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MECCANISMI DI LOCALIZZAZIONE DEL SUONO:
Noi siamo dotati di due sensori, localizzati al lato sinistro e al lato destro del nostro capo.
Perché non abbiamo un unico sensore del suono? Perché sarebbe molto più difficile calcolare la posizione
della fonte dei suoni, anche se sarebbe in qualche modo possibile ma l’informazione sarebbe molto più
grossolana.
I meccanismi di localizzazione del suono si basano su due principi diversi:
- sul piano orizzontale.
a) ritardo interaurale di circa 0,6 ms tra orecchio sinistro e orecchio destro, che distano tra loro circa 20 cm.
b) differenza d’intensità interaurale (tra le due orecchie) a seconda della provenienza del suono. Se il suono
arriva da destra arriva prima all’orecchio destro e poi a sinistra.
La teoria che tiene conto sia del ritardo interaurale, sia della differenza di intensità interaurale si chiama
teoria duplice della localizzazione del suono.
- sul piano verticale:
I nostri padiglioni auricolari sono simmetrici e quindi non possiamo utilizzare la forma del padiglione
auricolare per far rimbalzare diversamente il suono proveniente dall’alto o dal basso.
LOCALIZZAZIONE DELLA SORGENTE: Alcuni animali hanno i padiglioni
auricolari asimmetrici, e quindi per
esempio hanno l’orecchio destro che è
più specializzato a captare i suoni che
giungono dall’alto e l’orecchio sinistro
che è più specializzato nel captare
suoni che giungono dal basso (per
esempio il barbagianni). In questo
modo sono in grado di compiere una
codifica dell’informazione sonora
anche sul piano verticale, oltre che sul
piano orizzontale.
Questa codifica della posizione spaziale sia negli animali sia nell’essere umano, avviene a livello
mesencefalico, nel nucleo olivare superiore.
Nel nucleo olivare superiore convergono informazioni provenienti dalle due orecchie e vengono calcolati il
ritardo interaurale e la differenza di intensità interaurale, grazie ai quali viene rappresentata una prima
informazione su dove si trova la sorgente del suono.
COME VIENE CODIFICATA L’INTENSITÀ DEL SUONO?: Rappresenta una cellula di nervo acustico.
Questa singola cellula del nervo acustico
comincia a “sparare” con un numero di
impulsi al secondo massimo, perché è la
sua frequenza preferita (curva blu).
Questa informazione bioelettrica giunge
dalle cellule ciliate che hanno già tradotto
l’informazione meccanica in informazione
bioelettrica.
Se il suono all’esterno è più debole,
questa informazione raggiunge la cellula
del nervo acustico, il quale “spara” sempre
con un numero di impulsi al secondo
massimo, ma con una intensità minore
(curva rossa).
Modulando il numero di impulsi al secondo
si possono codificare
contemporaneamente la frequenza e
l’intensità.
ORGANIZZAZIONE TONOTOPICA: È stato effettuato un studio
fMRI, di risonanza magnetica
funzionale.
I quadratini risultano da
differenti segnali BOLD, cioè si
è rilevato un aumento di
desossiemoglobina, specifico
per toni di frequenza diversa.
Suoni di altezza grave vengono
codificati da regioni diverse
rispetto a suoni di altezza acuta.
POTENZIALI EVOCATI UDITIVI:
I potenziali evocati uditivi ci permettono di studiare un possibile utilizzo dell’informazione bioelettrica per
diagnosticare eventuale problemi nell’integrità delle vie uditive.
Il viaggio che compie il suono a livello sottocorticale è:
- nervo acustico;
- nuclei cocleari;
- nucleo olivare superiore: dove viene effettuata la codifica della posizione del suono mediante il ritardo
interaurale e la differenza di intensità interaurale.
- collicolo inferiore;
- corpo genicolato mediale del talamo;
- corteccia uditiva.
Ciascuno di questi passaggi è associato a un impulso nervoso: ogni volta che si passa da una “regione”
all’altra, avviene uno scambio sinaptico, con il passaggio dell’informazione uditiva.
Ogni volta che un neurone scambia un messaggio sinaptico con un altro si genera un potenziale
postsinaptico che può essere eccitatorio o inibitorio e la cui somma in superficie dà luogo al potenziale
evocato.
Quindi ogni volta che c’è un passaggio da una regione all’altra si genera un picco di potenziale evocato
Si vedono in figura una
serie di picchi positivi,
chiamati S , S , S , S ,
1 2 3 4
S , S , che
5 6
rappresentano i diversi
stadi di analisi
troncoencefalica.
C’è una componente più
grande delle altre, la S ,
5
che è maggiormente
visibile e consente di
capire se il suono è
arrivato integro.
troncoencefalico che si registra nel tracciato.
Come si ottiene questo potenziale evocato troncoencefalico?
Si registra l’EEG, quindi segnali oscillatori che riflettono la stato di arousal dell’individuo. Nascosto dentro
l’oscillazione spontanea c’è il potenziale evocato. Per quantificare questo
potenziale evocato devo
stimolare più volte una
persona con lo stesso stimolo.
Per esempio se io produco
100 volte dei suoni e registro
l’EEG, poi sono in grado di
ottenere un segnale che
deriva dalla media di 100
tracciati EEG che nascondono
sempre potenziali evocati.
