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singoli casi. Talora essa fissa in anticipo alcuni criteri sui quali si baserà nell’esercizio del potere;
molto più spesso le modalità di azione sono individuate in via generale e astratta mediante norme
giuridiche. Nei limiti in cui residuino gli spazi di scelta si avrà azione discrezionale. La
discrezionalità amministrativa dunque è lo spazio di scelta che residua allorchè la normativa di
azione non predetermini in modo completo tutti i comportamenti dell’amministrazione. L’essenza
della discrezionalità la rinveniamo in un’attività interpretativa che passa attraverso due tipologie di
interessi pubblici, primario e secondario, garantendo una gestione equilibrata dei diversi interessi.
L’amministrazione deve ponderare le esigenze di pubblico interesse, limitando gli effetti del
sacrificio del privato. In definitiva la discrezionalità amministrativa consta nell’attuazione della
previsione normativa, definita in via astratta, alla peculiarità della situazione concreta e ciò passa
attraverso la ponderazione del pubblico interesse. Questo tipo di discrezionalità, detta anche pura,
va distinta dalla cosiddetta discrezionalità tecnica che è la possibilità di scelta che spetta
all’amministrazione allorchè sia chiamata a qualificare fatti suscettibili di varia valutazione, e si
riduce ad un’attività di giudizio a contenuto scientifico. Molto spesso tra i presupposti fissati dalla
legge per l’esercizio del potere amministrativo vi sono fatti che non possono essere giudicati
semplicemente come esistenti o inesistenti e che dunque non sono suscettibili di un mero
accertamento che non lasci spazio a valutazioni. La scelta discrezionale cosiddetta pura può attenere
a vari profili dell’azione amministrativa, quale il contenuto del provvedimento, la stessa decisione
relativa al se e al quando rilasciarlo oppure a più profili congiunti e deve essere effettuata alla
stregua dell’interesse pubblico che informa l’azione amministrativa recando il minor pregiudizio
agli altri interessi coinvolti. La discrezionalità pura attiene al farsi dell’atto amministrativo, cioè alla
funzione.
Vizi di legittimità del provvedimento amministrativo
I vizi di legittimità degli atti amministrativi sono:
• Incompetenza
• Violazione di legge
• Eccesso di potere
Incompetenza: è il vizio che consegue alla violazione della norma di azione (leggi, regolamenti e
statuti) che definisce la competenza dell’organo e cioè il quantum di funzioni spettanti all’organo
(incompetenza relativa). Non dà luogo al vizio di incompetenza la violazione di una norma di
relazione attinente all’elemento soggettivo: in tal caso l’atto sarà addirittura nullo per carenza di
potere (incompetenza assoluta). Inoltre non è corretto affermare che la violazione di tutte le norme
che riguardano il soggetto che esercita il potere diano luogo a incompetenza: questo vale solo se tali
norme definiscono la competenza, non già nelle ipotesi in cui disciplinino aspetti differenti quale ad
esempio la costituzione dell’organo. L’incompetenza può aversi per materia, per valore, per grado o
per territorio. Quest’ultima ricorre solo se un organo esercita una competenza di un altro organo
dello stesso ente che disponga però di diversa competenza territoriale, mentre ove si eserciti la
competenza spettante a organo di altro ente territoriale la conseguenza sarà la nullità dell’atto.