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ATP
La resintesi di ATP da reazione miochinasica sfrutta l’energia chimica dell’ADP per
mantenere costanti le concentrazioni di ATP in uno sforzo muscolare. Una piccola
diminuzione di ATP nello sforzo muscolare causa variazione della concentrazione
dell’AMP o adenosina monofosfato, che è un segnale dello stato energetico della
cellula. Alti livelli di AMP indicano un’aumentata richiesta energetica. Esso si lega a
due isoenzimi: la fosfofruttochinasi (PFK), che aumenta la velocità della glicolisi,
convertendo il fruttosio-6 fosfato in fruttosio-1,6 bisfosfato, e la glicogeno-
fosforilasi, tipica della glicogenolisi, che è attivato dall’AMP e libera il glucosio per
le richieste energetiche della fibra muscolare.
Meccanismi anaerobici lattacidi
A partire dal 3°-4° sec di un esercizio intenso si attivano i meccanismi anaerobici
lattacidi, che producono energia senza ossigeno attraverso la glicolisi anaerobica,
quindi utilizzando glucosio. Da una molecola di glucosio se ne ottengono 2 ATP più
acido lattico. In un esercizio intenso il piruvato, che è il prodotto finale della
glicolisi, viene ridotto in acido lattico: quest’ultimo è un ossiacido che,
nell’ambiente intracellulare, si dissocia in due ioni: l’anione lattato, negativo, e
l’idrogenione H+, positivo. La produzione di lattato forma NAD+, indispensabile per
la glicolisi anaerobica, catalizzata dalla gliceraldeide 3 fosfato deidrogenasi.
Una produzione eccessiva di acido lattico abbassa il pH intracellulare, che inibisce la
glicolisi e la produzione del lattato: questo processo è monitorato da un sistema di
controllo, che evita danni cellulari irreversibili. La dissociazione dell’acido lattico in
lattato e H+ contribuisce alla fatica. L’incremento di H+ inibisce la PFK I, che
determina la velocità della glicolisi, la cui riduzione riduce la potenza in uno sforzo
lattacido prolungato. Nella fibre muscolari sono attivi sistemi tampone inorganici,
come fosfati e bicarbonato, e organici, come peptidi e proteine: questi si oppongono
alle variazioni di pH e migliorano con l’allenamento lattacido o con le diete. Le
membrane plasmatiche cellulari contengono un sistema di simporto, che evita
l’abbassamento eccessivo del pH intracellulare e rilascia l’acido lattico nello spazio
extracellulare.
L’anione lattato attraversa la membrana per diffusione facilitata grazie a proton-
linked, i trasportatori dei monocarbossilati (MCT) che trasportano anche il
piruvato: essi sono 9 proteine, di cui MCT1 e MCT4 si trovano nel muscolo striato: il
primo trasporta il lattato nelle fibre rosse, è correlato alla capacità ossidativa e di
captazione del lattato dalla circolazione, e i suoi livelli nelle fibre rosse aumentano con
l’allenamento di endurance; il secondo, invece, è responsabile dell’efflusso di lattato
dalle fibre bianche, ha più affinità per il lattato ed ha elevati livelli nelle fibre bianche.
Produzione di lattato durante lo sforzo muscolare
Analizziamo ora le variazioni di lattato ematico a diverse velocità di corsa.
In sforzi di intensità inferiore al 50% del VO2max, la velocità di produzione e
immissione di lattato nel sangue è pari alla velocità della sua rimozione. La
concentrazione di lattato non varia molto nell’esercizio.
In sforzi di intensità superiore al 50% del VO2max ma inferiore alla soglia del
lattato c’è un innalzamento iniziale della concentrazione del lattato che raggiunge un
massimo dopo 3-5’: se la corsa continua la concentrazione del lattato scende a valori
basali ed è costante per il resto dell’esercizio. Nei primi istanti di impegno, il
meccanismo aerobico non è efficiente e quindi bisogna liberare più energia attraverso
quello anaerobico lattacido. Inizialmente vi è un ridotto apporto di ossigeno per ritardo
negli adattamenti cardiocircolatori: questo fenomeno è detto gobba, che dipende
dalla riduzione di fibre bianche e all’aumento di quelle rosse all’inizio dello sforzo, o
dall’aumentato utilizzo periferico del lattato.
In sforzi di intensità superiore alla prima soglia del lattato, ma inferiore alla
soglia anaerobica, le concentrazioni di lattato si stabilizzano a valori superiori di
quello basale. Se aumenta la produzione di lattato aumenta anche il suo utilizzo. Una
prima soglia del lattato è indicata col termine di LTV o velocità alla soglia del
lattato, determinabile misurando le concentrazioni di lattato dopo esercizi a diverse
velocità.
In sforzi di intensità superiore alla soglia anaerobica, l’accumulo di lattato
determina la potenza massima del metabolismo ossidativo. Sopra questa soglia il
lattato continua a crescere durante lo sforzo. La velocità di corsa alla soglia anaerobica
è la massima che un atleta può tenere senza aumentare il lattato nel sangue.
La soglia del lattato si valuta con vari metodi:
A) OBLA o LPTV o II soglia del lattato, attraverso un grafico coi valori di lattato
in ordinate e l’intensità di lavoro in ascisse: se si misura il lattato a intensità di
corsa crescenti la curva aumenta bruscamente per improvviso accumulo di
lattato.
B) MLSSV o maxlass, in cui “max” sta per massimo, “la” per lattato e “ss” per
stato stazionario: essa è la più alta velocità di incremento di lattato tra il 10°
e il 30° min di esercizio. In esercizi di corsa a velocità costanti, quella più alta
che stabilizza i valori di lattato è detta MLSSV.
