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La geografia del rischio si è sviluppata progressivamente come campo di studio che analizza i

rapporti tra l’uomo, l’ambiente e i fenomeni potenzialmente distruttivi. Negli anni Cinquanta e

Sessanta, negli Stati Uniti, si afferma una prima impostazione legata alla hazard geography, che

interpreta i rischi come eventi naturali da misurare in termini di probabilità e intensità, con un forte

accento sull’analisi statistica e sulla cartografia dei pericoli. Questo approccio quantitativo è tipico

della scuola americana, che tende a considerare il rischio come oggettivo e valutabile con strumenti

scientifici. La scuola francese, invece, sviluppa un approccio più qualitativo e complesso,

sottolineando il ruolo dei fattori sociali e territoriali. Qui il rischio non è soltanto un fenomeno

naturale, ma una costruzione sociale che nasce dall’interazione tra eventi naturali e vulnerabilità

delle comunità. In Francia si afferma l’idea che non esista un rischio “in sé”, ma che ogni disastro

sia il risultato di un sistema sociale esposto e poco preparato. L’evoluzione della disciplina,

soprattutto dagli anni Ottanta in poi, ha portato a una maggiore integrazione tra queste prospettive,

valorizzando l’analisi delle percezioni sociali, delle politiche di prevenzione e della resilienza

territoriale.

06. Spiega la relazione tra rischio, vulnerabilità e resilienza nel contesto della geografia del

rischio. In che modo queste categorie contribuiscono alla gestione dei disastri?

Nel contesto della geografia del rischio, il rischio è definito come la combinazione tra la

pericolosità di un evento e la vulnerabilità del sistema esposto. La vulnerabilità rappresenta il grado

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di fragilità di una comunità o di un territorio, determinato da fattori sociali, economici, tecnologici e

istituzionali. Un evento naturale, come un terremoto o un’inondazione, diventa un disastro quando

incontra una popolazione vulnerabile, priva di strumenti adeguati di prevenzione e risposta. Accanto

a questo concetto si sviluppa quello di resilienza, intesa come la capacità di un sistema di resistere,

adattarsi e riprendersi dopo uno shock. Rischio, vulnerabilità e resilienza sono dunque categorie

interconnesse: la gestione dei disastri non si limita alla riduzione della probabilità di un evento, ma

deve rafforzare la resilienza delle comunità e diminuire le loro vulnerabilità. In questo modo, le

politiche di prevenzione si spostano dalla semplice difesa strutturale contro i pericoli naturali a un

approccio più ampio, che include educazione, pianificazione territoriale, inclusione sociale e

costruzione di reti di supporto comunitario.

06. Perché l’espressione “disastro naturale” è considerata impropria nella geografia

contemporanea? Spiega come il concetto di disastro si sviluppa dall’interazione tra fattori

naturali e umani, facendo riferimento al ruolo della vulnerabilità e agli approcci di riduzione

del rischio.

L’espressione “disastro naturale” è oggi considerata impropria perché suggerisce che la catastrofe

derivi unicamente da cause ambientali, mentre la geografia contemporanea mostra come il disastro

sia sempre il risultato dell’interazione tra un evento naturale e una società vulnerabile. Un terremoto

in un’area disabitata non provoca disastri, mentre lo stesso evento in una città densamente popolata

e con edifici non sicuri può avere conseguenze devastanti. La vulnerabilità, intesa come debolezza

economica, sociale, infrastrutturale o istituzionale, gioca quindi un ruolo decisivo. Per questa

ragione, la riduzione del rischio non si limita a prevedere o monitorare i fenomeni naturali, ma

comprende azioni di rafforzamento della resilienza sociale e di riduzione delle fragilità. Esempi

concreti sono le politiche di pianificazione urbanistica che evitano la costruzione in aree a rischio, i

sistemi di allerta precoce o i programmi di educazione ambientale che aiutano le comunità a

prepararsi agli eventi estremi. Parlare di disastro naturale oscura queste dimensioni sociali e

politiche, mentre il concetto di disastro come costruzione sociale permette di affrontare in modo più

efficace la gestione dei rischi.

06. In che modo l’evoluzione del concetto di ambiente ha influenzato la formulazione delle

politiche ambientali dagli anni ’60 ad oggi? Fornisci esempi concreti di strumenti e soggetti

coinvolti.

Negli anni Sessanta il concetto di ambiente si diffonde come nuova consapevolezza della finitezza

delle risorse naturali e dei limiti ecologici della crescita economica. A partire da allora le politiche

ambientali si sviluppano seguendo una progressiva evoluzione del concetto stesso di ambiente:

inizialmente visto come patrimonio da proteggere dall’inquinamento e dal degrado, poi come

sistema complesso in cui interagiscono natura e società, fino ad arrivare oggi a un’idea integrata di

ambiente come risorsa globale che richiede cooperazione internazionale. Questo cambiamento ha

favorito la nascita di strumenti normativi come la legislazione sull’inquinamento atmosferico e

idrico, di istituzioni come i ministeri dell’ambiente e di conferenze internazionali fondamentali, tra

cui quella di Stoccolma del 1972 e i vertici ONU sul clima. Con il tempo, si sono affermati anche

strumenti economici come le tasse ecologiche e i sistemi di scambio delle emissioni, e soggetti

nuovi come le ONG e i movimenti ambientalisti hanno acquisito un ruolo centrale nel promuovere

politiche più attente alla sostenibilità.

