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ETICA NICOMACHEA:
L’Etica Nicomachea è un’opera in dieci libri scritta da Aristotele, il grande filosofo vissuto in Grecia
nel IV secolo a.C. Probabilmente venne intitolata così perché fu suo figlio Nicomaco a raccogliere e
divulgare le lezioni tenute dal padre.
Il problema centrale da cui l’analisi di Aristotele prende avvio nel primo capitolo del I libro dell’opera
è quello della ricerca e della realizzazione della felicità.
La vita etica ha a che fare con la vita pratica e la felicità è il fine ultimo della vita dell’uomo. È la virtù
a portare la felicità quindi essere virtuosi porta alla felicità. La virtù determina la felicità. E non il
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contrario. Il possesso della virtù fa la felicità dell’uomo. Quindi l’uomo è virtuoso quando esercita al
meglio la propria virtù specifica.
Quando l’uomo è felice? Secondo il mondo greco l’attività propria dell’uomo è essere razionale.
Quindi l’uomo è virtuoso quando l’uomo esercita la razionalità, quindi è felice nell’esercitare la
razionalità. Le virtù si dividono in due: etiche e dianoetiche.
Successivamente, Aristotele si interroga sull’amicizia e se sia una virtù.
L’amicizia è ciò che rende la vita degna di essere vissuta. È qualcosa di fondamentale sia per ricchi
in quanto possono condividere le loro ricchezze, sia per i poveri, i quali possono condividere le
difficoltà ma anche per rendere la vita meno difficile.
Identifica 3 tipi di amicizia:
1)L’amicizia fondata sull’utile (tipica delle persone anziane): È un’amicizia soggetta al tempo,
passeggera e temporanea ma comunque un’amicizia. Non sono persone ipocrite ma sono unite
dall’utile.
2) Fondata sul piacere (tipica dei giovani): È un’amicizia soggetta al tempo, passeggera e
temporanea ma comunque un’amicizia.
3) Amicizia fondata sul bene, è la più duratura e meno soggetta al cambiamento del tempo, è
fondata sul bene in quanto voglio il suo bene, e il bene mio con lui. È un’amicizia disinteressata che
va coltivata. (per questo amicizia tra uomo e donna per Aristotele sono amicizie fondate sul bene
ma fondate sul piacere e sulla sessualità. Non si riesce a volere un bene disinteressato). Così come
la distanza non è una buona strada per l’amicizia perché l’amicizia va esercitata.
➔ DA TRECCANI:
Opera di Aristotele. Suddivisa in dieci libri, raccoglie la trattazione più compiuta dell’etica aristotelica.
L’indagine deve chiarire quale sia il fine della vita dell’uomo e quali i mezzi mediante i quali ottenerlo.
Essendo tale fine il bene, bisogna stabilire in quale modo sia possibile conseguirlo; la scienza che consente di
raggiungere il bene e il giusto è la politica, la quale, rispetto alle altre scienze pratiche riguardanti la comunità
sociale, ha un ruolo architettonico, ossia ne determina i fini in vista di un bene più perfetto, quello della città.
Essendo i beni molteplici e legati ai diversi generi di vita, è necessario stabilire come raggiungere un equilibrio
tra fini particolari e bene, e come conseguire la felicità; quest’ultima consiste, per Aristotele, nell’attività
conforme alla virtù (lib. 1°).
Le virtù sono di due tipi: etiche, ossia relative alla prassi e concernenti la parte appetitiva dell’anima,
e dianoetiche, ossia relative all’intelletto, e nell’esercizio delle quali la natura dell’uomo si realizza
pienamente.
Il criterio che regola le virtù etiche è la medietà fra eccesso e difetto, mentre le condizioni cui deve sottostare
l’azione virtuosa sono: la sufficiente conoscenza della situazione concreta in cui si agisce; la scelta deliberata;
la scelta del fine condotta in base a una disposizione stabile nei confronti della virtù (lib. 2°). Un’azione può
essere valutata moralmente soltanto quando è frutto della scelta e della deliberazione riguardo ai mezzi per
conseguirne il fine (lib. 3°).
Le virtù etiche, in quanto non intellettuali, non sono insegnabili, ma devono essere apprese mediante la
pratica, l’abitudine e seguendo l’esempio di uomini saggi. La più importante è la giustizia, che si divide
in distributiva, e segue la proporzione geometrica, o correttiva, e segue la proporzione aritmetica. La
distributiva è impartita tenendo conto delle differenze e dei meriti; la correttiva interviene nel momento in
cui si presentano squilibri nei rapporti fra gli uomini.
L’equità è la virtù che interviene a correggere la legge laddove essa presenta carenze, in quanto universale,
nell’applicarsi a casi particolari (libb. 4°-5°).
Le virtù dianoetiche, poiché realizzano il fine dell’uomo come intelligenza, attengono al piano teoretico e
sono insegnabili.
