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SENTENZE DI ACCOGLIMENTO PURE E PARZIALI

Con la sentenza di accoglimento la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale

della disposizione impugnata. L’art. 136.1 afferma che, dopo la

dichiarazione di illegittimità, la norma cessa di avere efficacia dal giorno

successivo alla pubblicazione della decisione. Gli effetti della sentenza di

accoglimento non riguardano quindi solo i rapporti che sorgono in futuro, ma

anche quelli sorti in passato che non si sono ancora esauriti.

La sentenza di accoglimento parziale è quella in cui l’illegittimità non è

dichiarata nei confronti di tutta la norma impugnata, ma solo verso una parte

del suo testo, mentre le disposizioni non illegittime rimangono in piedi.

SENTENZA ADDITIVE E SOSTITUTIVE

Le sentenze additive sono le decisioni in cui la Corte dichiara illegittima la

disposizione nella “parte in cui non” prevede ci che invece dovrebbe

necessariamente prevedere in conformità alla Costituzione. La addizione

dunque è una norma omessa dal legislatore ed è enunciata nel dispositivo

della sentenza, e quindi apparirà come la norma aggiunta dalla Corte (la

norma può essere anche molto articolata e puntuale). Le sentenze sostitutive

sono invece le decisioni con cui la Corte dichiara illegittima una disposizione

legislativa nella “parte in cui prevede X anziché Y”. La Corte sostituisce una

locuzione della disposizione incompatibile con la Costituzione con un’altra

costituzionalmente corretta. Con le sentenze additive e sostitutive la Corte

sostituisce il legislatore, senza usurparne il potere, ma per ridurre al minimo

l’effetto ablativo conseguente alla pronuncia di costituzionalità.

I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA I POTERI DELLO STATO

Questi conflitti sono lo strumento con cui un potere dello Stato può agire

davanti alla Corte per difendere le proprie attribuzioni costituzionali

compromesse dal comportamento di un altro potere dello Stato. In questo

modo vengono trasformati in “giuridici” conflitti che un tempo sono sempre

stati “politici”.

Il conflitto può sorgere sia da un atto di “usurpazione” di potere, con cui un

organo svolge un’attribuzione spettante all’organo di un altro potere, sia dal

comportamento di un organo che intralci l’esercizio di competenze altrui (il

secondo caso è molto più frequente). Un esempio del secondo dato può

essere dato dalla situazione in cui un giudice penale ricorre contro la Camera

perché questa ritarda di pronunciarsi sulla sua richiesta di arrestare un

deputato: egli non contesta le attribuzioni della Camera(assegnate dall’art.

68.2), ma denuncia un abuso delle funzioni della Camera, che impedisce al

giudice di svolgere la sua funzione. Va sottolineato che il conflitto di

attribuzione è legittimo solo in casi in cui non ci siano altri rimedi: nel caso

degli atti legislativi, ad esempio, si ricorre sempre al giudizio di legittimità

costituzionale.! Il giudizio viene introdotto dal ricorso presentato dalla parte

lesa alla Corte costituzionale; il ricorrente deve motivare le ragioni del

conflitto e l’indicare le norme costituzionali che regolano la materia. Non vi

sono termini di decadenza del conflitto e neppure termini entro i quali debba

essere convocata la camera di consiglio. La Corte decide in primis

sull’ammissibilità del conflitto, decidendo se il conflitto dispone

dei presupposti soggettivi (che si tratti di poteri dello Stato) e oggettivi (che

siano in discussione attribuzioni costituzionali). Se il ricorrente rinuncia

al ricorso la Corte dichiara estinto il processo; se le parti mantengono

comportamenti che lasciano intendere il superamento del conflitto, allora la

Corte dichiara cessata la materia del conflitto.!

La sentenza che chiude il conflitto stabilisce a chi spetta la competenza.

Questa sentenza è inter partes, quindi vale solo per le parti in conflitto;

l’annullamento della spettanza dell’attribuzione pu essere per

accompagnato dall’annullamento degli atti emanati dall’organo incompetente,

e quindi, essendo un annullamento, vale erga omnes.

I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE TRA STATO E RAGIONI

Questi conflitti sono lo strumento con cui vengono regolate le controversie

tra enti diversi (Stato e Regione/i). L’atto di qualsiasi organo dello Stato o

della Regione può provocare il conflitto (esclusi gli atti legislativi): si tratta per

lo più di atti amministrativi e atti giurisdizionali. Il conflitti sorgono quando la

lesione della competenza sia concreta e attuale: il motivo dell’impugnazione

dell’atto è tuttavia sempre legato alla menomazione della competenza. La

violazione può derivare sia dall’invasione della sfera di attribuzioni sia

dall’interferenza nell’esercizio delle attribuzioni dell’ente.! In un sistema di

grande confusione e sovrapposizione di attribuzioni come quello italiano, non

sono rari i casi di procedimenti decisionali misti tra Stato e Regioni. Sono

molteplici quindi i possibili conflitti di attribuzione tra gli enti. La Corte si può

adire solo dove sia dimostrabile la lesione delle attribuzioni regionali o statali

da parte di un atto viziato adottato dallo Stato o dalla/e Regione/i.

