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A questa si affianca l’ipotesi del c.d. “vizio parziale” di mente così come disciplinato
Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto era, per infermità, in
dall’art. 89 c.p.”
tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità
d’intendere e di volere, risponde del reato commesso ma la pena è diminuita. ”
In sede di accertamento giudiziario occorre quindi verificare la presenza di una
malattia mentale ed appurare in quale misura la stessa abbia compromesso la
capacità di intendere e volere. Siffatta valutazione ha presentato e presenta ancora
oggi aspetti particolarmente complessi legati fondamentalmente al concetto di
malattia (infermità) mentale.
PRIMA TEORIA: La prima teoria, più antica e più consolidata, utilizza un paradigma
strettamente “medico” ( l’infermità ricorre solo in presenza di una patologia con un
substrato organico o biologico ). ove le infermità mentali vengono considerate tali solo
in presenza di una malattia del cervello e del sistema nervoso. Si ha quindi identità tra
infermità di mente e ogni altra manifestazione patologica sostanziale, l’elaborazione di
specifici modelli di infermità con corrispondente sintomatologia, la qualificazione del
disturbo psichico come malattia certa e documentabile. L’infermità ricorre solo se il
disturbo che lamenta il prevenuto ha carattere organico e risulta tale da essere
inquadrato in una delle classificazioni operate dalla scienza psichiatrica.
SECONDA TEORIA: diversa concezione di infermità, legata alla scoperta dell’inconscio
e dei tre livelli della personalità ( Es, Io e Super-io). Nello specifico, si utilizza in luogo
del paradigma strettamente “medico” degli anni precedenti, un paradigma
“psicologico”. I disturbi mentali rappresentano disarmonie dell’apparato psichico tali
da condurre ad una prevalenza della realtà inconscia su quella reale. Ciò che
l’individuo si rappresenta nella sua mente è talmente forte che finisce per assumere
carattere predominante nei confronti della realtà effettiva.
TERZA TEORIA: utilizza essenzialmente un paradigma “sociologico” ( il disturbo
psichico ha origine sociale ed è dovuto a relazioni personali inadeguate nell’ambiente
di vita o di lavoro). Tale indirizzo si pone essenzialmente in contrasto con i due
precedenti poiché nega la natura fisiologica dell’infermità e pone in discussione i
principi sui quali si muoveva la psichiatria classica elaborando un concetto di infermità
inteso come “malattia sociale”.
Il quadro evolutivo così illustrato si completa con la presenza di una scienza
psichiatrica attuale nella quale è possibile individuare una “visione integrata” ove si
attribuisce rilevanza a tutte le variabili singolarmente considerate dalle teorie
precedenti ( biologiche, psicologiche, sociali ).
19. Art.116 “Qualora il reato
L’articolo 116 del codice penale testualmente dispone che:
commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne
risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione.
Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi
volle il reato meno grave”.
La norma in scrutinio configura il c.d. concorso anomalo. Viene a descriversi
abberratio delicti
una forma particolare di di cui all’art. 83 cod. pen. – evento diverso
de qua
da quello voluto dall’agente – . Invero, nella fattispecie non si manifesta
un errore in merito ai mezzi di esecuzione del delitto, poiché nel reato in esame
la fattispecie delittuosa deve essere voluta da uno dei concorrenti.
L’articolo in commento disciplina un caso di responsabilità oggettiva, poiché
viene a mancare la volontà (ossia il dolo) di concorrere alla fattispecie delittuosa
diversa da quella realizzata dal correo.
Dalla lettura del dettato normativo dell’articolo de quo emerge, con forza, la
natura di un istituto legato, strettamente, alla concezione causale del
concorso di persone nel reato di cui all’art. 110 c.p. L’art. 116 c.p. dispone per il
solo caso in cui, a fronte di un patto per compiere un delitto, su impulso di un altro
concorrente, venga posto in essere un delitto diverso da quello pattuito e non anche
l’ipotesi in cui, oltre a quello stabilito in origine, ne vengano compiuti ulteriori, essendo
quest’ultima ipotesi disciplinata dal concorso di persone nel reato (art. 110 c.p.). In
merito alla diversa disciplina tra il cd. concorso anomalo (art. 116 c.p.) e il concorso di
persone nel reato (art. 110 c.p.) una spiegazione esaustiva viene fornita dalla
“ Sussiste la responsabilità per concorso
seguente sentenza della Corte di Cassazione:
anomalo in ordine al reato più grave e diverso da quello voluto (art. 116 c.p.) qualora
vi siano la coscienza e la volontà di concorrere con altri alla realizzazione di un reato,
un evento diverso, voluto e cagionato da altro compartecipe, e l’esistenza di un nesso
causale e psicologico, tra la condotta del compartecipe che ha voluto solo il reato
concordato e l’evento diverso, nel senso che quest’ultimo deve essere prevedibile, in
quanto logico sviluppo di quello concordato, senza che, peraltro, l’agente abbia
effettivamente previsto o accettato il rischio, in quanto in tal caso sussisterebbe il
concorso di cui all’art. 110 c.p. ”
Il presupposto della particolare ipotesi di concorso nel reato di cui all’art.
