Riassunto esame Storia sociale del Medioevo, prof. Vallerani, libro consigliato Bonifacio VIII, Paravicini Bagliani
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ESTRATTO DOCUMENTO
TESTIMONIANZA 1311 : il cardinale Pietro Colonna racconterà che all’Aquila, nel 1294, Carlo II d’Angiò avrebbe
cercato di persuadere il nuovo papa a destituire B per eresia e avrebbe preso contatti col cardinale Giacomo Colonna per
ottenere l’appoggio suo e quello degli altri cardinali. Ma il papa lo avrebbe sconsigliato “per l’onore della Chiesa e del
cardinalato”.
1294 Celestino V, accompagnato da Carlo II d’Angiò, lasciò l’Aquila per recarsi a Roma, ma il re lo portò subito a
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Napoli, dove tenne sotto controllo la curia. L’ingerenza del re negli affari del papato dovette apparire allora eccessiva a
molti cardinali. B avrebbe rifiutato di seguire il papa a Napoli, continuando a tenersi in disparte dalla curia come aveva
fatto durante la sede vacante. B, secondo Tolomeo da Lucca, “fu l’ultimo (dei cardinali) ad arrivare a Napoli”, e seppe sin
da subito diventare il “signore della curia” e “l’amico del re” perché in grado “di poter molto presso il papa”.
A Napoli Celestino V prese alloggio in Castelnuovo, la residenza del re, che però si dimostrò troppo fastosa per lui che si
fece costruire una celletta di legno. Inoltre, Celestino V era considerato un “uomo ingenuo”, chi lo adulava facilmente
anche lo influenzava e lo imbrogliava, spingendolo a far cose “risibili e sconvenienti alla condizione della Chiesa”.
Stefaneschi ci descrive nel suo poema un papa divorato dai dubbi e oppresso da sensi di colpa, da qui il suo desiderio di
fuggire una responsabilità che non si sentiva più capace di assumersi.
CONSULTAZIONE sempre secondo Stefaneschi Celestino V consultò un amico per sapere se poteva dare le
dimissioni (forse B?) che lo rassicurò (o forse spinse secondo il biografo di Celestino). Poi consultò un secondo cardinale.
Le consultazioni non restarono segrete a lungo e le manifestazioni seguenti costrinsero il papa a rassicurare la folla: a
dicembre il papa tenne un concistoro a Castelnuovo dove giustificò la sua decisione e chiese consiglio ai presenti.
RITUALE Pochi giorni dopo convocò di nuovo i cardinali. Apparve rivestito degli stessi abiti pontifici che aveva
indossato quando era stato consacrato, si assise sul trono e pronunciò una breve allocuzione in volgare. Poi, dopo aver
dato le dimissioni, discese dal trono, si tolse la tiara dal capo e la posò per terra. Si spogliò quindi di ogni altra insegna
pontificale, si recò nella sua camera dove si rivestì dell’abito grigio della propria congregazione, tornò nella grande sala e
sedette sull’ultimo gradino del trono pontificio. Quindi pregò i cardinali di eleggere appena possibile il suo successore e
tornò alla sua camera.
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NOTA : secondo la costituzione di Gregorio X che istituiva il conclave (1274), e che Celestino aveva confermato, i
cardinali dovevano chiudersi nello stesso palazzo ove il papa defunto (o dimissionario) aveva risieduto. Non potevano
comunicare con l’esterno, una sola apertura era consentita per lasciare passare alimenti e bevande, ma se 3 giorni dopo
l’inizio del conclave non fosse stato eletto un nuovo papa, i cardinali avevano diritto a un solo piatto al giorno. Dopo 5
giorni li si riduceva a cibarsi unicamente di pane, vino e acqua.
IL CONCLAVE DURO’ UN SOLO GIORNO ! (venerdì 24 dicembre 1294) Al momento della sua elezione B
ricevette il mantello rosso dalle mani del cardinale Matteo Rosso Orsini. Subito dopo i cardinali baciarono il piede al
nuovo papa in segno di sottomissione. Quindi il papa si affacciò ad una finestra di Castelnuovo mostrandosi al clero ed al
popolo.
Lo stesso giorno Pietro da Morrone (Celestino V) rese visita al nuovo papa e fece atto di sottomissione prosternandosi ai
suoi piedi e abbracciandoli. Lo pregò quindi di permettergli di ritornare al suo antico romitaggio, ma pare che B sia stato
severo, violento, minaccioso e abbia persino “cominciato a spaventare” il vecchio eremita (biografo di Pietro da
Morrone).
Anche Carlo II d’Angiò si recò a visitarlo quel giorno.
