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La III Sezione della III Convenzione di Ginevra del 1949 è intitolata ‘Lavoro dei prigionieri
di guerra’ e contiene disposizioni (articoli 49-57) importanti per la tutela dei prigionieri che
vogliano compiere un’attività lavorativa, soprattutto per evitare situazioni di sfruttamento e per
permettere loro una paga, seppur minima, a fronte di un numero non eccessivo di ore lavorative.
Infatti, lo scopo delle norme riportate di seguito è quello di proibire occupazioni pericolose o
umilianti per i prigionieri e di assicurare loro condizioni di lavoro adeguate . È anche vero che la
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ratio che fa da sfondo alle disposizioni che seguono, come quella relativa alle attività fisiche,
culturali e religiose, è quella di alleviare la monotonia e la ripetitività della prigionia.
L’articolo 49 permette allo Stato detentore di utilizzare come lavoratori i propri prigionieri di
guerra, che siano abili e validi ad essere impiegati in attività lavorative: tuttavia, dovrà tener conto
dell’età, del sesso, del grado e delle caratteristiche fisiche dei detenuti, per evitare l’insorgere di
problemi a livello fisico e morale.
Per quanto riguarda i sottufficiali che siano stati fatti prigionieri, la norma precisa che l’unico
impiego che può essere a loro imposto è quello della sorveglianza. Altrimenti, in assenza di
coercizione in tal senso, i sottufficiali prigionieri possono scegliere un’altra attività, che sia
adeguata alle loro attitudini; la Potenza detentrice si deve prodigare per procurare loro, sempre nei
limiti del possibile, gli impieghi richiesti.
La norma relativa al diritto di richiedere di svolgere un determinato lavoro si applica anche a
ufficiali e assimilati, nei confronti dei quali non è possibile attuare nessuna forma di costrizione ad
alcun tipo di mansione: perciò, gli ufficiali possono decidere quale lavoro svolgere, ma non possono
essere adibiti ad un’attività contro la loro volontà. Durante la guerra Iran/Iraq, i prigionieri non
furono obbligati al lavoro, ma, al contrario, non gli fu permesso di avere un impiego, anche quando
essi stessi lo chiedevano per liberarsi dallo stato di ozio in cui si trovavano da lungo tempo. Inoltre,
durante la guerra del Golfo (1991), i detenuti non furono per niente incoraggiati al lavoro .
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Inoltre, l’articolo 50 elenca i lavori cui possono essere adibiti i prigionieri di guerra, in
aggiunta agli impieghi che hanno a che fare con l’amministrazione, la sistemazione o la
manutenzione del loro campo. I prigionieri possono svolgere mansioni nell’agricoltura,
nell’industria (produzione, estrazione, manifattura, ma non metallurgia, meccanica, chimica, lavori
pubblici, né edilizia di carattere o destinazione militare), nei trasporti e nella manutenzione (sempre
R. KOLB, R. HYDE, op. cit., p. 213.
1 R. KOLB, op. cit., p. 171-172.
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al di fuori dell’ambito militare), nei servizi domestici e nei servizi pubblici (non connessi alla sfera
militare).
I prigionieri non possono essere forzati a svolgere il servizio militare nell’esercito dello Stato
che li ha catturati. Tuttavia, anche qualora vogliano farlo, non è possibile dare seguito alla loro
volontà, poiché l’articolo 7 non permette la rinuncia dei diritti garantiti dalla III Convenzione. Se la
Potenza detentrice viola quanto precede, il prigioniero può presentare reclamo, come da articolo 78.
Si potrebbe porre qui il problema se la ricostruzione di una strada, che sia utilizzata per scopi
militari, rappresenti o meno un aiuto all’esercito nemico . Secondo alcuni, la costruzione di una
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strada ricade nella categoria degli impieghi cui possono essere adibiti i prigionieri di guerra, a
condizione che tale attività non abbia scopo militare .
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Secondo l’articolo 51, le condizioni di lavoro riservate ai prigionieri di guerra devono essere
convenienti e non meno favorevoli di quelle accordate ai membri della Potenza detentrice per le
stesse occupazioni: questa norma dà soprattutto rilievo all’alloggio, al vitto, al vestiario e al
materiale fornito ai detenuti, nonché al clima della zona nella quale i detenuti si trovano a lavorare.