Il conflitto è introdotto da un ricorso: il ricorrente deve dimostrare di aver

subito una lesione concreta e attuale della sua competenza. Nel caso in cui

l’interesse del ricorrente venga meno, la Corte dichiara cessata la materia del

contendere. Il giudizio dev’essere proposto dal Presidente della Giunta per la

Regione e dal Presidente del Consiglio per lo Stato entro 60 giorni dalla

pubblicazione dell’atto. La sentenza della Corte dichiara a chi spetta la

competenza ed eventualmente annulla l’atto che ha generato il conflitto. Può

accadere che la sentenza fissi anche vere e proprie regole di esercizio della

competenza in vista del futuro. La sentenza, se l’atto non è annullato, ha

efficacia solo per le parti in giudizio; tuttavia, se essa è favorevole alla

Regione, le altre Regioni beneficiano della sentenza, potendo espandere le

loro attribuzioni; se la decisione è favorevole allo Stato, le altre Regioni

subiscono l’effetto giuridico della decisione.

IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITA’ DEL REFERENDUM

Il giudizio di ammissibilità è introdotto con l’ordinanza dell’Ufficio centrale per

il referendum che dichiara la legittimità della richiesta di referendum. L’art.

75.2 ha previsto alcuni casi in cui è escluso il referendum:

• Leggi tributarie

• Leggi di bilancio

• Leggi di amnistia e indulto

• Leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali

Ulteriori motivi di inammissibilità riguardano i referendum riguardanti:

• La Costituzione e le leggi costituzionali (comprese le leggi rinforzate e le

leggi a contenuti costituzionalmente vincolato);

• Tutte le leggi che attengono alla manovra finanziaria;

Sono infine inammissibili i referendum il cui quesito non abbia una matrice

unitaria, e quindi non sia omogeneo.

LA GIUSTIZIA POLITICA

L’art. 134 prevede che la Corte possa essere attivata per giudicare dei reati

di alto tradimento e di attentato alla Costituzione del

Presidente della Repubblica. Quest’ultimo è messo in stato di accusa dal

Parlamento in seduta comune dopo una votazione a maggioranza assoluta e

giudicato dalla Corte in composizione integrata da 16 membri tratti a sorte tra

i cittadini aventi i requisiti per essere eletti senatori. Essendo atti atipici, quindi

non previsti da nessun codice, per questi reati è molto complessa la

disciplina: vanno considerati attentati alla Costituzione solo fatti caratterizzati

dal dolo specifico (quindi dalla consapevolezza del danno). Questi due crimini

potrebbero anche essere visti come uno solo, dal momento che un attentato

alla Costituzione dev’essere per forza un alto tradimento (e non ci si

immagina casi di alto tradimento diversi da un attentato alla Costituzione).

La procedura si svolge inizialmente di fronte al Parlamento, con la messa in

stato d’accusa. L’accusa può essere giudicata infondata dal Comitato che

indaga sui reati e quindi archiviata. La seconda fase si apre davanti alla Corte

costituzionale che conclude il processo con una sentenza.! La modifica

dell’art. 96 ha investito la magistratura ordinaria della competenza a giudicare

i reati ministeriali anche se con la previa autorizzazione della Camera di

appartenenza.! L’autorizzazione può essere negata solo a maggioranza

assoluta e se l’inquisito ha agito nell’interesse costituzionale dello

Stato.Viene istituito uno specifico tribunale dei ministri competente a svolgere

le indagini. Dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale del lodo Alfano,

ciascun membro del Governo che commetta reati incorri in responsabilità pari

a qualsiasi cittadino.

XIII: DIRITTI E LIBERTA’ IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA

L’art. 3 enuncia il principio di eguaglianza nei suoi due commi. Nel primo

comma esprime il principio di eguaglianza formale, nel secondo il principio di

eguaglianza sostanziale.

• Il principio di eguaglianza formale prescrive che si devono trattare in modo

eguale situazioni eguali e in modo diverso situazioni diverse (quindi pari

dignità sociale ed eguaglianza giuridica dei cittadini). Esso è enunciato come

formula astratta. Questa prescrizione vieta al legislatore di creare privilegi o

discriminazioni ingiustificate.

• Il nucleo forte del principio di eguaglianza vieta distinzioni di sesso, di

razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni sociali. Il

divieto è in realtà relativo al fatto che il legislatore possa fare di queste

distinzioni motivo di discriminazione nel godimento dei diritti e delle libertà.

• Il principio di eguaglianza sostanziale punta a rimuovere gli ostacoli di

ordine economico e sociale che impediscono l’eguale godimento dei diritti. Il

principio di eguaglianza sostanziale sempre promettere leggi che tendano a

provvedere alle singole situazioni di svantaggio, andando a confliggere con il

principio formale che sembra invece promettere leggi generali e astratte.

Questo apparente contrasto tra i due principi è ritenuto l’emblema del

contrasto tra Stato liberale, basato sull’eguaglianza formale degli individui, e

lo Stato sociale, rivolto all’eguaglianza sostanziale. Tuttavia i due principi si

limitano ma si completano anche a vicenda: il principio sostanziale evita un

eccesso di rigore dell’eguaglianza formale, ma il principio formale evita la c.d.

“reverse discrimination”, ovvero la discriminazione all&r

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A.A. 2014-2015
91 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/08 Diritto costituzionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher eleonora.ocleppo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto costituzionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Grosso Enrico.