FALSE VOCI alcuni giorni più tardi si sparse per Napoli la voce che il papa fosse morto e ciò provocò “una generale
allegrezza nel popolo”.
LA SCELTA DEL NOME in controtendenza con i papi del secolo che scelsero nomi di chi li aveva preceduti da
poco, B sceglie di chiamarsi come un papa del VII sec, Bonifacio IV : il quale aveva chiesto all’Imperatore Foca il
permesso di poter trasformare il Pantheon in chiesa cristiana, e il Pantheon divenne appunto il simbolo della Roma pagana
divenuta cristiana gusto dell’antichità
→ desiderio di porsi simbolicamente al crocevia tra la Roma antica e quella cristiana
riproposizione di uno dei simboli del potere del papa su Roma (il Pantheon o chiesa di S. Maria
Rotonda)
Subito dopo la sua elezione, B tolse al vescovo di Ostia (Ugo Aycelin) l’uso del pallium, in presenza dei cardinali, per
MESSAGGIO DI AUTORITÀ NEI RIGUARDI DEI CARDINALI.
“certi fatti che erano avvenuti”
E’ vero peraltro, che 6 mesi dopo B confermò al cardinale ed alla sua famiglia tutti i benefici ricevuti da Celestino V.
IL SOGGIORNO NAPOLETANO 3 giorni dopo l’elezione : B revocò tutti i provvedimenti relativi ai benefici che
stavano per divenire vacanti, di tutte le nomine di Celestino V. Annulla anche le concessioni di aspettative di benefici
AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI, Bonifacio VIII
4 AUMENTO DEL PROPRIO
decretate da Niccolò IV e quelle da lui stesse decise durante la sua legazione in Francia
CONTROLLO SULL’APPARATO DELLA CURIA.
Inoltre non ha permesso che si mettesse nulla per iscritto : era una misura prudenziale, che rientrava nel quadro di un
arresto totale della cancelleria in vista di una sua completa riforma.
L’INCORONAZIONE Non essendo che prete, per prima cosa B dovette essere consacrato vescovo da Ugo Aycelin.
Matteo Rosso Orsini, il più vecchio dei cardinali diaconi, gli conferì il pallium che si doveva fissare, secondo cerimoniale,
davanti dietro e a sinistra con 3 spille d’oro, passando sul capo del papa 3 ametiste. Così abbigliato il pontefice doveva
avanzare verso l’altare per celebrare la messa. B ricevette poi l’omaggio delle grandi famiglie romane e di altre
personalità. L’incoronazione ebbe luogo lungo il portico della Basilica di S. Pietro. Stefaneschi ha dedicato 400 versi
all’avvenimento, che egli volle forse ravvicinare ai trionfi degli antichi imperatori. La tiara, “antica insegna dell’Impero”,
era decorata di penne di pavone e una grossa gemma si trovava alla sua sommità, assieme a gemme, rubini balasci,
smeraldi, perle.
Dopo essere stato incoronato, B rientrò al Laterano attraversando a cavallo la città di Roma. Il papa, i cardinali e gli altri
prelati erano tutti rivestiti di bianco e per questo la processione soleva chiamarsi la “bianca cavalcata”. Davanti all’atrio
del Laterano, due dei cardinali più vecchi dovevano accompagnare il nuovo papa al trono di pietra e farvelo sedere “con
onore”. Dopo aver ricevuto dal suo cameriere 3 manciate di monete da lanciare al popolo esclamando “Questo argento e
questo oro non mi sono stati dati per il mio piacere; ciò che ho, te lo darò” il papa doveva sedersi su altri 2 seggi : su
quello di destra il priore del Sancta Sanctorum gli consegnava la ferula (insegna di potere) e le chiavi; su quello di sinistra
veniva cinto di un cordone rosso dal quale gli pendeva una borsa color porpora contenente 12 sigilli di pietra preziosa (=
apostoli e tribù d’Israele) e un po’ di muschio (= “noi siamo il buon odore di Cristo” 2 Cor 2.15-16).
Un banchetto tenutosi nel vasto triclinium del Laterano ornato di mosaici chiuse la cerimonia dell’intronizzazione. Il papa
sedette da solo ad un tavolo con vasi d’oro, servito dai laici nobili presenti, il più importante dei quali doveva portare il
primo piatto in questo caso il re di Napoli e d’Ungheria.
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La festa terminò a notte fonda con un vero e proprio massacro : quando i “Romani” uscirono dal palazzo e cominciarono
a discendere lo scalone, l’agitazione della folla provocò la caduta di un gran numero di persone, di cui 50 tra chierici e
laici perirono schiacciati.