Dall’EEG si registrano tutti i
suoni. Si ritagliano i pezzettini
di EEG e si fa la media tra S ,
1
S , S , ecc…
2 3
COME SI MISURANO I POTENZIALI EVOCATI UDITIVI?:
I potenziali evocati uditivi troncoencefalici si misurano con un singolo elettrodo, poi settano gli amplificatori in
modo tale da poter osservare le componenti dei potenziali evocati troncoencefalici.
Nel bambino molto piccolo, l’EEG non è come il nostro, infatti solo gli esperti possono identificare la quinta
componente (S ) dei potenziali evocati troncoencefalici.
5
Chi non ha la quinta componente dei potenziali evocati a una certa latenza, può avere il problema della
traduzione dell’informazione sonora (può avere anomalie nell’udito).
I potenziali troncoencefalici che misurano la soglia dell’udito si chiamano BSEP.
La quinta componente è la risposta del passaggio
dell’informazione dal lemnisco al collicolo. Questo
picco, essendo il più grande di tutti, viene utilizzato
come marker.
La quinta componente resiste anche a stimolazioni
più deboli.
Se io diminuisco l’intensità del suono (come in
figura), il neurone lo codifica diminuendo la sua
frequenza di scarica e anche l’ampiezza del segnale
in microvolt.
Rallenta la latenza e diminuisce l’ampiezza di
intensità.
Se si ha un danno all’orecchio interno (coclea), non registro tutti questi potenziali evocati.
I potenziali evocati uditivi troncoencefalici si chiamano anche potenziali a latenza precoce, perché
insorgono tra il primo e il decimo millisecondo.
Nel talamo, il tipo di elaborazione si fa un pochino più complessa. I potenziali evocati uditivi talamici si
chiamano anche potenziali a latenza media, perché insorgono tra il decimo e il sessantesimo millisecondo.
Nel talamo cambio nomenclatura, cambio il modo di chiamare i picchi, per distinguerli da quelli tronco
encefalici.
I picchi sono chiamati sulla base della loro polarità positiva o negativa (n = negativo; p = positivo) e sulla
base dell’insorgenza (N0; P0; Na; Pa; Nb, ecc…).
Il potenziale evocato uditivo N1, indica l’arrivo nella
corteccia uditiva. Questa scala è volutamente logaritmica,
per mettere insieme potenziali
troncoencefalici, potenziali talamici e
potenziali corticali.
Quelli troncoencefalici impiegano 10 ms,
quelli talamici impiegano 60 ms, quelli
corticali dipende in base a ciò che faccio
con l’informazione uditiva.
Quindi i tempi di insorgenza dei picchi e
la durata del picco sarà completamente
diversa a seconda che io sia nel tronco
encefalico, nel talamo o nella corteccia.
Il tratteggio indica come cambia il
potenziale di corteccia se io presto
meno attenzione.
COMPONENTI PERCETTIVE E COMPONENTI COGNITIVE
DEL POTENZIALE EVOCATO:
Una volta che l’informazione arriva alla corteccia uditiva, c’è la codifica tonotopica della frequenza e poi
cominciano ad essere riconosciuti gli oggetti sonori.
La corteccia sa riconoscere le regolarità, sa riconoscere se un suono è già stato sentito, per esempio alcuni
suoni familiari (es. rumore delle chiavi).
La corteccia deve però essere opportunamente stimolata: se un bambino non viene esposto a suoni, rimane
“sordo”, perché non si sviluppa la codifica corticale.
STUDIO fMRI:
Studio classico di Binder. Si studia come avviene la codifica dei suoni nella corteccia temporale,
confrontando codifica di materiale linguistico (inteso come fonemi).
I fonemi sono l’unità distintiva più piccola del linguaggio parlato. Sono dei cluster, cioè dei pattern.
I fonemi vengono percepiti in modo categorico, quindi suoni completamente diversi dal punto di vista
dell’intensità e della frequenza vengono riconosciuti come uguali a se stessi (se più persone pronunciano il
fonema “da”, noi riconosciamo che tutte hanno detto la stessa cosa, anche se il tono e l’intensità erano
diversi). Questo tipo speciale di percezione
categorica si sviluppa con l’apprendimento e
interessa la parte che nell’immagine è
rappresentata in blu.
I toni sono informazioni sull’intensità e
sull’altezza di un suono, fornite mediante
un’onda sinusoidale.
Se io sottraggo il segnale BOLD mentre
ascolto parole > toni, l’unica cosa che si
attiva sono le regioni in blu. Quindi per i
fonemi il solco temporale superiore sembra
essere coinvolto nella codifica dei fonemi
con una certa asimmetria emisferica a
sinistra.
In questo studio vediamo anche toni > noise.
Il noise è una stimolazione caotica, casuale, non strutturata, che il cervello non ama.
Toni > noise è la parte colorata in rosso. I toni vanno a interessare la parte blu posteriore del giro temporale
superiore.
L’aspetto lessicale è in azzurro, nel solco temporale superiore, a metà strada tra la regione che codifica i
fonemi e quella che codifica il noise.
PERCEZIONE VISIVA:
La parte esterna dell’occhio è la cornea, che è la continuazione della sclera e si presenta come una
membrana trasparente, in quanto deve lasciar passare i raggi luminosi che sono lo stimolo sensoriale. La
cornea è dotata di un’altissima densità di nocice