Storia greca - Epitafio di Pericle come manifesto della democrazia ateniese
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IL MANIFESTO DELLA DEMOCRAZIA ATENIESE
Analisi dell'orazione funebre di Pericle
Ambra Tocco
Corso di laurea triennale in Lettere – curriculum classico
a.a. 2009/2010 IL MANIFESTO DELLA DEMOCRAZIA
“Un manifesto del ‘miracolo ateniese’ e dei successi del sistema democratico, pronunciato da colui
che era stato il principale artefice della potenza della città nei decenni precedenti”: così Giulio
Guidorizzi definisce la straordinaria orazione funebre che occupa, nel suo complesso, i capitoli 35-46
del secondo libro dell’opera tucididea.
Era consuetudine, in Atene, che alla fine di ogni anno si celebrassero le esequie solenni dei caduti per
la patria: nel 431 a.C., in occasione della commemorazione dei caduti del primo anno della guerra del
Peloponneso, tale compito spettò a Pericle, che del conflitto con Sparta era stato il massimo fautore.
Da una lettura più attenta dell’epitafio di Pericle si evince tuttavia come, in realtà, la celebrazione dei
morti costituisca “un mero pretesto per una presentazione ampia ed articolata di una mirabile
situazione politica”: il tema che dovrebbe risultare prioritario, vale a dire l’elogio dei caduti, viene
affrontato piuttosto marginalmente in apertura e in conclusione del discorso, non senza il ricorso ai
luoghi comuni tipici dell’oratoria funebre, mentre i cinque capitoli centrali sono interamente dedicati
all’esaltazione di Atene e delineano un manifesto ideologico di chiarezza e potenza straordinarie.
Occupano uno spazio preponderante, quindi, motivi che esulano decisamente dai del discorso
tovpoi
funebre e che trasformano l’epitafio nella sintesi di un’intera stagione politica: “l’esaltazione della
democrazia e della libertà sia nella sfera pubblica sia in quella dei rapporti privati, il rispetto delle
leggi, la bellezza delle feste e dei riti, l’abbondanza e la varietà dei prodotti che allietano la vita di
Atene, il rapporto equilibrato fra parola e azione.” (G. Guidorizzi, Il mondo letterario greco).
La lode della ateniese, che occupa i capitoli 37-41 dell’orazione, si articola in una serie di
politeiva
argomentazioni concatenate ma distinte, che vengono a costituire i punti programmatici del sistema
politico prospettato da Pericle: Atene è, in primo luogo, modello esemplare degno di
paravdeigma,
emulazione da parte degli altri; è quanto guarda all’interesse di una collettività ampia
in
dhmokrativa
invece che di una ristretta minoranza; vige in essa un autentico timore reverenziale nei confronti delle
leggi, scritte e non; offre numerosissimi e pregevoli sollievi alle fatiche grazie alla celebrazione di
giochi e feste, al benessere diffuso, alla varietà dei prodotti importati; ama il bello e promuove il
sapere; non trascura gli affari pubblici, coniuga la prontezza del pensiero a quella dell’azione, dà prova
della sua compiendo benefici d’ogni sorta. Atene è, in conclusione,
ajrethv paivdeusiV th:V JEllavdoV,
“scuola dell’Ellade”: e, come osserva P. Funke, in effetti i cinquant’anni tra la fine delle guerre
persiane e l’inizio della guerra del Peloponneso (il periodo della cosiddetta “Pentekontaetia”)
sancirono non soltanto l’egemonia politica di Atene, ma anche il suo ruolo di centro culturale di
riferimento per l’intera Grecia, tanto che, tra la potenza e l’eccezionale fioritura artistica e culturale
che la città ebbe in quegli anni, venne a crearsi una vera e propria “simbiosi”. La rinascita
dell’Acropoli, l’istituzione degli agoni teatrali tragici e comici, il notevole sviluppo del dibattito
filosofico e storico sono l’eccezionale prodotto di una stagione politica e culturale che tanti non
esitano, a tutt’oggi, a definire “irripetibile”, e che l’orazione di Pericle sembra racchiudere in una
sintesi ideale appena prima dell’inizio del suo progressivo declino.
È tuttavia importante sottolineare che siamo di fronte a una presentazione assolutamente idealizzata
della ateniese, che sembra ignorare, come del resto è logico in un discorso dalle finalità
politeiva
propagandistiche, gravi problemi che di fatto facevano parte della realtà politica dell’Atene
dell’epoca. In effetti, come nota ancora una volta Guidorizzi, il discorso di Pericle mira a giustificare
indirettamente l’imperialismo ateniese, tramite la presentazione di Atene come e nello
paravdeigma,
stesso tempo a tessere un elogio del proprio operato e del sistema politico che nella sua persona era
venuto ad identificarsi.