C) Soglia anaerobica convenzionale a 4 mM, che è un valore medio raggiunto
in prove di intensità crescente. La soglia anaerobica si determina anche con
metodi indiretti relazionando produzione di CO2, ventilazione polmonare o FC da
un lato, e consumo di O2 o velocità dall’altro.
Potenza e capacità lattacida
La potenza lattacida è la massima velocità di produzione di lattato, relativa alla
quantità di ATP prodotto nell’unità di tempo col meccanismo lattacido. Essa è
importante in prove di corsa piana di 100-200 m, che essendo di breve durata non
esauriscono le scorte di glicogeno.
La capacità lattacida è la capacità di un atleta di tenere, per il maggior tempo
possibile, una velocità elevata in condizioni di acidosi muscolare, senza riduzione del
rendimento meccanico. Inizialmente l’accumulo di acido lattico è più marcato per poi
stabilizzarsi o ridursi a fine esercitazione. Le esercitazioni per sviluppare la capacità
lattacida vanno svolte a intensità elevate, pari o superiore a quelle di gara. È
importante che prima di lavorare sulla capacità lattacida, l’atleta sia in grado di
produrre molto acido lattico. Per fare ciò egli deve lavorare sul picco di lattato, che è
la quantità massima di acido lattico che un atleta può accumulare e non sempre
coincide con la potenza lattacida.
Utilizzo del lattato
Il lattato viene continuamente rimosso dal torrente circolatorio per essere utilizzato
nelle vie metaboliche distinte in: conversione lattato-glucosio/glicogeno a livello
epatico (Ciclo di Cori), conversione lattato-glucosio/glicogeno in altri tessuti,
ossidazione completa del lattato in fibre muscolari o altri tessuti. Per
esprimere la diminuzione nel tempo della lattatemia, cioè del lattato ematico nel
recupero da uno sforzo lattacido intenso, ci si riferisce al tempo di dimezzamento delle
concentrazioni ematiche (Tmezzo): esso è più breve in soggetti allenati. Il lattato
prodotto nel muscolo nella glicolisi anaerobica, in uno sforzo di intensità superiore alla
soglia anaerobica, viene riconvertito in glucosio nella gluconeogenesi. Quando il
substrato di partenza è il lattato, si parla di glicogenesi, in quanto non avviene una
sintesi ex novo: questa via è attiva durante il ciclo di Cori, in cui, nel recupero dallo
sforzo, il lattato diffonde dal muscolo nel sangue ed è captato a livello epatico.
L’enzima lattato deidrogenasi catalizza la conversione del lattato in piruvato a
livello epatico per poi convertirlo in glucosio nella gluconeogenesi epatica. Il
glucosio è immesso nel sangue dall’enzima epatico glucosio-6-fosfato fosfatasi e
ricaptato a livello muscolare, dove ricostituisce le scorte di glicogeno. Le fibre
muscolari utilizzano il lattato sia nello sforzo che nel recupero. In particolare quando
un flusso di lattato passa dalle fibre bianche a quelle rosse si parla di shuttle del
lattato. Meccanismi aerobici
Il meccanismo aerobico o ossidativo utilizza substrati quali carboidrati, acidi
grassi e amminoacidi, metabolizzati in presenza di ossigeno. È un sistema
energetico dalla maggiore resa, utilizzato in attività di lunga durata (oltre 2-3’) ma di
intensità non massimale. Ad ogni substrato corrisponde una via catabolica: per i
carboidrati vi sono glicolisi aerobica e decarbossilazione ossidativa del
piruvato, per gli acidi grassi vi è la beta-ossidazione, per gli amminoacidi vi è la
transamminazione. Il catabolismo di questi substrati fa entrare scheletri carboniosi
nel ciclo di Krebs, con produzione di coenzimi ridotti NADH+H+ e FADH2, che
attraversano la catena respiratoria e sintetizzano ATP mediante fosforilazione
ossidativa.
La glicolisi aerobica o lenta metabolizza il glucosio per formare due ATP, con l’acido
piruvico finale convertito in acetil-CoA invece che in acido lattico. Dopo la glicolisi,
ulteriore ATP può essere prodotto convogliando l’acetil-CoA attraverso il ciclo di
Krebs: esso è una serie di reazioni chimiche che continua l’ossidazione del glucosio
iniziato nella glicolisi. L’acetil-CoA entra nel ciclo di Krebs ed è suddivisa in CO2 e H
formando più di 2 ATP. La combinazione dell’H prodotto nel ciclo di Krebs e quello
prodotto nella glicolisi, se lasciato incontrollato causerebbe eccessiva acidità delle
cellule. Per questo l’H si combina con NAD e FAD e viene trasportato alla catena di
trasporto degli elettroni, che è un’altra serie di reazioni in cui l’H si combina con
l’O per formare H2O, impedendo così l’acidificazione. Questa catena ha come risultato
la formazione di 34 ATP.
Diversamente dalla glicolisi, il ciclo di Krebs e la catena di trasporto degli
elettroni possono metabolizzare grassi e carboidrati per produrre ATP. La lipolisi è la
ripartizione dei trigliceridi in glicerolo e acidi grassi che, prima di entrare nel ciclo di
Krebs, devono subire la beta-ossidazione, cioè una serie di reazioni per ridurli
ulteriormente in H e acetil-CoA: quest’ultimo può ora entrare nel ciclo di Krebs e da
questo punto in poi, il metabolismo di g