PIETRO DA MORRONE B permise al suo predecessore di lasciare Napoli ancor prima di essere egli stesso in grado
di mettersi in viaggio per Roma. Durante il viaggio verso Roma. Pietro decise che si sarebbe recato nel suo antico
romitaggio di S. Onofrio (Sulmona – Abruzzo) e così fece.
Il papa ne fu informato solo dopo la sua incoronazione, mentre era già in viaggio per Anagni. Incaricò subito l’abate
Angelerio di Montecassino e Teodorico da Orvieto, suo cameriere e stretto collaboratore, di cercarlo. Lo trovarono a
Sulmona nella sua cella e gli ordinarono di ritornare subito dal papa “per non irritarlo”. Pietro insistette nella sua
intenzione di tornare ad una vita eremitica e promise che non avrebbe più rivolto la parola a nessuno, se non ai suoi 2
fratelli del suo ordine che vivevano con lui. Teodorico, fortemente impressionato, acconsentì e tornò a Roma con il suo
compagno per informare il papa. Allora Pietro depose le “vesti preziose che aveva portato con sé” e ogni segno esteriore
della sua vecchia dignità.
Pare però che B inviò un messo a Teodorico con l’ordine di riportare a qualunque costo a Roma il vecchio eremita, ma
costui riuscì a nascondersi nei pressi di Sulmona e attese la partenza del cameriere pontificio per fuggire verso la Puglia.
Lì cercò aiuto per traversare il mare fino alla Grecia, ma dovette attendere migliori condizioni atmosferiche. Quando il
tempo migliorò si imbarcò con i suoi compagni, ma fu costretto dalla tempesta a sbarcare sulla costa nord del Gargano,
nei pressi di Vieste, dove fu arrestato (10 maggio 1295) per essere portato ad Anagni, dove B trascorreva l’estate. Fu
infine condotto a Castel Fumone, non lontano da Anagni, nella 2° metà di agosto, dove fu chiuso nella torre della
fortezza, dato che alcuni cardinali affermavano che “se Pietro fosse ritornato nella sua cella, B non avrebbe potuto essere
papa di diritto”.
A riguardo delle condizioni della sua detenzione le fonti divergono.
Alla sua morte, la prima domenica dopo la Pentecoste 1296, alle sue guardie parve di scorgere una sfera rosso fuoco nel
cielo, che si trasformò poi in una croce d’oro e si fermò per un po’ nel luogo dove era morto.
LA QUESTIONE DELLE DIMISSIONI DEL PAPA fu una polemica molto vivace, che coinvolse i cardinali ma
anche maestri dell’Università di Parigi
PRO 1) il “potere di giurisdizione” di un papa non è della stessa natura del “potere del sacramento dell’ordine” del
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prete e del vescovo e il papa può quindi rinunziarvi; 2) siccome è espressione dell’unità della Chiesa, il potere del papa è
di natura indistruttibile, ma può essere trasferito quando il pontefice muore o cade in manifesta eresia; 3) abdicare è un
atto libero che mira al bene comune della Chiesa quando un papa non si senta all’altezza dei suoi compiti.
CONTRO 1) il papa non ha diritto di rinunziare né al suo incarico, né alla sua dignità, e non può essere sostituito
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mentre è ancora in vita da un’altra persona, perché il rapporto tra il papa e la Chiesa è identico a quello che lega marito e
moglie e dunque, se la Chiesa non può essere la sposa di 2 mariti viventi il papato ha un carattere di irrevocabilità; 2) per
questo, coloro che obbediscono al nuovo papa appartengono alla “sinagoga di Satana”.
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I POVERI EREMITI un gruppo di francescani aveva avuto da Celestino V il permesso di vivere la propria vocazione
in maniera autonoma e radicale e per questo si erano fatti chiamare i Poveri Eremiti del signor Celestino, e dopo la
rinuncia di costui al papato preferirono fuggire l’ira dei fratelli francescani che avevano già tentato di perseguitarli.
Alcuni hanno pensato di vedere in due bolle papali del 1296 l’intenzione di B di perseguitarli : 1) B ordinò ai vescovi e
agli inquisitori di procedere contro tutti quelli che si arrogavano il potere di legare e di sciogliere, ascoltavano
confessioni, assolvevano dai peccati, tenevano riunioni giorno e notte durante le quali parlavano delle loro perversità;
2) descrizione più precisa : il papa ordinava di perseguire dei bizzochi che dovrebbero effettivamente essere considerati
come dei penitenti che vivevano ai margini del mondo francescano.
LA CAPPELLA FUNERARIA Per due anni durante l’estate il papa abitò ad Anagni (da giugno ad ottobre) e poi
prese stanza in Vaticano, nonostante che da secoli la residenza ufficiale del vescovo di Roma fosse il Laterano.