Come inquadrare l’epitafio all’interno del pensiero di Tucidide? Dobbiamo considerarlo una
proiezione della sua stessa visione politica o supporre, al contrario, che esso sia la resa letteraria, più
o meno fedele, di un discorso effettivamente pronunciato da Pericle, a prescindere dalle convinzioni
dello storico? Se Gaetano De Sanctis non esitava a propendere per la prima ipotesi, affermando che,
senza ombra di dubbio, quanto scritto da Tucidide rispecchia “non quello che Pericle disse al popolo
ateniese, sì quel che Tucidide vuol dire a’ suoi lettori”, del tutto antitetica è l’opinione in merito di
Luciano Canfora. Questi osserva che considerare espressione del pensiero tucidideo l’elogio della
politeiva ateniese che egli pone in bocca a Pericle genererebbe una sensibile contraddizione con altri
passi in cui lo storico parla con favore dell’oligarchia moderata dei Cinquemila e loda la democrazia
periclea in quanto essa è tale “soltanto a parole”, mentre guarda sempre con ostilità alla democrazia
radicale successiva. Più cauto Guidorizzi che, lungi dal negare l’effettiva realtà storica del discorso di
Pericle, individua però una sostanziale adesione da parte dello storico al sistema politico presentato:
“Nella prospettiva dell’aristocratico Tucidide, infatti, la democrazia moderata di Pericle era il sistema più
adatto per tenere a freno gli impulsi eversivi delle masse popolari. Così lo statista ateniese appariva
portavoce di un buon tempo antico in procinto di essere travolto dagli sconvolgimenti bellici. Pericle
apparteneva a quella classe dirigente che, pur non amando il sistema democratico, se ne era messa alla
guida; e la massa del dh:moV accettava di essere guidata da questi aristocratici, il cui patrimonio di cultura
ed esperienza politica risultava decisivo per la gestione della cosa pubblica. (...) Pericle il moderato
rappresenta quindi anche un modello ideologico che Tucidide propone, contrapponendolo all’oltranzismo di
molti dei suoi successori, primo fra tutti il demagogo Cleone, l’anti-Pericle per eccellenza, che con il suo
estremismo avrebbe portato Atene ad affrontare i pericoli più gravi.”
LA LODE DELLA DI ATENE: TESTO E ANALISI DEI CAPITOLI 37-41
politeiva
37
[1] Crwvmeqa ga;r politeiva/ ouj zhlouvsh/ tou;V tw:n pevlaV novmouV, paravdeigma de; ma:llon
aujtoi; o[nteV h] mimouvmenoi eJtevrouV. Kai; o[noma me;n dia; to; mh; ejV ojlivgouV ajll’ejV pleivonaV
oijkei:n dhmokrativa kevklhtai, mevtesti de; kata; me;n touvV novmouV pro;V ta; i[dia diavfora pa:si
to; i[son, kata; de; th;n axivwsin, wjV e[kastoV e[n tw:/ eujdokimei:, oujk apo; mevrouV to; plevon ejV ta;
’ajreth:V ’auj:
koina; h] ajp protima:tai, oujd kata; penivan, e[cwn dev ti ajgaqo;n dra:sai th:n polin,
ajxiwvmatoV ajfaneiva/ kekwvlutai.
Il primo dei cinque capitoli attraverso cui si dispiega l’elogio del sistema politico ateniese si apre con
l’affermazione, poi ulteriormente ribadita in chiusura di questa parte dell’orazione, del ruolo di Atene
come esempio per le altre città. Sembra sottinteso il vanto, tipico della città di Atene, dell’unicità dei
propri ordinamenti, che non sono stati importati da nessun altro luogo o popolazione ma si sono
sviluppati intrinsecamente alla vita stessa della città – motivo, questo, che si può riallacciare con
l’orgogliosa dichiarazione dell’autoctonia del popolo ateniese che compare al cap. 36. Su questa prima
parola chiave, nessun particolare problema sembra essere stato sollevato dagli studiosi,
paravdeigma,
tanto è lampante il significato dell’affermazione; salvo notare, come fa A.W.Gomme, che
l’espressione va intesa in modo “neutro”, senza vedervi sottintese allusioni né a Sparta, e nella
fattispecie alla tradizione secondo cui la costituzione degli Spartani sarebbe stata modellata su quella
cretese, né tantomeno al racconto di Tito Livio secondo cui ambasciatori romani si sarebbero recati
nel 454 a.C. ad Atene con l’intento di studiarne le leggi per poi importarle a Roma; mentre secondo
altri studiosi tale riferimento sarebbe invece presente.