L’anima razionale si suddivide in base all’oggetto che le è proprio in quanto scientifica, ossia rivolta alle cose
eterne e immutabili (necessarie); o in quanto opinativa, ossia rivolta a ciò che può essere o non essere (il
contingente). Alla parte scientifica dell’anima afferiscono le virtù dell’intelligenza (la capacità di cogliere i
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principi di tutte le scienze intuitivamente), della scienza (la capacità di dedurre la verità dai principi), della
sapienza (che risolve in un’unica conoscenza ciò che si deduce mediante intelletto e scienza). Alla parte
opinativa dell’anima attengono la ragionevolezza o saggezza, ossia il saper deliberare e ben dirigere la propria
vita, e l’arte, la capacità di produrre cose che non esistono in natura.
La virtù più alta, in cui consiste la felicità, è la sapienza, «scienza con fondamento delle realtà più sublimi»,
superiore per questo alla saggezza, la quale è comunque condizione necessaria di tutte le virtù (lib. 6°). Dopo
l’analisi della continenza e dell’incontinenza (lib. 7°), con la condanna del piacere in quanto tale, Aristotele
passa (lib. 8°) a trattare dell’amicizia , che «è una virtù o s’accompagna alla virtù» ed è «necessarissima per
la vita»; essa deve rispondere a tre requisiti: la mutua benevolenza, la volontà del bene, la manifestazione
esteriore dei sentimenti. Amicizia perfetta è quella dei buoni, che si assomigliano per la virtù. L’uomo virtuoso
(lib. 9°) intrattiene anche con sé stesso un rapporto di amicizia, ossia di «amore di sé», una forma di egoismo
non deteriore che gli deriva dall’essere consapevole della propria virtù e dall’amarla. «L’amicizia è
comunanza» e con gli amici virtuosi si attua un completamento reciproco della virtù. A questo punto (lib. 10°)
Aristotele può parlare della felicità considerandola come raggiungimento del fine proprio dell’anima
razionale, il conoscere, al quale si accompagna un piacere che consiste nell’esercizio non ostacolato della
facoltà. Essa è un’attività di contemplazione individuale e distaccata fine a sé stessa che rende quasi simili
agli dei: «se […] in confronto alla natura dell’uomo l’intelletto è qualcosa di divino, anche la vita conforme a
esso sarà divina in confronto a quella umana». Vi è, però, «al secondo posto», una felicità inerente alla vita
attiva; essa è conforme all’esercizio delle virtù etiche e trova la sua espressione più completa nella politica.
8. AGOSTINO + MANICHEISMO
Aurelio Agostino visse tre il 354-430 a.C.
È il grande filosofo della Chiesa. L’obiettivo dei suoi studi è stato quello di combattere le eresie e i
nemici della Chiesa, la prima lotta fu contro il donatismo, che deriva dal nome del Vescovo Donato,
secondo cui tutti i sacerdoti o vescovi, che durante il periodo delle persecuzioni romane non erano
rimasti fedeli alla dottrina cristiana, doveva essere tolto il sacramento del sacerdozio.
Agostino critica questo modo di vedere in quanto i sacramenti non derivano dalla Chiesa ma
direttamente da Dio.
Per Agostino la fede ha un valore conoscitivo e anticipa e fonda la comprensione, ma al tempo stesso
l’intelligenza sostiene la fede nel processo di comprensione progressiva. La fede è quindi
fondamento e condizione della ricerca razionale e la speculazione filosofica chiarisce i contenuti
della fede, predisponendo l’uomo ad accoglierla.
Credere è indispensabile per raggiungere la verità perché la fede è simile a una luce che ci indica la
via da seguire, ma per possedere una fede è indispensabile comprendere ed esercitare l’intelletto,
cioè filosofare.
Secondo Agostino, non è possibile dubitare e ingannarsi su tutto: chi dubita è certo di dubitare.
Solo chi vive può sbagliare, sognare e illudersi, dunque dal momento che ci inganniamo possiamo
essere sicuri di esistere.
Tuttavia, gli esseri umani, pur ricercando la verità non sono in grado di produrla: spesso si sbagliano
e dubitano inoltre, la loro anima è in continuo mutamento e perciò è incapace di generare felicità.
Per spiegare come l’intelletto umano riceva i criteri di verità da Dio, Agostino ricorre alla metafora
dell’illuminazione. Dio è la luce che illumina le cose intelligibili affinché l’anima le possa
comprendere e conoscere esattamente con il sole illumina tutte le cose finisce affinché l’occhio
possa contemplarle.
Dio è la sorgente di tutti i criteri di verità che vengono trasmessi quando illumina la nostra mente,
permettendole di apprendere.
L’illuminazione agostiniana riconosce in Dio l’unica sorgente suprema da cui sgorgano i criteri
mediante i quali gli esseri umani acquisiscono la sapienza. 9
Agostino concepisce Dio anche per riferirsi alle caratteristiche della Trinità:
Dio è padre buono, ma allo stesso tempo esistono unità e uguaglianze del Figlio come il Padre, e la
forza della sostanza è nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. In sostanza: Dio è Padre, Dio è Figlio,
Dio è Spirito Santo.
L’uomo sa di esistere e ama l’Essere e la Sapienza, cerca Dio e trova in sé stesso la possibilità di
amarlo.
Dio è Essere che crea tutto, e la creazione avviene attraverso la parola. Prima della creazione non
esisteva il tempo.
Partendo da un’analisi oggettiva del tempo ci si accorge che il tempo ha una dimensione soggettiva,