B volle far edificare la sua cappella funeraria nello stesso luogo ove si trovava la tomba di Bonifacio IV, che fece
trasferire sotto il portico della basilica, trattenendo però poche ossa per farle deporre nell’altare della propria cappella
funeraria (!).
La descrizione di tale cappella ci è tramandata solo da Sigfrido di Ballhausen, che sottolinea lo splendore dei marmi e dei
trafori dorati e ci fa sapere che era a forma di baldacchino, sormontato da una cupola ottagonale sostenuta da 4 colonne.
Sopra l’altare di marmo addossato al centro della parete di fondo incombeva il sarcofago di B che, infossato nel muro ed
ampiamente rimaneggiato, occupava quasi completamente la parte inferiore della nicchia. Il sarcofago poggiava su un
basamento decorato da 5 stemmi della famiglia Caetani scolpiti su un nastro di marmo. La lastra originale che lo chiudeva
(oggi scomparsa) serviva a sostenere la statua marmorea del papa giacente. La figura distesa del papa è poi rivestita con i
ricchi paramenti della dignità pontificia. Le cortine marmoree che avvolgono la nicchia di fronte e dai lati, sono tenute
sollevate da 2 angeli, schiacciati contro la parete e visibili quindi solo frontalmente, che testimoniano in qualche modo
che il giacente partecipa già della vita eterna.
La parete di fondo, sopra la nicchia, era ornata da un mosaico forse di Jacopo Torriti. In alto, in mezzo ad un medaglione
v’era la Madonna a mezzo busto col Bambino in braccio e circondata dagli apostoli Pietro e Paolo. Sotto c’era il mistico
“trono vuoto” dell’Apocalisse sormontato da un’alta croce e fiancheggiato da due palme. V’era poi la figura di B in
ginocchio col suo nome, Bonifatius, che tendeva le mani verso la Vergine Maria, mentre s Pietro posava le mani sulle sue
spalle con un gesto di particolare protezione e, soprattutto, di solenne conferma della sua legittimità. B tiene le chiavi di
Pietro nella mano sinistra, diventando così il primo papa a tenere stretto, in una rappresentazione figurativa, questo
venerabile attributo del primo apostolo.
La consacrazione della cappella ebbe luogo domenica 6 maggio 1296, quindi il progetto fu eseguito con sorprendente
rapidità.
Descrivendo la cappella attorno al 1600, il canonico Grimaldi rilevò che il prete “mentre celebrava la messa, era obbligato
a guardare la tomba di B” : insomma quando guardava il giacente egli “vedeva” il defunto come vivente immagine del
Cristo.
SCANDALO il volto del giacente era il ritratto al naturale di una persona ancora vivente.
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Poco dopo la sua incoronazione B inviò due suoi legati in Francia e in Inghilterra perché facessero da mediatori nella
guerra tra i due re e ottenessero una tregua. Ma i due legati decisero di non comunicare alle parti la decisione del papa,
sperando in una tregua spontanea che potesse permettere la ripresa dei negoziati.
LA BOLLA “CLERICIS LAICOS” indirizzata a tutti i principi, podestà, capitani, ufficiali o rettori di città e borghi
proibiva loro di imporre, esigere o ricevere tributi dai chierici
· interdiva loro di impadronirsi dei beni depositati da chiese e persone ecclesiastiche presso enti ed edifici religiosi
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a costo di essere scomunicati (le persone) o interdetti (le città).
Sebbene fosse già pronta, B attese a divulgarla per facilitare il lavoro dei due legati, ma visti che non ottenevano risultati
si decise a divulgarla.
Ma appena Filippo il Bello seppe di tale bolla decise di opporvisi, proibendo ogni rimessa d’oro o d’argento fuori del
regno senza il suo permesso, interdicendo le esportazioni di armi, cavalli da guerra e ogni altro tipo di attrezzatura bellica,
e anche di denaro. B non era però informato delle gravi decisione prese dal sovrano, tantè che scrisse al re di Francia
parlando dei negoziati col re d’Inghilterra, ma anche di un progetto tenuto sino allora segreto e che comportava la
presenza se non del re almeno del fratello, il conte Carlo di Alençon. Solo un mese dopo seppe della reazione di Filippo il
Bello e reagì a sua volta con amarezza e duramente.
All’inizio del 1297 B scrisse una lettera al re di Francia in cui sottolineava la sincera affezione che li legava e protestava
contro le erronee interpretazioni della bolla. In un’altra lettera forniva una doppia assicurazione : quando questi avesse
soddisfatto il papa, questi 1) avrebbe concesso la dispensa pontificia per il matrimonio di uno dei figli cadetti del re con la
figlia del re di Borgogna; 2) il nonno Luigi IX di Francia sarebbe stato iscritto nel catalogo dei santi.