Ben più problematica si presenta invece l’analisi della successiva proposizione, tanto apparentemente
esplicita e programmatica quanto, in realtà, di complessa interpretazione: dia; to; mh; ejV ojlivgouV
ajll’ejV pleivonaV oijkei:n dhmokrativa kevklhtai.
Si tratta, innanzitutto, di comprendere quale sia il significato esatto del termine : la sua
dhmokrativa
connotazione potrebbe infatti essere duplice, in quanto duplice è la valenza della parola che
dh:moV,
indica il “popolo” tanto come collettività cittadina nel suo complesso quanto, in senso più spregiativo,
come l’insieme degli appartenenti agli strati sociali più umili, la “massa” dei cittadini più poveri. Tale
ambivalenza, osserva sempre Gomme nel suo commento a Tucidide, spiega l’opposizione o[noma
presente nel testo: se il nome, “democrazia”, può risultare in un primo momento
me;n... mevtesti de;
ambiguo, ed essere inteso nel suo significato deteriore, resta il fatto, messo in evidenza dal , che in
dev
realtà viene garantita l’uguaglianza (to; di tutti i cittadini di fronte alle leggi, a prescindere da
i[son)
distinzioni di classe. Viene così spiegato in che cosa consista di fatto la , adducendo
dhmokrativa
un’ulteriore distinzione sottolineata ancora una volta dall’andamento binario del testo (kata; me;n
si ribadisce così che non si tratta di senso
nel
touvV novmouV... kata; de; th;n axivwsin): dhmokrativa
estremo del termine, dal momento che, se l’uguaglianza, l’ijsonomiva , costituisce il criterio-guida in
materia di questioni riguardanti il singolo cittadino, nell’amministrazione della cosa pubblica si viene
scelti in base alla ossia alla considerazione di cui si gode in base ai propri meriti e alle
ajxivwsiV,
proprie capacità. L’intento è duplice: Pericle da un lato scagiona se stesso dall’accusa di essere fautore
di un potere demagogico radicale e dall’altro, all’interno della da lui prospettata, ne
dhmokrativa
difende i criteri e, come nota S. Hornblower, allude indirettamente ai detrattori del sistema
democratico, che vedevano in esso un ostacolo all’affermazione dei cittadini più abili e degni di
amministrare con efficienza la . Pericle sembra quindi dire che, al contrario, è anche e
politeiva
soprattutto in un regime democratico che chi eccelle ha la possibilità di emergere e, anzi, contribuisce
maggiormente al benessere dello stato, dal momento che è la democrazia stessa a far sì che tale
opportunità sia concessa anche a chi è purché ovviamente ne abbia le capacità.
ajfanh;V ajxiwvmatoV,
A questo proposito è concorde l’opinione di entrambi gli studiosi da me presi in considerazione circa il
significato dell’espressione non, come si trova spesso tradotto, “in base alla classe
ajpo; mevrouV:
sociale”, bensì “a rotazione”, a indicare una prassi tipica del sistema democratico ateniese che però, a
detta di Pericle, non preclude che i cittadini siano preferiti in base alla loro (cfr. la polemica
ajrethv
socratica a proposito del ricorso al sorteggio).
[2] )EleuqevrwV de; tav te pro;V to; koino;n politeuvomen kai; ejV th;n pro;V ajllhvlouV tw:n
kaq)hJmevran ejpithdeumavtwn uJpoyivan, ouj di) ojrgh:V tw:n pevlaV, eij kaq) hJdonhvn ti dra/:, oujde;
ajzhmivouV mevn, luphra;V de; th/: o[yei ajcqhdovnaV prostiqevmenoi.
[3] )Anepacqw:V de; ta; i[dia prosomilou:nteV ta; dhmovsia dia; devoV mavlista ouj paranomou:men,
’wjfeliva
tw:n te aijei; ejn ajrch/: o[ntwn ajkroavsei kai; tw:n novmwn, kai; mavlista aujtw:n $osoi te ejp
tw:n ajdikoumevnwn kei:ntai kai; $osoi a[grafoi o[nteV aijscunhn ojmologoumevnhn fevrousin.