116 c.p., cd. concorso anomalo, deve ravvisarsi nella circostanza che, mentre
colui il quale compia in solitaria il delitto è in grado, in qualunque momento, di
gestire l’evolversi del proprio comportamento e di gestire lo stesso verso il
compimento dell’evento progettato e voluto, colui il quale si aggrega ad altri
per la commissione di un reato comune non può far altro che affidarsi agli
altri partecipanti all’azione criminogena, facendo leva sulla volontà e sui
comportamenti di quest’ultimi.
Affinché possa venirsi a determinare il cd. “concorso anomalo” sono
imprescindibili tre elementi: I – l’aderenza del soggetto agente ad un delitto in
concorso voluto; II – la commissione, ad opera di un altro correo, di un delitto diverso
o più grave; III – l’esistenza di un nesso di causalità, nonché psicologico, tra la
condotta del correo alla fattispecie inizialmente voluta e quella diversa o più grave poi
compiuta da un altro concorrente nel reato.
“ La responsabilità per concorso anomalo è ravvisabile solo quando l’evento diverso è
più grave di quello voluto dal compartecipe costituisca uno sviluppo logicamente
prevedibile quale possibile conseguenza della condotta concordata da parte di un
soggetto di normale intelligenza e cultura media, secondo regole di ordinaria coerenza
dello svolgersi dei fatti umani, non interrotta da fattori accidentali e
imprevedibili. Sono quindi necessarie due condizioni negative: che l’evento
diverso non sia stato voluto neanche sotto il profilo del dolo alternativo od
eventuale, perché altrimenti sussisterebbe la responsabilità di cui all’art. 110 c.p., e
che l’evento più grave concretamente realizzato non sia conseguenza di fatti
eccezionali, sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili
eziologicamente alla condotta criminosa di base, non prevedibili da parte
dell’agente”.
20. Decreto legge non convertito - che problemi da al diritto penale
Favor rei non si applica in caso di decreto-legge non convertito
21. Dolo
22. Errore motivo
23. Errore sul fatto
25. Consenso dell’avente diritto - conseguenze penalistiche del consenso
presunto
Tale consenso presunto opera quando un reale consenso non c'è, ma dalle
circostanze obiettive del fatto, sarebbe ragionevole presumere che, se avesse potuto,
il titolare del diritto avrebbe prestato tale consenso. Tipico è il caso della
“negotiorum gestio”, che si verifica allorquando l’agente compie un fatto nell’interesse
(presunto) del titolare che non può prestare il consenso (si pensi al caso del vicino di
casa che si introduca nell’abitazione altrui per controllare lo stato dell’immobile,
avendo percepito una fuoriuscita di gas).
Tuttavia, tale nozione di consenso presunto presta il fianco a notevoli critiche e
perplessità, e infatti è particolarmente difficile poter ricostruire in modo certo le
intenzioni e i pensieri del titolare del diritto, il quale potrebbe determinarsi ad una
scelta anche “poco ragionevole” sul piano oggettivo, ma del tutto insindacabile. Se si
accetta che il consenso presunto renda sempre e comunque lecito il fatto, se l’azione è
compiuta nell’oggettivo interesse del titolare, è possibile che si generino delle indebite
ingerenze nella sfera giuridica altrui.
Proprio per questo motivo, la dottrina ha elaborato alcuni criteri, in presenza dei quali
è possibile ritenere che il consenso “presunto” sarebbe stato fornito con un grado di
certezza particolarmente elevato.
Si tratta innanzitutto di valutare se ci si trovi al cospetto di un diritto disponibile e se il
titolare del diritto avrebbe avuto la capacità di prestare il consenso; occorre poi
stabilire se sussista un dissenso o comunque delle indicazioni contrarie fornite in
precedenza dal titolare; infine, deve essere fatto un oggettivo bilanciamento tra i beni
del titolare: quello “prevalente”, per il quale si agisce pur in assenza di consenso, e
quello “minore” che viene leso, che consiste in genere nella libertà di
autodeterminazione del singolo.
La causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto riveste un ruolo pratico
particolarmente importante nello svolgimento di tutta una serie di attività diffusissime
nella quotidianità, che necessitano, per essere svolte, di un consenso dell’avente
diritto.
26. Beni disponibili
28. Colpa generica e colpa specifica (reato colposo o contro l’intenzione)
29. Limiti al dovere oggettivo di diligenza
In questa lezione, ci chiediamo se esistono e quali sono gli eventuali limiti al
dovere di diligenza che caratterizza l’azione colposa. Abbiamo detto che la
struttura dell’azione colposa si caratterizza per il mancato adeguamento allo standard
minimo di diligenza che ci può attendere da un agente modello.
Il problema dei limiti del dovere di diligenza deriva da questa
considerazione.
Esistono molte attività, socialmente utili e autorizzate, che sono, intrinsecamente
pericolose