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Intanto venivano promulgate importanti concessioni alla bolla :
veniva permesso agli ufficiali del re di richiedere amichevolmente e ai prelati di accordare individualmente doni e
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prestiti, volontariamente e senza coercizione
non erano proibiti i censo da pagarsi per i beni feudali di investitura regia o per i diritti regi a loro concessi
· la proibizione non riguardava né i chierici che si erano sposati, né coloro che avevano preso gli ordini solo per evitare le
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contribuzioni fiscali.
ACCUSE Pare che i cardinali Simone di Beaulieu e Berardo di Got (deceduti entrambi nel 1297) avrebbero agito,
almeno alla fine, in pieno accordo con il papa. Ma al processo si cercò di dimostrare che Simone sarebbe stato il capofila
dell’opposizione contro B all’inizio del suo pontificato.
ACCUSA : Di notte B si sarebbe introdotto nella cella del vecchio eremita e avrebbe fatto credere a Celestino V,
sussurrando con una specie di cornetta, che sarebbe andato all’Inferno se non avesse dato le dimissioni.
Simone avrebbe poi detto al re di aver sentito lo stesso Carlo II d’Angiò dire che egli avrebbe voluto privare Caetani del
cardinalato, ma che Giacomo Colonna glielo avrebbe impedito.
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SCANDALI nel 1296 la famiglia Caetani fu indebolita dalla morte di Roffredo II (fratello del papa) e del cardinale
Benedetto (suo nipote), ma B fece affidamento su due giovani nipoti grazie a nuove acquisizioni e ad alleanze
matrimoniali che li unirono alla famiglia Aldobrandeschi.
il matrimonio fu celebrato il mercoledì delle quattro Tempora di settembre, giorno di digiuno e astinenza, ma B concesse
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una dispensa generale che fu ricordata anche durante il processo da Pietro Colonna (1311)
nel marzo 1297 B stesso fu eletto senatore a Roma. Il giorno della sua vestizione a cavaliere, Roffredo III non aveva
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esitato “a giostrare coi cavalli” assieme ad altri cavalieri, nel portico della basilica di S. Pietro, profanando le pietre
tombali che vi si trovavano, con grande scandalo dei pellegrini. La cavalcata avrebbe avuto luogo durante una settimana
santa.
IL FURTO DEL TESORO CAETANI venerdì 3 maggio 1297, Stefano Colonna detto “il Vecchio” (fratello del
cardinale Pietro e nipote del cardinale Giacomo) si impadronì di un “tesoro” che Pietro II Caetani, nipote del papa, faceva
condurre da Anagni a Roma e lo condusse a Palestrina, centro dei possedimenti territoriali della sua famiglia.
La reazione di B fu immediata: il giorno dopo fece consegnare ai cardinali Colonna un mandato di comparizione per
forse oggetto di dibattito da tempo.
“sapere se egli è papa o no” →
I cardinali non comparvero di fronte al papa quella sera, ma si fecero scusare col pretesto che “tutta la città era in
agitazione e in armi”. Furono di nuovo citati il giorno dopo, ma questa volta mediante affissione del mandato sulle porte
delle chiese. Ai loro procuratori fu vietato l’accesso al papa e dovettero rassegnarsi ad affidare le loro proteste scritte alle
guardie di palazzo. Lunedì 6 maggio finalmente i Colonna si presentarono dinanzi al papa e ai cardinali. B impose loro tre
condizioni sotto forma di ultimatum : 1) la restituzione del tesoro; 2) la consegna di Stefano; 3) la rimessa nelle sue mani
della città di Palestrina e dei castra di Zagarolo e di Colonna.
L’indomani B in una lettera per l’inquisitore francescano Matteo da Chieti, affermò di aver saputo che parecchi “apostati
di diversi ordini ed altri comunemente chiamati bizochi, non professanti alcuna delle regole approvate” percorrevano i
monti dell’Abruzzo rivestiti “di pelli di pecora” : la lettera, successiva solo di 3 giorni all’inizio del conflitto con i
Colonna, ci porta pensare che B volesse perseguire religiosi che si erano alleati ai Colonna e contestavano la sua
legittimità.
Venerdì 10 maggio B convocò il popolo romano sul sagrato di S. Pietro e pronunziò un discorso memorabile, in cui
paragona il papa al Cristo Giudice di cui è rappresentante in terra. I misfatti dei Colonna, aggiunge, erano antichi. Il furto
perpetuato ai suoi danni “è una ingiuria fatta anche a tutto il popolo romano”. “Che ognuno rifletta: è stata fatta violenza
al papa”, tutti sono coinvolti, tutti sono in pericolo. Coloro i quali aiuteranno i Colonna sono minacciati di scomunica e di
sequestro dei beni, coloro i quali proteggeranno i cardinali Colonna saranno considerati come degli scismatici.
