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RISPOSTE

Capitolo 1 sono cinque:

1) Le attività logistiche

I. che spostano in senso spaziale una merce laddove è richiesta,

trasporto e movimentazione,

generando place utility; si differenziano per il fatto che mentre nel trasporto lo spostamento avviene

fra due strutture diverse distanti l’una dall’altra, nella movimentazione lo spostamento avviene

all’interno dello stesso stabile;

II. che riguarda la struttura del magazzino, interessato da flussi in entrata e in uscita

stoccaggio merci,

di merci, la cui funzione è proprio legato allo sfasamento temporale e quali-quantitivo di tali flussi nel

breve-medio periodo, generando un valore aggiunto di time utility;

III. con la definizione dei livelli di inventory (scorte di ciclo, di sicurezza,

gestione delle scorte,

speculative e strategiche) e dei relativi costi (di mantenimento a scorta, di stock out, di ordinazione e

di controllo giacenze), per generare cost utility;

IV. che si dividono in processi a ciclo obbligato e a ciclo non obbligato

processi di fabbricazione,

(fabbricazione/montaggio), su cui la logistica agisce in modo differente, generando product utility;

V. con raccolta, analisi ed elaborazioni di tutti i dati legati al flusso fisico

gestione delle informazioni,

del materiale lungo i processi dell’azienda.

2) Secondo il modello di Stevens il sistema delle aziende (fornitori-acquisti-produzione-vendite-clienti) ha

attraversato tre fasi: quella di completa indipendenza (anche tra le funzioni interne dell’azienda), quella di

integrazione interna (acq-prd-vend) e quella di integrazione esterna. L’integrazione interna ha permesso di

superare la competizione fra funzioni aziendali alla ricerca dell’ottimo locale a discapito dell’altre, con

ripercussioni negative sull’azienda, ed è prerequisito fondamentale per l’integrazione esterna. Con

quest’ultima si è definita la supply chain e si è superata l’idea di aver come obiettivo l’ottimo locale di ogni

singola azienda ponendosi piuttosto l’ottimo globale di tutto il sistema, composto da almeno 1 fornitore, 1

azienda e 1 cliente (simple supply chain). L’evoluzione del sistema ha portato la possibilità della presenza di

più livelli di fornitura e di clientela (extended supply chain) e di più attori sullo stesso livello (supply

network). A questi si sono aggiunti altri attori come soggetti terzi (subcontractor) e di supporto (market

research firm, 3pl provider service, financial service), che possono partecipare a più supply chain con ruoli

anche diversi in ognuna. Nel caso della presenza di flussi reverse, si può parlare di closed-loop supply chain.

Capitolo 2

1) Le di un sistema di trasporto si dividono in due categorie:

variabili di scelta

le variabili di scelta facenti capo alla domanda, che sono:

1. categoria merceologica (densità (voluminosa/pesante), pericolosità, stato, valore, imballaggio,

deperibilità);

2. fattori di servizio richiesti (tempo, affidabilità, monitoraggio (tracking), costi compatibili);

3. tipologie di spedizione e carico (FTL trasporto primario, LTL trasporto secondario);

4. distanza e le relazioni fra origine e destinazione (distanza effettiva, caratteristiche geografiche

percorso, caratteristiche infrastruttura, eventuali scambi modali);

5. modalità di resa della merce (4 categorie: E (Franco fabbrica), F, C, D (Franco destino);

le variabili di scelta facenti capo all’offerta, che sono:

1. i sistemi di trasporto disponibili sul mercato;

2. la titolarità dei mezzi di trasporto (conto proprio, conto terzi) criteri di scelta (affidabilità, servizi

aggiuntivi, core business, distanze);

3. gli operatori di trasporto (autotrasportatori, spedizionieri, corrieri/corrieri express, megacarriers

(operatori intermodali, operatori logistici) criteri di scelta (costi, possibilità negoziazione tariffa,

solidità economica, tempi, qualità e servizi forniti (accuratezza, regolarità, puntualità, equipaggiamenti

speciali, tracking, flessibilità, qualità personale), possibilità interfaccia unico operatore).

2) La della merce è una delle caratteristiche che definiscono la categorie merceologica. Se essa è

densità

maggiore della densità del mezzo (ottenuto dividendo la sua portata max per il volume utilizzabile) allora si

è in presenza di una merce pesante, in caso contrario di una merce voluminosa. Una merce pesante

saturerà il mezzo prima in peso mentre una voluminosa prima in volume.

si dividono in tre categorie:

3) Le risorse del trasporto stradale

1. classificabili per peso/dimensioni (autocarro, trattore e veicolo combinato

veicoli,

[autoarticolato/autotreno]); per destinazione d’uso (distribuzione locale/trasporto su medio-lunghe

distanza) e per tipo di allestimento (coibentati, refrigerati, autocisterne ecc.);

2. divisi in infrastrutture di rete (strade/autostrade) e di nodo (distinzione funzionale:

infrastrutture,

magazzini/transit point; distinzione per proprietà: singola/condivisa);

3. distinti in autotrasportatori, spedizionieri, medi-grandi trasportatori, corrieri/corrieri express,

operatori,

megacarriers (operatori intermodali/operatori logistici).

4) Le strutture del trasporto intermodale sono le seguenti:

1. strutture molto complessi e di grandi dimensioni, costituite da un insieme di attori aventi a

interporti,

che fare col trasporto merci (dogane, trasportatori ecc.) e con i relativi servizi ausiliari (deposito,

manutenzione ecc.). Per essere definiti tale devono comprendere almeno un terminal. Il loro scopo è

fornire una soluzione razionale ai problemi, statici e dinamici, legati ai sistemi di trasporto.

