma se tutto ciò non necessita, il PM può contestare all’imputato in udienza il fatto nuovo alle seguenti
condizioni: che il reato sia procedibile d’ufficio e che il GUP autorizzi la contestazione valutando ad
esempio che essa non incida sulla speditezza del processo in corso.
LEZ.049
Le formule assolutorie
L’art.530 c.p.p. disciplina la sentenza di assoluzione, precisando che il giudice è tenuto a pronunciarla:
- Se il fatto non sussiste
- Se l’imputato non ha commesso il fatto
- Se il fatto non costituisce reato o non è previsto come tale dalla legge
- Se manca, è insufficiente o contraddittoria la prova circa la sussistenza del fatto o circa la
commissione del fatto da parte dell’imputato o soggetto imputabile
La norma in esame elenca le tassative formule di assoluzione:
Le formule “il fatto non sussiste” e “l'imputato non ha commesso il fatto” rappresentano
l'assoluzione più ampia, negando il presupposto storico dell'accusa.
“Il fatto non costituisce reato” si usa quando il fatto è avvenuto ed è stato altresì commesso
dall'imputato, MA è assente uno degli elementi tipici della o è ritenuta esistente una causa
di giustificazione.
Se l'imputato è non punibile o non imputabile, questo viene indicato nella sentenza di assoluzione, ma solo
dopo che vi è stato comunque un accertamento del reato e non vi sono dubbi che sia stato commesso dal
non imputabile o dal non punibile.
Si è già accennato come l'insufficienza di prove equivalga a tutti gli effetti alla mancanza assoluta di prove,
mentre, per quanto riguarda la contraddittorietà della prova, tale ipotesi si riferisce al caso in cui vi
siano sufficienti prove a carico dell'imputato, ma ve ne sono altre e contrapposte prove a discarico, che
non consentono di ottenere quella certezza processuale espressa con la formula “al di là di ogni
ragionevole dubbio”.
La medesima soluzione vale anche con riferimento alla dubbia presenza di una causa di giustificazione o
di una causa personale di non punibilità. Anche il tal caso il giudice è tenuto a propendere per la
sentenza di assoluzione.
Ci sono però dei casi in cui il giudice ha la facoltà di disporre adeguate misure di sicurezza, nonostante sia
stata pronunciata l’assoluzione dell'imputato:
- nel reato impossibile
- nell'accordo per commettere un delitto, ma questo non venga poi commesso,
- nell'istigazione a commettere un delitto, quando l'istigazione non viene accolta
Correzione degli errori materiali
Il procedimento di correzione degli errori materiali è disciplinato dall’art.130 c.p.p.
Si tratta di un procedimento a cui si ricorre nel caso in cui le sentenze, le ordinanze o i decreti siano
inficiati da errori o omissioni che non determinano nullità e la cui eliminazione non comporta una
modificazione essenziale dell’atto, è possibile disporre la correzione dell’errore, sia su istanza di
parte che per iniziativa d’ufficio del giudice che ha emesso il provvedimento.
Si tratta di un istituito che opera però solo in presenza dei seguenti presupposti:
oggetto della correzione possono essere solo sentenze, ordinanza e decreti;
all'errore materiale commesso o all'omissione non devono essere ricollegate cause di nullità. L'errore
in oggetto è rappresentato da una difformità tra il pensiero del giudice e la sua formulazione
materiale, mentre l'omissione deve concernere un comando che derivi dalla legge;
l'eliminazione dell'errore o dell'omissione non deve determinare una modificazione essenziale
dell'atto, e quindi sono da escludersi le correzioni incidenti sul dispositivo.
Nel caso in cui sia stata proposta impugnazione, la correzione è disposta dal giudice competente a conoscere
dell’imputazione.
Il giudice provvede in camera di consiglio a norma dell’art.127 c.p.p. e dell’ordinanza che ha disposto la
correzione è fatta annotazione sull’originale dell’atto.
L’ordinanza che dispone la correzione è ricorribile in cassazione.
Tale istituto è stato introdotto con la L.103/2017, con finalità di economia processuale, proprio per
evitare che la Corte di Cassazione sia investita di ricorsi per i quali concretamente non è necessario
l’esperimento di ulteriori gradi di giudizio.
