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CAP. V
L’ideale di Umanità ha vissuto un processo diviso in due atti:
-rinascimento + illuminismo occidentale formazione di un ideale di vita di tendenza
realistica/materialistica;
-idealismo.
Goethe con le sue opere ripercorre le varie tappe dal punto di vista del soggettivismo. L’ideale
tedesco di Umanità si libera dalle finalità materialistiche ponendo all’uomo come scopo della sua
vita la formazione del proprio io. Tuttavia la problematica che l’umanesimo non è riuscito a
risolvere è quella di dare una soluzione puramente umana alla vita dell’uomo. In pratica si sentiva la
mancanza dell’elemento metafisico. Così come l’umanesimo dell’illuminismo aveva trovato come
fondamento l’uomo empirico, il romanticismo con il suo culto dell’assoluto, rifugiò nella
metafisica. Va comunque detto che nel corso del movimento l’elemento divino non andò del tutto
dimenticato ma prese piede come deismo, ovvero una concezione per cui Dio era rilegato in un
luogo senza significato, quasi fosse un vecchio architetto in pensione a cui veniva riconosciuto solo
il merito di aver costruito il mondo. Emblematico fu Kant che nella sua critica alla ragione fornì la
prova che l’esistenza o non-esistenza di Dio non è dimostrabile con il solo ricorso alla logica e che
quindi Dio appartiene ai concetti posti oltre la conoscenza possibile. Dio è quindi per Kant
l’inconoscibile. Questo rapporto di Kant con l’idea di Dio rivela due aspetti: indica il punto di
massima lontananza da Dio mai raggiunto dallo spirito tedesco e dall’altro la svolta verso una
nuova religiosità.
Per i classici tedeschi il mondo vive nel panteismo; in tal modo però al centro della coscienza non si
trova Dio ma il mondo. Così lo stesso Goethe non arriva ad un elemento metafisico ma ad una
concezione della natura non solo matematica ma umanistica, come fosse un punto intermedio tra la
fisica illuminista e la metafisica del romanticismo. Goethe afferma che l’impossibilità di dare una
spiegazione teoretica al fondamento della vita porta l’uomo a rinunciarvi, così facendo riceve la
libertà di dare alla propria vita uno scopo. Per Kant e Goethe quindi il più alto privilegio dell’uomo
è quello di non essere vincolato agli ideali della propria vita da alcun principio ma di tendere al
proprio ideale in virtù di un atto libero, come fosse una “grazia”.
L’uomo sforzandosi per tutta la vita di cercarne il senso, per aver vissuto sempre attivamente per il
sociale, al momento della morte ‘costringe’ Dio a concedergli la grazie della salvezza. Questa
religiosità goethiana è per Korff eroica perché porta l’uomo a credere senza sapere in che cosa.
Tutto questo agire ha un rischio perché l’uomo, provo di supporti metafisici, rischia di vedere le
cose terrestri come assolutamente necessarie, come fossero valori per lui importantissimi. Solo
pochi quindi escono vittoriosi da questa strana religiosità.
A completare l’insicurezza dell’uomo faustiano arriva la filosofia di Fichte. Infatti, se Faust vive
convinto che tutto il suo agire sia più di un ‘gioco’, il filosofo spiega cosa significhi con la sua
metafisica. Il processo faustiano quindi altro non è che un’immagine rimpicciolita del processo
universale il cui interprete è l’Io assoluto universale, quell’Io che vaga senza sosta da un polo
all’altro (creazione-formazione). Questo processo ha per fondamento la volontà dell’Io assoluto che
deve agire solo ponendo per se stesso, nel mondo materiale, un oggetto attraverso cui da prova della
sua forza formativa. Il mondo è la determinazione dell’Io assoluto e l’essenza di questo Io sta nel
superare la determinazione che di volta in volta gli viene data. Non è più Dio ad agire nell’uomo ma
l’Io assoluto.
La metafisica fichtiana dell’Io era la filosofia di nature eroiche davanti cui ogni natura più debole
doveva crollare. Il singolo così poteva sentirsi parte del grande processo universale che conferiva
alla sua vita un più profondo significato. Così però l’uomo debole si trovò ad indietreggiare di
fronte a tale soggettivismo divenuto megalomania (l’uomo così solitario si sentiva un astro solare
eternamente splendente e per questo provava nostalgia per l’oscurità della notte: ecco l’evoluzione
dell’anima di Holderlin). Questa visione angosciosa fu quindi felicemente accantonata quando alla
filosofia di Fichte si affiancò quella di Schelling. Con Schelling nasce il filosofo della natura che
interpreta la natura non come ostacolo che l’Io crea per sé ma come l’Io in divenire (cioè il sistema
delle varie fasi già superate dell’Io nel processo dialettico). La natura è l’Io universale che si misura
con la coscienza la quale è un ‘Io’ accogliente.
La natura diventa la ragione inconscia. La natura appare animata, similmente a quanto presagito
poeticamente da Goethe. Korff ci fa notare che fra la natura e l’uomo esistono migliaia di analogie
che il filosofo può costruire ma che il poeta coglie in modo intuitivo; viene ad aprirsi l’orizzonte
della poesia del sentimento mistico-romantico della natura che inizia con Tieck per raggiungere
l’acme con Eichendorff. Quando dalla metafisica assolutista, tramite Fichte e Schiller si arrivò a
quella religiosa del romanticismo, svanì il sogno dell’umanesimo poiché venne a farsi misura di
tutte le cose Dio, non più l’uomo.