Lo stesso giorno B promulgò una bolla per dichiarare i due cardinali Colonna decaduti dalla loro dignità cardinalizia e
inabili ad ogni incarico ecclesiastico. Sarebbero stati privati della loro dignità e dei loro benefici anche tutti coloro che li
avessero considerati come facenti parte del sacro collegio, interdette le città che avessero dato loro ricetto. Colpiti anche i
discendenti per 4 generazioni, anch’essi privati della dignità ecclesiastica.
IL MANIFESTO DI LUNGHEZZA I cardinali Colonna negheranno di essere stati convocato per il 10 maggio. Il
giorno prima, partiti da Palestrina, si fermarono a Lunghezza (castello a 15 Km da Roma) dove resero pubblico dinanzi ad
un notaio un documento elaborato da tempo dove in 12 punti denunziavano l’illegittimità di B e facevano appello a un
concilio generale il manifesto fu affisso il 10 maggio mattina alle porte di parecchie chiese e deposto sull’altare della
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basilica di S. Pietro.
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L’indomani i Colonna intrapresero la redazione di una seconda memoria, anch’essa affissa alla porta di molte chiese tra
per la prima volta si accusa B di aver causato la morte del suo predecessore.
cui S. Pietro e il Pantheon →
I Colonna cercano chiaramente di impressionare e di commuovere i fedeli, mentre la questione della legittimità, come
tale, non è più discussa poiché mai esistita.
Il 23 maggio B reagì con il pubblico discorso e la promulgazione di una bolla. La festa dell’Ascensione gli permetteva di
celebrare il rito dei “processi generali” contro i ribelli della chiesa. La bolla contiene 1) una sentenza formale di
scomunica e di confisca dei beni dei cardinali, dei loro parenti e partigiani, in più i Colonna sono definiti scismatici; 2)
per la prima volta, B accenna alla questione della sua legittimità : come possono accusarlo proprio loro che avevano
votato per lui!
LA LEGGENDA DELL’ASSASSINIO DI PIETRO DA MORRONE rinchiudendo Pietro in una prigione
“durissima”, iniqua ed ingiusta, B lo avrebbe dunque “fatto miserabilmente morire in questa stessa prigione di morte
crudelissima”. Questa accusa fu ripresa più volte nel corso degli anni. Pietro Colonna nel 1306 aggiungerà che Pietro
sarebbe stato ucciso con un colpo al cranio dal cameriere del papa Teodorico da Orvieto. Ma nessuno aveva esaminato
l’interno della bara e l’accusa dei Colonna si fondava su una diffusa voce popolare.
Non dimentichiamo che questa è l’epoca in cui il corpo di Pietro fu mutilato per permettere a Filippo il Bello di dotare
con le reliquie del santo due abbazie francesi presso Orléans e Bruges sarebbe stato operato allora un buco nel cranio
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per mezzo di un chiodo, di cui il re avrebbe poi approfittato per avanzare la tesi dell’assassinio.
LA TERZA MEMORIA DEI COLONNA è una vera e propria requisitoria “contro il governo tirannico e ingordo di
B”. E’ di nuovo accusato 1) di aver fatto morire Pietro da Morrone nella prigione di Castel Fumone; 2) di aver iniziato a
combatterli perché dubitava della propria legittimità; 3) di aver indotto (sedotto) Celestino V a dare le dimissioni.
Non ci sono testimonianze che possano avvalorare tali accuse, solo una leggenda per la quale sarebbe stata una voce dal
cielo a convincere Celestino V a dare le dimissioni, ma la voce sarebbe stata quella di B che parlava con una sorta di
canna o cornetta da un foro nella parete.
LA DIFESA DI B B non tardò a organizzare la sua difesa, chiedendo a uno dei più grandi teologi del tempo, Egidio
Romano, di scrivere un trattato sulla legittimità delle dimissioni di Celestino V. Egidio discute minuziosamente i 12 punti
della seconda memoria dei Colonna, riprendendo i termini già usati da Pietro di Giovanni Olivi (si può rinunciare alla
giurisdizione, ma non ci si può sciogliere dall’ordine sacerdotale).
Anche un cardinale creato da Celestino V, Niccolò di Nonancourt, partecipò appassionatamente alla difesa di B, con un
sermone tenuto a Orvieto l’8 dicembre, festa della Natività della Vergine, in cui fece parlare lo stesso papa per difendersi.