I due paragrafi si aprono, come del resto è tipico del periodare tucidideo, con due avverbi che
definiscono con assoluta efficacia l’immagine che Pericle vuole offrire di Atene: una città in cui la vita
si svolge all’insegna della libertà (ejleuqeriva ) e della non-oppressione (ajnepacqw:V : l’avverbio è
formato da privativa e “peso”, “sofferenza”). Questo è garantito dall’assenza di
a a[cqoV, uJpoyivan,
ossia di sospetto reciproco da parte dei cittadini (ma il clima muterà rapidamente nel giro di pochi
anni: caso emblematico, a questo proposito, una figura come quella di Alcibiade), oltre che
naturalmente dal il timore reverenziale nei confronti della legge, in virtù del quale la libertà di
devoV,
cui godono i cittadini ateniesi non degenera mai in anarchia. Tuttavia, se è vero che Atene è una città
libera, in cui non esistono forme di controllo poliziesco paragonabili, ad esempio, agli efori spartani, è
altrettanto vero che Pericle evita accortamente di menzionare il problema dei sicofanti, una vera e
propria piaga sociale del tempo più volte denunciata dai comici.
Tratto tipico ateniese è l’idea che le leggi abbiano il compito fondamentale di tutelare chiunque
subisca un torto (ejp Gomme rievoca a questo proposito la legge di
’wjfeliva tw:n ajdikoumevnwn):
Solone che conferiva a chiunque (oJ la facoltà di intentare processi, con l’intento
boulovmenoV)
“democratico” di sottrarre la giustizia al monopolio della vecchia aristocrazia. Soprattutto, però, ad
aver destato interesse e suscitato interrogativi di vario genere da parte degli studiosi moderni è il
riferimento alle leggi che richiama subito alla mente gli
a[grafoi, a[grapta kajsfalh: qew:n novmima
cui si appella Antigone nell’omonima tragedia di Sofocle. Ma la legge “non scritta” cui Antigone si
proclama fedele fino a morirne è la legge degli dei, posta in antitesi con quella “scritta” degli uomini
incarnata dal sovrano Creonte: legge divina e, di conseguenza, universale, comune a tutti gli uomini e
insita per natura nei loro animi. In Tucidide l'espressione indica molto probabilmente qualcosa di più
“immanente”: non tanto una giustizia universale di matrice divina quanto, forse, come propone
Gomme, un concetto analogo, seppur non identico, alla di cui parlano i sofisti in rapporto al
fuvsiV
(“legge naturale” vs “legge positiva”). Di notevole interesse anche la tesi di Giovanni Cerri:
novmoV
“L'espressione deve essere identificata con il ben noto termine tecnico del linguaggio
a[grapta novmima
giuridico ateniese, destinato ad indicare le norme di tradizione orale, cioè un corpus legislativo di origine
antichissima, affidato alla memoria delle famiglie aristocratiche il cui coordinamento con le leggi scritte,
promulgate dalla polis attuale, sollevava nel V secolo continui problemi interpretativi e un serrato
confronto teorico tra ideologie contrapposte.”
Legge non scritta e legge scritta appaiono in ogni caso nel discorso di Pericle come le due componenti
complementari e inscindibili che costituiscono l'eujnomiva ateniese e di cui la città con le sue
magistrature è, in egual misura per entrambe, fautrice e garante. E' un'altra orgogliosa affermazione
della peculiarità di Atene rispetto alle altre della Grecia: essa risiede non tanto nelle leggi,
povleiV
scritte e non, in quanto tali, quanto piuttosto nel modo in cui la loro attenta tutela (eujnomiva ) va di
pari passo con l'ejleuqeriva singolo cittadino, senza che quest'ultima venga mai intaccata. Come
del
osserva Guidorizzi, già alla fine di questo capitolo si trovano enunciate le caratteristiche essenziali
della “l'essere amministrata nell'interesse dei più, l' , l'importanza del
ateniese:
politeiva ijsonomiva
criterio di merito nell'attribuzione delle cariche pubbliche, la libertà e il rispetto della legge.”
38
[1] Kai; mh;n kai; tw:n tovpwn pleivstaV ajnapauvlaV th/: gnwvmh/ ejporisavmeqa, ajgw:si mevn ge kai;
qusivaiV diethsivoiV nomivzonteV, ijdivaiV de; kataskeuai:V eujprepevsin, wJ:v kaq#hJmevran hJ tevryiV
[2]
to; luphro;n ejkplhvssei. )Epesevrcetai de; dia; mevgeqoV th:V povlewV ejk pavshV gh:V ta;
pavnta, kai; xumbaivnei hJmi:n mhde;n oijkeiotevra/ th/: ajpolauvsei ta; aujtou: ajgaqa; gignovmena
karpou:sqai h] kai; ta; tw:n a[llwn ajnqrwvpwn.
Il discorso di Pericle si sposta ora sull'elogio della qualità della vita in Atene: essa è testimoniata in
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