Per spiegare il concetto di Umanità del Romanticismo si fa riferimento a Novalis, il quale
nell’incompiuto “Enrico di Ofterdingen” riprende l’eroe goethiano del Wilhelm Meister per
mostrare come la vera umanità si compia nel poeta e non come l’uomo puro sia superiore a
un’artisticità non pura. Infatti il pilastro del romanticismo era vedere il poeta come l’uomo puro, il
veggente che penetra con lo sguardo le realtà di questo mondo e le interpreta come esse sono (cioè
simboli di una realtà superiore). È un uomo puro perché si è liberato dall’inganno del mondo dei
fenomeni ed intravede il significato soprasensibile dietro la superficie. Per il movimento romantico
la vera umanità sta nella maturazione dello spirito al di là della pura e semplice umanità.
Korff ci evidenzia che ogni umanesimo possiede la sua forma propria di romanticismo: la mistica
romantica dell’Umanità tedesca ha in comune con il romanticismo del peccato originale e della
redenzione il fatto che essa sia un’espressione del bisogno metafisico dell’uomo. Umanesimo e
romanticismo sono pertanto inseparabili tra loro.
LA POESIA DELLO STURM UND DRANG NEL CONTESTO DELLA STORIA DELLO
SPIRITO
L’illuminismo indica la condizione storico-spirituale in cui versava la cultura tedesca nel periodo
che va dal 1700 al 1770 e, in senso più generale, è il principio su cui riposa lo sviluppo della cultura
europea a partire dalla fine del Medioevo. L’illuminismo rappresenta la conoscenza del diritto
originario e fondamentale di ogni uomo all’autodeterminazione, è la conoscenza del diritto alla
libertà della personalità. Tale conoscenza ha il carattere di un’illuminazione progressiva. La cultura
medievale non ha coscienza di questo diritto e si basa su un diritto fondamentale di carattere
opposto ovvero sulla superiorità delle potenze sovra individuali (Chiesa, Impero, il ceto, la
corporazione…).il singolo viene preso in considerazione dal medioevo solo in quanto membro di un
tutto. Tale superiorità naturalmente intesa cessa di essere sentita come tale e prende piede la
consapevolezza che ciò che è voluto da Dio è l’autodeterminazione del singolo e non la sua
derivazione dalle istituzioni. L’illuminismo rappresenta quindi la distruzione dell’idea medievale
mediante l’idea per cui l’uomo è sovrano in riferimento a ciò che egli crede, pensa e compie.
L’illuminismo si palesa in forme diverse riferendosi a diversi ambiti della vita: fede, pensiero,
politica…
In ambito religioso, esso assume l’enunciato di ‘libertà di fede’. In precedenza, prima quindi della
Riforma, vigeva il cuius regio eius religio (il popolo doveva credere in ciò in cui credeva il re
trattato di Augusta). La tolleranza nei confronti della religione altrui si fonda sul riconoscimento da
parte dell’illuminismo che le dottrine di ogni chiesa non devono esigere il rango di verità oggettive
ma sono solo essere ‘credute’. Va comunque ricordato che tale grido alla libertà di fede si basa sulla
nascita di una nuova fede.
Tra cristianesimo, filosofia greca e scienza della natura, vi è una connessione possibile solo se lo
spirito creatore mette in risalto gli elementi affini e separa quelli contrastanti. Tale processo si
compie tra il 1500 e il 1800. Il rapporto che le lega tra loro può essere così caratterizzato: la visione
moderna del mondo ha un fondamento scientifico-naturale, un metodo filosofico e una ragione
ultima, anzi una tendenza religiosa. La formazione di questa visione del mondo si compie secondo
tre prospettive:
-nella storia dello sviluppo della moderna scienza della natura
-nella relativizzazione della conoscenza
-nella trasformazione del cristianesimo dogmatico in una forma di libera religiosità.
Tre componenti che si uniscono e mescolano tra loro. Il carattere scientifico si esplica nel fatto che
tale visione del mondo non provenga da Dio ma dalla natura. La filosofia però pone dei limiti a
questa conoscenza naturale così come li pone alla pretesa di conoscenza da parte dell’uomo.
La scienza della natura non ha la pretesa di porsi a detentrice unica di verità perché non ci è lecito
andare oltre la natura. Non potendo andare oltre, ci affidiamo alle capacità della fantasia con cui
impieghiamo le esperienze immediate della vita. Tale visione del mondo è caratterizzato quindi
dall’immanenza, dal naturalismo. Alla fuga medievale dal mondo si contrappone la passione nei
confronti del mondo illuminista.
L’illuminismo di dispiega fra due antipodi: l’ottimismo di Leibniz e il pessimismo di Schopenhauer.
Per quanto riguarda l’aspetto politico e sociale dell’illuminismo esso si fonda sul diritto
all’autodeterminazione del singolo. La differenza tra l’idea politica dello stato feudale medievale e
quella dello stato illuminista si spiega considerando il fatto che l’idea fondamentale che costituisce
lo stato moderno è il diritt