IL RAPPORTO TRA PAPA E CARDINALI B ne parlò alla fine del suo primo grande discorso contro i Colonna :
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“alcuni potrebbero sostenere che i cardinali non hanno alcuno “stato””, “essi ne hanno e non ne hanno uno” la loro
funzione consiste nell’eleggere canonicamente il Vicario di Cristo “che è superiore a tutti nella pienezza del potere e che
può legare e sciogliere” come Cristo.
LA CAMPAGNA CONTRO I COLONNA Nel mese di giugno 1297 B fece appello alle città guelfe dell’Italia
centrale, a luglio affidò ai domenicani e ai francescani poteri inquisitoriali contro i Colonna. Il 21 luglio , annunciò la
caduta del castello di Colonna e dichiarò che non avrebbe mai dovuto essere ricostruito. Inoltre durante lo smantellamento
fu trovata un’iscrizione che celebrava la gloria dei Colonna e che fu modificata per sottolineare la fine umiliante del
castello “il cui suolo si può arare con un bove muto”. Anche alcuni edifici, torri, palazzi e mura in Roma furono distrutti,
così come Montecitorio e Acri.
A settembre un senatore di Roma, Pandolfo Lavarelli, tentò una mediazione tra B e i Colonna. I Colonna accettarono
sotto condizione di essere ricevuti dal papa, che accettò di riceverli ma che fece chiaramente intendere che non avrebbe
rinunciato al sequestro dei loro beni.
A novembre il papa rientrò da Orvieto e pronunciò di nuovo la condanna contro i Colonna, che avevano ricevuto due
nemici dichiarati del papa e mantenevano rapporti con gli ambasciatori di Federico d’Aragona in vista
dell’organizzazione di una rivolta. Un nuovo tentativo di mediazione non fu coronato da successo e B promulgò altre
sanzioni permanenti : scomunica di chiunque avesse considerato Giacomo e Pietro Colonna come cardinali, o avesse
permesso loro di recuperare la dignità cardinalizia; promulgazione di una vera e propria crociata contro i suoi nemici e
Palestrina, capoluogo dei loro possedimenti. Pare che l’assedio durò sei mesi circa, poi il castrum cadde, fu raso al suolo e
B in una bolla proibì per sempre la sua ricostruzione.
Quando Palestrina, capoluogo dei possedimenti colonnesi, fu nelle mani di B (1299), egli manifestò tutto il suo odio:
come i romani a Cartagine, fece passare l’aratro e spargere sale “perché non vi resti più nulla, nemmeno la qualifica o il
nome di città”. Per rimpiazzarla fece costruire una nuova città nella pianura sottostante e ordinò di erigere nella sua nuova
cattedrale un altare in onore di Bonifacio IV. Ma questo centro è definito “in rovina” già nel 1300 in una lettera di B.
La sottomissione dei Colonna fu preceduta da lunghe trattative. Nell’autunno 1298 a Rieti, i Colonna si presentarono
dinanzi al papa in abiti da lutto, con la testa scoperta, senza calzature e con le corde al collo, dopo aver attraversato la città
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a piedi. Si gettarono ai piedi del papa, abbracciandoli devotamente, chiedendo compassione e perdono, riconoscendolo
pubblicamente quale “vero papa, cattolico e legittimo” e confessando i loro delitti. I cardinali Colonna rimisero i loro
sigilli nelle mani del papa, che li fece spezzare e conservare in pezzi. Venne assegnato loro come soggiorno obbligato
Tivoli finché B non avesse deciso del loro destino, pur continuando in sostanza la persecuzione contro di loro.
Verso la fine di giugno 1299 i Colonna fuggirono dal loro soggiorno obbligato a Tivoli mentre il papa era ad Anagni. La
prima reazione conosciuta di B è però di ottobre: ordinò ai Colonna di comparire dinanzi a lui prima della festa di S.
Martino (11 novembre) sotto pena di nuova scomunica. Erano comunque privati di ogni ordine minore, mentre era
confermata e rafforzata ogni vecchia sanzione. Fece affiggere il decreto ad Anagni, a Roma, a Ravenna e a Faenza. Dato
che non si presentarono, il 20 novembre B si recò nella basilica di S. Pietro per rinnovare alla città e ai comuni l’ordine di
catturare “gli scismatici”.
La fuga da Tivoli provocò la dispersione della famiglia Colonna.
IL “LIBER SEXTUS” Nel frattempo B promulgò una nuova collezione di decretali, il “liber sextus”, di cui molte
portano il suo nome anche se il testo fu promulgato da uno dei suoi predecessori testimonianza della potente coscienza
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di sé di B. Grazie alla riscrittura omogenea, si può dire che si tratta di una raccolta di “testi nuovi” piuttosto che di
decretali già pubblicate.