LEZ.050
1. Il giudizio abbreviato
II giudizio abbreviato, disciplinato dagli artt.438 ss. c.p.p., è quel procedimento speciale che,
differendo da quello ordinario, consente al giudice, su richiesta dell'imputato, di pronunciare già al
momento dell'udienza preliminare la decisione di merito, di condanna o proscioglimento, che di
regola si pronuncia nella fase dibattimentale. Ai fini della decisione il giudice utilizza gli atti
contenuti nel fascicolo delle indagini svolte dal P.M.
Nel sistema attualmente vigente si può ricorrere al rito abbreviato esclusivamente su richiesta dell'imputato, il
quale può:
formulare una richiesta non condizionata, limitandosi a richiedere che il processo sia definito
nell'udienza preliminare sulla base degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini;
presentare una richiesta condizionata, subordinando lo svolgimento del rito abbreviato alla
assunzione di altre prove .
Mentre nel primo caso il giudice non può rigettare la richiesta dell’effettuazione del rito abbreviato, se
ritualmente proposta, nel secondo caso ha una certa discrezionalità nel valutare se le prove richieste siano
compatibili con lo svolgimento del rito abbreviato, che per sua natura deve essere più snello e breve del rito
ordinario.
All'esito del giudizio abbreviato il giudice, se ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, può disporre
anche d'ufficio quella integrazione probatoria che ritiene necessaria. Il processo si conclude nell'udienza con
una sentenza di condanna o di proscioglimento senza che sia necessario pervenire al dibattimento.
In caso di condanna la pena determinata dal giudice è ridotta di un terzo e all'ergastolo è sostituita la
reclusione di anni trenta (art. 442, co.2), se si procede per contravvenzione la pena è ridotta della metà. La
norma è stata modificata dalla L.103/2017.
Con riguardo alla richiesta di rito abbreviato, si tratta di un atto estremamente personale in quanto è esclusiva
prerogativa dell’imputato o del procuratore speciale. Il termine finale per la presentazione della domanda di
svolgimento del rito abbreviato è la formulazione delle conclusioni nell'udienza preliminare.
LEZ.052
I benefici conseguenti al giudizio con pena concordata
Il giudizio con pena concordata è un procedimento speciale disciplinato dall’art.444 c.p.p. che viene definito
anche patteggiamento.
Il patteggiamento può essere di 2 tipi:
Patteggiamento tradizionale: si configura come un rito semplificato nel quale i benefici assumono
un peso notevole, in relazione alla scelta dell'imputato di definire immediatamente la propria
situazione processuale: tra i vari benefici che spettano all'imputato per aver scelto di "patteggiare" la
propria pena, l'incentivo che più spicca è senza dubbio la riduzione fino ad un terzo sulla pena da
irrogarsi in concreto.
L'unico vero requisito di questo tipo di rito semplificato sta nel massimo di pena detentiva sulla quale
l'imputato e il pubblico ministero possono accordarsi al netto della riduzione fino a un terzo; il tetto
consiste in due anni di pena detentiva soli o congiunti con pena pecuniaria. Nessuna soglia massima è
prevista in caso di sola pena pecuniaria.
Non vi sono limiti oggettivi né soggettivi; di modo che il patteggiamento tradizionale si può
applicare, ai delinquenti abituali, professionali, per tendenza e recidivi reiterati di cui all'art.99 co.4
c.p.
I principali benefici che si applicano all'imputato che stipuli il patteggiamento tradizionale con il
pubblico ministero sono:
Riduzione della pena fino ad 1/3
o Possibilità di subordinazione dell’efficacia dell’accordo alla concessione della sospensione
o condizionale ad opera del giudice (se il giudice non concede tale benefici, lo stesso è tenuto a
rigettare la richiesta di patteggiamento)
Mancata applicazione della maggior parte delle pene accessorie e delle misure di sicurezza
o Mancato pagamento delle spese del processo da parte dell’imputato (anche se è comunque
o tenuto al pagamento delle spese di mantenimento in custodia cautelare e spese di giustizia)
Estinzione del reato se l’imputato non commette un delitto o una contravvenzione della
o stessa indole entro il termine di 5 anni (delitti) e 2 anni (contravvenzioni)
Patteggiamento allargato: l’art. 444 comma 1, consente all'imputato e al PM di accordarsi su di una
sanzione che, ridotta fino ad 1/3, NON superi 5 anni di pena detentiva (sola o congiunta a pena
pecuniaria).
Qualora la pena concordata superi 2 anni (soli o congiunti a pena pecuniaria) sono stabilite esclusioni
oggettive e soggettive.
La richiesta di patteggia