2. struttura adibita al cambio di modalità, dotata di binari e piazzali attrezzati per il trasbordo

terminal,

delle merci. Sono dotati di aree di stoccaggio all’aperto (no magazzini). Si dividono in terrestri, inland

terminal, e marini, container terminal;

3. svolgono grossomodo le funzioni dell’interporto senza scambio intermodale, favorendo il

autoporti,

trasbordo di merci fra mezzi di piccole dimensioni e mezzi di grandi dimensioni. Posseggono aree

dedicate allo stoccaggio e aree per i servizi e la sosta degli operatori;

4. sono le strutture di raccordo fra l’industria e il sistema distributivo, sono legati e vicini

distripark,

all’azienda, predisposte a trasporto e logistica;

5. struttura di minori dimensioni analoga all’interporto, che può non presentare un

centro merci,

terminal, adibita a consolidamento, deconsolidamento e magazzinaggio.

5) Le UTI, sono le unità di carico del trasporto intermodale, durante il quale

unità di trasporto intermodale,

non subiscono rotture o modifiche ma restano integre. Se individuano tre:

1. i analoghi a quelli stradali, vengono utilizzati per lo scambio modale da gomma a ferro:

semirimorchi,

una volta sganciati dal proprio trattore possono venire messi su rotaia agganciati ad appositi carrelli

speciali e formare dei treni completi, non necessitando così di mezzi particolare e denotando

flessibilità; di contro sono piuttosto costosi e hanno un rapporto tara/carico svantaggioso;

alternativamente possono essere caricati assieme al trattore direttamente sul treno, formando così

“autostrade viaggianti”, per poter aggirare le limitazioni di alcuni Paesi, resta la tara elevata e

l’inoperatività per lunghi periodi di mezzo e operatore;

2. le o swap body, nate espressamente per intermodalità, sono simili ai container ma

casse mobili,

sviluppate per trasporto terrestre. Sono dotate di 4 piedi oleodinamici retrattili per l’appoggio a terra,

sono flessibili e leggere e ottimali per il carico di pallet (stesse dimensioni e portata dei semirimorchi),

tuttavia non sono sovrapponibili ed hanno un costo elevato;

3. i nati per trasporto marittimo, presentano due diverse tipologie standard, distinte in base

container,

alla lunghezza: 20’ e 40’ (piedi). Per tale motivo si è stabilita una unità di misura, il TEU, twenty feet

equivalent unit, che identifica un carico equivalente ad un container di 20 piedi, allo scopo di

quantificare il carico di container. Tuttavia non sono particolarmente adatti al trasporto di pallet, dato

che hanno una larghezza (8’) tale da non ottimizzarne il carico, infatti i container da 20’ possono

contenere al max 10-11 pallet, quelli da 40’, 22 pallet. A tale scopo è stato ideato, sebbene poco

diffuso, il container “pallet wide”, più largo, in grado di contenere fino a 30 a pallet. I container sono

sovrapponibili e leggeri, si distinguono per i diversi materiali e i diversi allestimenti (box, tank, reefer,

open top).

6) Il flowchart relativo alla è il seguente:

progettazione di un interporto

Calcolo del volume di merci destinato al trasporto [t/anno]

1 intermodale [udc/gg] ricavabili dalle t annue e dal

2 Calcolo del numero di unità di carico movimentate peso medio delle udc

[treni/gg] ricavate dalle udc/gg e

3 Calcolo del numero di treni dalle udc/treno

calcolati dal numero di treni,

4 Calcolo del numero di binari necessari tenendo conto dei tempi

5 Verifiche dimensionali spazi necessari/spazi disponibili

in base al tempo necessario e a

6 Dimensionamento delle attrezzature quello disponibile

in base al tempo di sosta delle udc

7 Dimensionamento del piazzale nel terminal

8 Verifiche dimensionali

Il calcolo del volume di merci destinato allo shift intermodale (di solito il 5-10%) si fa tramite lo studio di 3

fattori determinanti: distanza origine-destinazione, tempi fra interporti e rispettivamente origine e

destinazione, adeguatezza della merce all’intermodalità. Questi fattori sono quantificati da alcune

grandezze (distanza di indifferenza, distanza data una percentuale, tempi massimo e minimo short leg) e da

3 coefficienti, i quali, moltiplicati per appositi pesi, producono l’indice di adeguatezza AI, che corrisponde

alla percentuale di merce da destinare allo shift modale.

Capitolo 3

1) Metodo di identificazione per gli imballaggi: si ricorre ad un sistema di identificazione univoco dato da

una sequenza numerica codificata tramite un codice a barra per la lettura ottica. Il termine ombrello che

racchiude tutti gli identificativi è Global Trade Item Number, utilizzato a livello internazionale, che in

GTIN,

Europa corrisponde a EAN, European Article Number. I codici sono dati da UCC, in Italia da INDICOD.

Per l’imballaggio primario si fa distinzione in base al peso dei prodotti:

prodotti a peso fisso, si utilizza codifica così composta

EAN 13,

N1N2 Prefisso EAN nazionale, identifica il Paese di provenienza

N3N4N5N6N7N8N9 Codice produttore, è assegnato da INDICOD

N10N11N12 Codice prodotto, 1000 possibili stringhe a disposizione del produttore

N13

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
12 pagine
3 download
SSD Ingegneria industriale e dell'informazione ING-IND/17 Impianti industriali meccanici

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Santa92 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Logistica industriale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Parma o del prof Bottani Laura.