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Nord (anni ’70-’80) analizza un modello designato per i traduttori alle prime armi che si allontana un po’ dal contesto
funzionale e include più che altro un modello dettagliato di analisi del testo del ST; Nord analizza due tipi di processi
traduttivi: documentario e strumentale. Il primo tipo di processo traduttivo è visto quasi come un tipo di documento per
la comunicazione del messaggio espresso dalla SL tra l’autore e la TL, in altre parole la traduzione letterale, il secondo
processo si riferisce ad un messaggio quasi indipendente trasmesso in un nuovo atto comunicativo nella cultura di arrivo,
in altre parole la traduzione libera. Secondo lui ci sono tre aspetti molto importanti che i traduttori alle prime armi
dovrebbe tenere in considerazione: l’importanza della motivazione per cui si traduce, il ruolo delle analisi del ST e la
gerarchia funzionale dei problemi traduttivi.
Per quanto riguarda le teorie della traduzione più di natura ideologica, possiamo citare i DTS (Studi descrittivi di
traduzione), in particolare Toury e Itamar Even Zohar (anni ’70). Quest’ultimo elabora l’idea che la traduzione
letteraria occupa un ruolo che può essere dominante o meno in un polisistema di una specifica cultura. La sua analisi si
può definire più a livello teorico e ideologico che pratico: osserva il fenomeno della traduzione in chiave diacronica e
fortemente orientata culturalmente. Per lui il polisistema è un conglomerato di sistemi che interagiscono tra loro
portando avanti un processo evolutivo del polisistema stesso. Questo processo di evoluzione è di fondamentale
importanza per il polisistema perché sta a significare che i i sistemi innovativi e conservativi sono in continuo
mutamento. Secondo lui la traduzione letteraria occupa una posizione primaria quando si tratta di una letteratura
‘giovane’ che si ispira in parte ai modelli delle letterature meno giovani, quando una letteratura è per così dire ‘debole’ e
utilizza le tipologie letterarie di altre letterature (questo si può verificare ad esempio nel caso di una piccola nazione la
cui cultura viene dominata da una più grande), oppure quando si trova ad un punto critico in cui non viene più tenuta
tanto in considerazione; mentre invece parla di letteratura che assume una posizione secondaria quando non ha più
grande influenza sul sistema centrale e diventa un elemento conservativo che preserva forme ed elementi convenzionali.
Zohar suggerisce ai traduttori di non restare attaccati ai modelli culturali della ST nel caso in cui affrontino una
traduzione letteraria con una posizione primaria, ma anzi invita a rompere le convenzioni; al contrario se si affronta una
traduzione letteraria secondaria invita i traduttori a seguire i modelli letterari esistenti della TL. Vantaggi: letteratura
inserita in un contesto più ampio, però critiche perché modelli troppo generici e astratti.
Toury (anni ’90) DTS. Secondo lui la traduzione innanzitutto occupa una posizione di rilievo nei sistemi sociali e
letterari della cultura di arrivo, e per questo motivo determina le strategie traduttive che vengono utilizzate in questo o
qual caso. Toury ipotizza un modello diviso in tre fasi: collocare il testo da tradurre nel sistema culturale di arrivo
considerando comunque il suo significato e accettabilità in quest’ultimo, comparare il ST e il TT per quanto concerne i
cambiamenti e le relazioni che intercorrono tra ST e TT, fare generalizzazioni e trarre le dovute conclusioni circa il
processo traduttivo per la determinata coppia di ST e TT con cui si lavora. Lo scopo di questo suo modello è di
distinguere le varie tendenze traduttive, fare generalizzazioni riguardo il processo di decision-making del traduttore e
infine stilare delle norme da rispettare all’interno del processo produttivo; queste sono norme che appartengono a uno
specifico strato socioculturale, società e periodo e si dividono in norme iniziali, preliminari e operazionali. Per quanto
riguarda le norme iniziali Toury ipotizza che se il traduttore rispetta la cultura di partenza il risultato sarà una traduzione
adeguata mentre invece se rispetta la cultura di arrivo il risultato sarà una traduzione accettabile; per quanto riguarda le
norme preliminari, Toury le divide in politiche di traduzione, ossia fattori che riguardano la selezione dei testi da tradurre
in uno specifico linguaggio, cultura e tempo, e la direttività della traduzione, ossia la possibilità che una traduzione
avvenga per tramite di una terza lingua ad esempio tradurre dal francese all’italiano tramite l’inglese; le norme
operazionali invece si dividono in norme che lui definisce ‘matriciali’ che si riferiscono alla completezza del TT ossia a
omissioni, cambiamenti e ricollocazioni che occorrono durante il processo traduttivo e in norme linguistiche-testuali,
ossia che riguardano le scelte lessicali e stilistiche del TT. L’analisi di Toury è molto interessante, da un grande
contributo alla disciplina in quanto non si focalizza più sul fatto che ci sia o meno equivalenza tra SL e TL ma bensì
sposta l’attenzione sul come si realizza quest’equivalenza attraverso tutte le scelte e le decisioni strategiche attuate dal
traduttore.
