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IL DECOSTRUTTIVISMO
Il Decostruttivismo, nato nel 1980, ha dato luogo ad opere di notevolissimo spessore architettonico, anche se
ultimamente molto discusse, sia per gli eccessivi costi, sia per le problematiche funzionali e tecnologiche denunciate. Lo
sviluppo del Decostruttivismo avviene contemporaneamente all’introdotta possibilità di utilizzare software specializzati per la
progettazione, che, probabilmente, ha permesso di trasformare il linguaggio architettonico contemporaneo e dei relativi
risultati formali. Nel 1983 è Zaha Hadid a realizzare il primo progetto dichiaratamente decostruttivista. Architetto iraniana,
partecipa al concorso per il club The Peak a Hong Kong. Sempre nel 1983, i Coop Himmelblau realizzano una innovativa
addizione strutturata in vetro sul tetto di un edificio dell’800 per uno studio di avvocati nel centro storico di Vienna.
L’ossatura ad arco della struttura riu- nifica la composizione spezzata e sporge in basso verso la strada. Questo intervento
sull’edificio antico non cerca un rapporto, anzi mira ad evidenziare la diversità tra le diverse epoche storiche. Ma a
determinare la vera e propria nascita del fenomeno è stata una mostra organiz- zata a New York da P. Johnson, chiamata
«Deconstructivist Architecture» nella quale, attraverso i progetti di Gehry, Libeskind, Koolhaas, Eisenman, Hadid, Tschumi
e del gruppo Coop Himmelblau, si sancisce per la prima volta il nome di questa tendenza architettonica rivoluzionaria,
che faceva vedere una architettura che rifiutava schemi geometrici ed assi ordinatori e che si muoveva in una costante
ricerca di un uso espressivo della struttura. Il fenomeno è strettamente collegato alle teorie filosofiche del filosofo
francese Jac- ques Derrida. Eisenman traduce in chiave architettonica le posizioni del filosofo, e introduce il
concetto della dissoluzione delle tradizionali opposizioni tra struttura e decorazione, astrazione e figurazione, figura e
suolo, forma e funzione. Il progetto non deve pro- cedere verso la sintesi ma deve andare per successive stratificazioni
ed esibire la contraddizione, in un procedimento che tende a conservare all’interno del progetto stesso le successive
fasi di elaborazione. L’unità dell’edificio ne viene sconvolta e con essa il suo significato apparente. Il decostruttivismo
non mira solo a smembrare l’oggetto e a disconnetterne le parti, ma anche a ricostruirlo secondo una alternativa alle
regole convenzionali. Opponendosi alla purezza ed alla univocità e intima coerenza del movimento moderno,
contrapponendovi le sue incertezze, inserisce in architettura un pluralismo di possibilità. In tal senso il Museo di Bilbao
di Gehry ha costituto una sfida, sotto molti punti di vista: socio-politici, architettonici e di linguaggio espressivo oltre
che tecnico. Ha avuto un enorme successo di pubblico che ha avvicinato la gente verso le odierne forme
dell’architettura. Però, ad onor del vero, in quest’ultimo periodo, causa la crisi economica, una rinnovata critica delle
teorie relativiste, e diverse cause pendenti su aspetti non funzionanti delle opere decostruttiviste, stanno portando alcuni
teorici a posizioni molto simili a quelle rivolte contro il movimento moderno, e cioè abuso di materie prime
costosissime, ed indifferenza nei confronti del sito e dei futuri utenti. Forse tutto ciò può essere spiegato con un
semplice assunto: il decostruttivismo è la diretta conseguenza del modernismo, e di quest’ultimo ha pregi e relativi difetti.
TENDENZE DELL’ARCHITETTURA CONTEMPORANEA
Gli elementi che partecipano alla definizione dell’attuale panorama architettonico sono molteplici. In sintesi possono
essere ascritti a 4 macro aree con ascendenze temporali più o meno lontane. La prima è l’uso di software specializzati
per la progettazione che, a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso ha permesso di investigare forme particolari con un
mutamento radicale della fase di progettazione dell’oggetto architettonico. Ciò ha sollevato dibattiti sul condizionamento
che tali mezzi esercitano sull’odierno modo di fare architettura; alcuni temono infatti che queste procedure tecniche di
disegno possano alla lunga condurre ad una diffusa perdita di identità di linguaggio, oltre che della capacità stessa di
progettazione. La seconda è la quasi totale scomparsa della figura isolata del progettista. Infatti in architettura le
produzioni sono adesso prevalentemente espressione di sforzi collettivi, esercitati da gruppi formati da competenze diverse
che si affiancano alla figura centrale del professionista cui si deve l’attribuzione dell’idea progettuale complessiva. La terza,
più legata a quanto più in voga in quest’ultimo periodo per l’architettura contemporanea, è un ritorno prepotente del
linguaggio minimalista. Infatti, probabil- mente anche a causa della crisi economica di questi ultimi anni, un dibattito
critico si è levato contro l’eccesso di progetti di stampo decostruttivista e neo barocco di alcune archistar (Gehry, Zaha
Hadid, ecc.), determinando la selezione, nei principali concorsi internazionali di architettura, di progetti più improntati
sul minimalismo alla Toyo Ito che non alle forme teorizzate da Eisenman. Infine, la quarta area è sicuramente quella
relativa alla sostenibilità e al risparmio energetico, con una riappropiazione dei principali sistemi attivi e passivi, nella
progettazione degli edifici.