Vanno poi applicate, in favore dei prigionieri, le leggi nazionali per la protezione del lavoro e
i regolamenti relativi alla sicurezza degli operai validi nello Stato che li ha catturati. Infatti, oltre al
diritto all’istruzione, i prigionieri devono essere destinatari di misure di protezione specifiche per il
lavoro svolto e non dissimili da quelle previste per i lavoratori della Potenza detentrice. Gli unici
rischi che potranno correre sono quelli a cui è sottoposta normalmente la mano d’opera civile.
Infine, nessuna sanzione disciplinare potrà colpire le condizioni di lavoro, rendendole meno
favorevoli per i detenuti.
Il divieto di affidare lavori insalubri o pericolosi ai prigionieri è espresso dall’articolo 52, che
pone però una deroga: infatti, tali impieghi possono essere volontariamente presi in carico dai
detenuti. Tra gli impieghi pericolosi, il comma 3 ricorda il rastrellamento di mine o di altri ordigni
analoghi. Per esempio, è importante il caso della guerra Falklands/Malvinas, in cui alcuni
prigionieri argentini furono impiegati nell’attività di sminamento. L’Argentina, ovviamente, non fu
d’accordo, sebbene il Regno Unito avesse affermato che i detenuti avevano assunto tale attività in
modo assolutamente volontario . Il comma 2 contiene l’ulteriore divieto di lavoro umiliante. Il
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metro di giudizio per considerare tale una mansione è il punto di vista di un membro delle forze
armate dello Stato detentore.
3 R. KOLB, op. cit., p. 171, nota 269.
R. KOLB, R. HYDE, op. cit., p. 214, nota 17.
4 N. RONZITTI, op. cit., p. 172.
5 La disposizione relativa alla durata giornaliera del lavoro è l’articolo 53, comma 1. La norma
non dà un’indicazione in numero di ore, ma si limita ad affermare che la giornata lavorativa,
comprensiva del viaggio d’andata per recarsi sul posto di lavoro e di quello di ritorno per rientrare
nel campo, non dovrà durare troppo, o comunque non più della giornata lavorativa di un operaio
civile subordinato della Potenza detentrice e adibito agli stessi incarichi, nella stessa regione.
A metà giornata, lo Stato detentore deve concedere ai prigionieri almeno un’ora di riposo, o
una pausa di durata superiore, se il riposo dei propri operai supera l’ora. Inoltre, lo Stato detentore
deve riconoscere un giorno di riposo settimanale, che cadrà di preferenza la domenica o nel giorno
definito ‘di riposo’, secondo le usanze del paese di origine del detenuto. Ogni anno, i prigionieri
possono godere di otto giorni consecutivi di vacanza, con contestuale pagamento dell’indennità
prevista per tale periodo.
Il lavoro, infine, non può assumere una durata eccessiva nemmeno qualora siano utilizzati
metodi di lavoro alternativi, come il lavoro a cottimo.
Per quanto riguarda l’indennità di lavoro e la sua misura, occorre analizzare il combinato
disposto costituito dagli articoli 54 e 62 della presente Convenzione.
L’articolo 54, comma 2, afferma, infatti, che i prigionieri, che si infortunino sul lavoro o che
si ammalino durante la prestazione o a causa della stessa, saranno curati nella misura richiesta dalle
loro condizioni. Lo Stato detentore rilascerà all’infortunato/malato un certificato medico, perché
questi possa far valere i propri diritti di fronte alla Potenza da cui dipende. Una copia del certificato
verrà trasmessa all’Agenzia centrale dei prigionieri di guerra.
Per quanto riguarda la misura dell’indennità, l’articolo 62 prescrive alle autorità detentrici di
rilasciare ai prigionieri un’indennità di lavoro equa. Le suddette autorità ne stabiliranno l’importo,
che comunque non sarà mai inferiore a un quarto di franco svizzero per giornata lavorativa. Di tale
importo devono essere resi edotti i prigionieri e, per il tramite della Potenza protettrice, la Potenza
da cui essi dipendono.
Allo stesso modo, l’indennità va corrisposta ai prigionieri impiegati in modo permanente in funzioni
o in lavori artigiani legati all’amministrazione, alla sistemazione interna o alla manutenzione dei
campi e anche ai prigionieri che operano tra i camerati come cappellani e medici. I fiduciari e i loro
ausiliari e consiglieri saranno pagati utilizzando le risorse del fondo alimentato dagli utili della
cantina, secondo un importo fissato dalla persona di fiducia, con l’approvazione del comandante del
campo. In assenza del fondo, saranno le autorità detentrici a pagare un’equa indennità a tali