Tuttavia le vere teorie di natura ideologica emergono solo negli anni ‘90 con il cosiddetto Cultural Turn, movimento
ideologico e culturale che indica uno spostamento dell’analisi traduttiva su un piano prettamente culturale; tale
movimento si traduce dunque con la nascita dei movimenti femministi e post-colonialisti. Già Lefevere (anni ’90) parla
di come la traduzione nel corso della storia e in molte civiltà sia stata utilizzata dai mecenati della politica come
strumento per consolidare la propria ideologia, attraverso l’orientamento dei media verso il proprio manifesto politico
(l’esempio eclatante è la propaganda nazista di Hitler nella Germania degli anni ‘30). Lefevere parla quindi di deviazione
dell’ideologia e la poetica dominanti (attraverso ad esempio la scelta dei pilastri “classici” di una letteratura, scegliere
quali testi tradurre e quali, invece, marginalizzare). Feminist translators (anni ’90) La traduzione femminista ha
l’intenzione di “resex the language”, riportando nella traduzione ad esempio, marche grammaticali o giochi di parole per
segnalare sia il femminile, che sensibilizzare il lettore sulle questioni di genere; si tratta di una traduzione dominata da
un forte atteggiamento di ribellione nei confronti dell’uomo e della società maschilista. Susanne de Lotbinière
Harwood (anni ’90) nella traduzione di un’autrice, femminista anche lei, esprime il suo manifesto politico e l’intenzione
di “resex the language”, riportando nella traduzione ad esempio, marche grammaticali o giochi di parole per segnalare
sia il femminile, che sensibilizzare il lettore sulle questioni di genere (“one” come marca del femminile, l’utilizzo del
neologismo “auther” invece che “author” per tradurre la parola francese ‘auteure’, l’utilizzo della M maiuscola in parole
come ‘huMan rights’, in polemica con l’implicito sessismo). La sua traduzione è un atto politico volto a rendere il
linguaggio da lei usato, il linguaggio che parla per le donne, lei utilizza infatti tutte queste strategie per rendere la
presenza femminile nelle parole del testo il più visibile possibile, per dare una voce alle donne e per fare in modo che i
lettori notino il lavoro delle donne, tenute sempre e comunque in penombra dalla società. La traduzione femminista
infatti, come anche quella postcoloniale, è dominata da un forte atteggiamento di ribellione nei confronti dell’uomo e
della società maschilista e delle grandi potenze coloniali. Ciò si traduce, ad esempio nella polemica di Cherry Simon
contro la traduzione che ha sempre mostrato tracce di un forte maschilismo: parallelismo tra traduzione come donna,
quindi imperfetta, sottomessa, addirittura “bastarda”; “le belle infedeli”, la “penetrazione” di Steiner, fino
all’atteggiamento dei traduttori maschi nel voler tutelare il testo originale quasi fosse una damigella il cui onore deve
essere preservato. Tutte queste critiche mosse dalle femministe sono di natura totalmente ideologica che possono essere
d’effetto o meno, dipende dal punto di vista in cui le si analizza; critiche del genere sono critiche piuttosto dirette che per
questo motivo rendono abbastanza il concetto di rabbia e forse anche frustrazione delle traduttrici.
Per quanto riguarda i postcolonialisti (anni ’90), l’ideologia che prevale nei traduttori come ad esempio Niranjana, è
fondamentalmente quella di criticare le potenze coloniali, la loro lingua dominante che impongono sulle culture dei Paesi
colonizzati, la volontà di annullare e appiattire le differenze culturali in un tentativo di “occidentalizzare” il pensiero
orientale. A tal proposito, è rilevante la polemica della Spivak, filosofa americana di origini bengalesi, che critica le
femministe occidentali e parla di “translatese”, cioè una traduzione che filtra la visione dell’oriente secondo gli standard
occidentali. Secondo Spivak le femministe provenienti dai paesi egemonici dovrebbero mostrare la loro solidarietà alle
donne provenienti dai paesi colonizzati smettendo di scrivere solo in inglese (la lingua dei colonizzatori) e cercando di
avvicinarsi a loro imparando e scrivendo nelle lingue di queste donne.
Lawrence Venuti è una delle figure più controverse della moderna teoria della traduzione poiché le sue posizioni sono
spesso altamente politicizzate e in contrasto con quelle tradizionali. Ad esempio, egli critica aspramente l'invisibilità cui
sono tradizionalmente costretti i traduttori. Venuti parla di invisibilità o visibilità del traduttore in riferimento al testo di
arrivo che risulta nel primo caso domesticated e nel secondo foreignized. Quando il traduttore risulta invisibile, l’effetto è
che la traduzione sembra non un’imitazione dell’originale ma l’originale stesso (domestication-naturalization-writer to
reader); questa pratica in qualche modo "tradisce" il testo di partenza eliminando e appianando le differenze e referenze
culturali che secondo lo studioso dovrebbero invece essere trasmesse e comunicate. Mentre invece quando il traduttore
risulta visibile va da sé che l’effetto è esattamente l’opposto, ossia il lettore si accorge immediatamente che il testo che
sta leggendo è un testo tradotto che si allontana dalla sua cultura per molti versi e che invece fa sentire la presenza
cultura di partenza (foreignization-alianation-reader to writer). Nell'ottica di Venuti si dovrebbe favorire la foreignization
che "scomodi" in qualche modo il lettore in lingua