Antoni Gaudì
Uno degli architetti più originali e innovatori del Novecento, «il primo fra i geni» secondo Joan Mirò. Architetto
appassionato e dotato di una intelligenza fuori dal comune, nacque il 25 giugno 1852 a Reus, da una famiglia di
modeste origini sociali. Il padre, il nonno e il bisnonno furono artigiani che costruivano caldaie e manufatti in rame o
lamiera, ma lui, portato per gli studi e la riflessione, frequentò prima la scuola degli Scolopi di Reus e poi, nel 1870, la
Scuola di Architettura di Barcellona. Fra il 1876 e il 1878 Gaudì, ancora studente, realizza lavori con gli architetti Villar,
Sala e Martorell. Il 15 marzo ottiene il titolo di architetto, che gli consente di aprire un ufficio a Barcellona. Nel 1883 realizza
un viaggio a Banyuls, Elne e Carcassone ed assume l’incarico della realizzazione del progetto del tempio della Sagrada
Familia. Fra il 1890 e il 1894 si trasferisce in Andalusia, a Leon e Astorga, città queste in cui lascerà una profonda
impronta architettonica. Il 3 settembre 1901 ottiene il Premio dal Municipio di Barcel- lona per la realizzazione della Casa
Calvet. Nel 1910 ottiene un enorme successo nell’Esposizione della «Societè Generale des Beaux Arts» di Parigi. Il 7
giugno 1926 Gaudì viene tragicamente investito da un tram e il 10 giugno muore: venne seppellito a Barcellona, proprio
nel cuore della Sagrada Familia. Considerato l’architetto emblematico del modernismo novecentesco, Gaudì fu anche
rappresentante di una corrente culturale e spirituale che opponeva, all’anarchismo e ai fervori socialisti dei primi del ‘900,
valori profondamente cristiani, quasi mistici. E mistico era lui stesso, come dimostra bene una vita di povertà e
solitudine, spesa a servizio della sua professione, ma con un fine più alto: costruire la città di Dio nella città degli
uomini. Per 42 anni, dal 1884 fino al giorno dell’improvvisa morte, Gaudì lavorò instanca- bilmente alla «cattedrale dei
poveri». Negli ultimi tempi non si allontanava più dal gigantesco cantiere neppure per dormire. Nonostante avesse una
piccola casetta nel centro storico di Barcellona, si era ricavato un angolino nella Sagrada Familia, dove studiava e
lavorava, giorno e notte. Non si sposò mai e non ebbe figli. Tra le altre sue meravigliose opere ricordiamo la Casa Vicens,
il sobrio Collegio delle Teresiane, le audaci e geniali Casa Milà (la Pedrera) e Casa Batlló, nonché il Parco Güell.
Le Corbusier
La personalità di Le Corbusier fu determinante per il Movimento Moderno, anche se, in relazione ad un’attività che va da
prima degli anni 1920 agli anni 1965, quindi un periodo di 50 anni, fa sì che il personale percorso assumerà
connotazioni diverse. Bisogna infatti considerare che la sua attività si svolge in un periodo denso di cam- biamenti
tecnologici, sociali, politici e culturali. Il pensiero di Le Corbusier nasce come frutto del suo tempo, si evolve e matura in-
sieme ai cambiamenti operati dagli eventi. Egli pensa all’architettura come ad uno strumento capace di migliorare la
condizione umana, attraverso una razionale e funzionale organizzazione degli spazi, e definisce tecnica e arte come
due caratteri paralleli, non in antitesi. I 5 punti di una nuova architettura di Le Corbusier (pilotis, tetto giardino, pianta libe-
ra, finestra a nastro, facciata libera) sono stati pensati già prima del 1926, data in cui furono pubblicati in un documento a
firma di Le Corbusier con P. Jeanneret. Questi 5 punti sono stati oggetto di critiche, accusati di portare avanti un eccessivo
schemati- smo ed anche oggi, leggendone semplicemente le descrizioni, si avverte l’eccessiva tendenza a semplificare,
all’interno di codici anche troppo rigidi, una materia che per sua esigenza deve rifiutare le schematizzazioni. Nel 1927 Le
Corbusier realizza un’opera che è un manifesto, Villa Stein a Garches. Utilizza l’intonaco bianco per le parti murarie; gli
infissi sono metallici e di colore nero. La geometria della forma viene così esaltata al massimo, le proporzioni si ricollegano
al calcolo della sezione aurea e, dentro un reticolo di pilastri distribuiti con regolarità, la pianta e i prospetti sono elaborati
liberamente. La villa poi è posta in rapporto con il parco che ha intorno attraverso un’articolazione delle sue parti. Nel
1929 è la volta di Villa Savoye a Poissy, vicino Parigi. Quest casa, che a detta del suo autore doveva posarsi nell’erba
«come un oggetto, senza guastare nulla», sarà poi destinata a divenire una delle icone dell’architettura moderna. Sorge
su un vasto prato, circondato da boschi. Il fatto che sia sorta in un luogo praticamente privo di qualsiasi riferimento ad
elementi particolari del contesto ha probabilmente favorito la sua composizione come concretizzazione di una idea astratta.
L’oggetto architettonico si posa così nel luogo, senza modificarlo, anzi, è come sollevato da terra tramite i suoi pilotis; i
prospetti sono uguali e rivolti ai quattro punti cardinali; una rampa a dolce pendenza ne collega i livelli, suggerendone
la continuità spaziale. L’attività del CIAM – il Congrès International d’Architecture Moderne – nato per iniziativa di Le
Corbusier, Gropius, Berlage ed Oud è un altro importante contributo dato allo sviluppo dell’architettura e dell’urbanistica
moderna. Nel 1946 Le