PARAGONI 1) liber sextus naturalium del De Anima di Avicenna. Sia B sia Avicenna concordano sulla perfezione
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del numero 6 e il loro testo è una guida per la società sul piano religioso e su quello dell’organizzazione civile.
2) Ruggero Bacone si era servito del testo di Avicenna nel suo Opus Maius scritto per papa Clemente IV per sostenere la
dottrina della “pienezza del potere” del papa.
Nel frattempo in Francia si andava sviluppando una dottrina per la quale il re è “è il cuore della comunità” e da lui “la
vita civile si distribuisce in ogni parte del corpo sociale”.
La potenza creatrice di B sul piano della simbolica del potere pontificio risiede proprio in questa sua capacità di dare una
corporeità all’autorità che incarna.
Un’altra sua caratteristica: B pensava che la violenza verbale fosse uno strumento utile a convincere e a far pressione
sugli interlocutori per indurli a mutare parere. Insulti e affronti verbali facevano parte dei costumi dell’epoca e anche gli
ambienti ecclesiastici non erano immuni da questa abitudine, anzi. A tal riguardo tuttavia l’intemperanza di B pare essere
stata del tutto eccezionale : essere ricevuti da B in maniera affabile era un caso così raro che meritava senz’altro di essere
raccontato!
B E FILIPPO IL BELLO Secondo parecchie testimonianze del 1310/11, dopo il colpo di mano dei Colonna, Filippo il
Bello avrebbe chiesto ai teologi dell’Università di Parigi di pronunziarsi sulla legittimità delle dimissioni di Celestino V e
dell’elezione di B. Secondo Nogaret dichiarò che ciò avvenne prima del colpo di mano dei Colonna e che il re non diede
loro ascolto onorando sempre B smentita delle affermazioni di Pietro Colonna.
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Due mesi dopo il suo arrivo a Orvieto B annunziò di voler iscrivere Luigi IX nel catalogo dei santi. B considerava Luigi
IX “più che un uomo per la sua santità”, un rex pacificus soprattutto nella sua interiorità, un giusto che aveva saputo
sottomettere e dominare la propria natura umana. Terminava così un progetto nato 24 anni prima con Gregorio X.
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PROIBIRE LO SMEMBRAMENTO DEI CADAVERI 27 settembre 1299 (ripubblicata nel febbraio 1300) in una
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bolla B proibiva qualsiasi procedura di smembramento del cadavere, che si rendeva a volte necessaria qualora la spoglia
dovesse essere seppellita con una certa rapidità in una sepoltura lontana dal luogo del decesso, etichettando questo
procedimento come “atroce”, un’offesa a Dio e agli uomini. Chiunque avesse trasgredito sarebbe stato colpito da
scomunica e non avrebbe potuto ottenere l’assoluzione se non dal papa stesso o in punto di morte.
L’uso di fare a pezzi il cadavere e di bollirlo per estrarne le ossa e trasportarle altrove è attestato almeno dal X secolo nel
nord Europa, soprattutto in area germanica. Un procedimento che B conosceva bene e descrive con precisione nelle sue
varie fasi (evisceramento, smembramento, bollitura).
B propone in alternativa la tumulazione provvisoria, cioè bisogna aspettare che le carni si separino dalle ossa in modo
naturale per poi trasferire le ossa nel luogo di sepoltura desiderato.
La bolla fu scritta rapidamente, solo 4 giorno dopo la morte del cardinale francese Niccolò di Nonancourt che pare avesse
ordinato nel suo testamento di ricevere tale trattamento per tornare subito in patria : forse reazione impulsiva e collerica?
Già nell’ultimo quarto del XIII sec. tale pratica aveva suscitato forte opposizioni all’interno della curia romana,
soprattutto da parte di cardinali italiani e romani. Anche a Parigi tale pratica dava vita a dibattiti, che si fondavano sul
vero valore del cadavere: il corpo come immagine di Dio (e quindi non sfigurabile), come scoria non importante (ciò che
importa è l’anima) o come materia che risorgerà (preferibile mantenerlo unito, ma Dio può ricomporlo in tutti i casi).
LA TIARA regnum era il termine tradizionale usato da Innocenzo III per distinguere la tiara, simbolo del potere
temporale del papa, dalla mitra, simbolo della dignità sacerdotale. B dice invece che la tiara che egli porta sulla testa
simboleggia l’unità della Chiesa “che (i Colonna) hanno tentato di rompere, introducendo lo scisma nella Chiesa di Dio”.
AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI, Bonifacio VIII 9
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher moondrop di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia sociale del Medioevo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Torino - Unito o del prof Vallerani Massimo.
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