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06. Descrivi il ciclo di vita delle politiche ambientali e spiega in che modo strumenti come la

VIA e la VAS contribuiscono alla loro efficacia. Quali sono i principali limiti di questi

strumenti?

Le politiche ambientali seguono un ciclo di vita articolato in diverse fasi: la definizione dell’agenda,

in cui un problema viene riconosciuto come rilevante; la formulazione delle politiche, con la scelta

degli strumenti più adeguati; l’attuazione concreta delle misure; e infine la valutazione dei risultati.

In questo processo, strumenti come la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e la Valutazione

Ambientale Strategica (VAS) hanno un ruolo centrale. La VIA si concentra sui progetti specifici,

analizzandone gli effetti sull’ambiente prima della loro realizzazione, mentre la VAS riguarda piani

e programmi, fornendo una visione più ampia e preventiva. Questi strumenti rafforzano la

trasparenza, coinvolgono i cittadini e riducono il rischio di danni ambientali irreversibili. Tuttavia, i

loro limiti principali derivano dalla complessità burocratica, dalla variabilità degli standard tra i

paesi e dalla possibilità che vengano usati in modo formale piuttosto che sostanziale, diventando un

adempimento tecnico più che un vero strumento di prevenzione.

06. Qual è il ruolo della diplomazia internazionale, e in particolare dell’eco-diplomazia, nella

definizione delle politiche ambientali globali? Fornisci esempi di istituzioni coinvolte e trattati

rilevanti.

La diplomazia internazionale, e in particolare l’eco-diplomazia, svolge un ruolo fondamentale nella

definizione delle politiche ambientali globali, poiché molte delle sfide ambientali – dal

cambiamento climatico alla perdita di biodiversità – non conoscono confini nazionali e richiedono

cooperazione multilaterale. L’eco-diplomazia consiste proprio nella negoziazione di accordi e

trattati per coordinare gli sforzi dei diversi Stati. Un esempio significativo è la Conferenza di Rio

del 1992, che ha portato alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, da

cui sono poi scaturiti il Protocollo di Kyoto del 1997 e l’Accordo di Parigi del 2015. Istituzioni

come l’ONU, l’Unione Europea e l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) hanno un

ruolo chiave nella produzione di conoscenze scientifiche, nella mediazione politica e nella

definizione di obiettivi comuni. Tuttavia, la diplomazia ambientale incontra spesso ostacoli legati

agli interessi divergenti tra Nord e Sud del mondo e alla difficoltà di rendere vincolanti gli impegni

assunti.

06. In che modo l’ambientalismo si è evoluto nel tempo e quali sono le principali differenze tra

approccio utilitaristico ed ecologia profonda?

L’ambientalismo si è evoluto nel tempo passando da movimenti inizialmente legati alla protezione

della natura in senso conservazionista, come nei parchi nazionali americani di inizio Novecento, a

forme più complesse che uniscono istanze sociali, economiche e culturali. Negli anni Sessanta e

Settanta, con la crisi ecologica e i primi grandi disastri ambientali, l’ambientalismo assume una

dimensione politica globale, culminata nelle conferenze internazionali e nella nascita delle ONG

ambientaliste. All’interno di questo movimento emergono approcci differenti. L’approccio

utilitaristico considera la natura come risorsa da gestire in modo razionale per garantire la

sopravvivenza e il benessere dell’uomo: si tratta di una prospettiva antropocentrica, che promuove

lo sviluppo sostenibile come equilibrio tra crescita e tutela. L’ecologia profonda, invece, propone

una visione biocentrica, attribuendo alla natura un valore intrinseco indipendente dall’utilità per

l’uomo e invitando a una trasformazione radicale dei modelli di vita e di consumo. La differenza tra

i due approcci risiede dunque nel rapporto tra uomo e natura: strumentale e gestionale nel primo

caso, etico e filosofico nel secondo.

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06. Quali sono le principali differenze tra strumenti regolativi, economici e volontari nelle

politiche ambientali? Spiega vantaggi e limiti di ciascuno.

Le politiche ambientali si avvalgono di strumenti diversi, che riflettono approcci differenti alla

regolazione dei comportamenti. Gli strumenti regolativi si basano su norme giuridiche che

stabiliscono obblighi e divieti, come i limiti di emissione o i vincoli urbanistici: sono efficaci nel

garantire risultati chiari e immediati, ma possono essere percepiti come rigidi e poco flessibili. Gli

strumenti economici, invece, utilizzano incentivi o disincentivi finanziari per orientare i

comportamenti, come le tasse ambientali o i sistemi di scambio delle quote di emissione: hanno il

vantaggio di stimolare l’innovazione e lasciare libertà di scelta agli attori economici, ma rischiano

di produrre effetti regressivi se non accompagnati da politiche redistributive. Infine, gli strumenti

volontari si basano sull’adesione spontanea da parte di imprese e cittadini a codici di condotta o

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Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-GGR/01 Geografia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ila944 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Geografia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica "e-Campus" di Novedrate (CO) o del prof De Luca Eleonora.
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