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4.2. LE PRIME SCUOLE E LE LORO DOTTRINE
Durante il III sec. a.C si svilupparono tre scuole di pensiero: la scuola Puggalavāda, quella Sarāstivāda e quella Vibhajjavāda. I Puggalavāda, o "personalisti", erano contrari a qualsiasi forma di pensiero che rifiutasse categoricamente un principio di individualità. La "persona" non era meno reale dei khandha stessi. La scuola Sarvāstivāda, o dei "panrealisti", indirizzavano la loro dottrina verso il dharma, che esisterebbe non solo nel presente ma anche nel passato e nel futuro. La conoscenza di questi ultimi doveva avere oggetti reali e il passato doveva ritenersi reale perché, per effetto del karma, si riflette nel presente. I dharma erano quindi considerati indivisibili elementi base della realtà, ciascuno con una "propria natura". I fedeli della scuola Vibhajjavāda, o "Propugnatori della Distinzione", distinguevano i dhamma presenti da quelli del passato e del futuro.Opponendosi alla tendenza di convertirli in una cosa reale. Insistevano sull'unicità del Nibbāna, unico dhamma incondizionato. Ritenevano inoltre che, trascendendo il tempo e lo spazio, l'incondizionato non potesse contenere in sé alcuna divisione e che l'"ingresso nella corrente" delle Quattro Sante Verità non avvenisse gradualmente ma simultaneamente. Nessun luogo poteva essere lontano o vicino al Nibbāna. Si opponevano ai cosiddetti "cinque punti di Mahādeva", associati ai Mahāsāanghika, Le tradizioni monastiche di tutte le forme di buddhismo attualmente esistenti derivano dalle confraternite Sthaviravāda.
4.3. LE ORIGINI DEL MAHĀYĀNA Il movimento si manifestò tra il 150 a.C e il 100 d.C come evoluzione di varie tendenze originate dall'antica dottrina buddhista. Le sue principali caratteristiche erano: un'incondizionata adesione al Cammino del Bodhisattva; una nuova cosmologia derivante da pratiche di
visualizzazione incentrate sulla figura del Buddha; una nuova prospettiva sull'Abhidharma derivante dalla penetrazione acquisita attraverso la meditazione. Il Mahāyāna nasce come associazione aperta di vari gruppi e per tutti coloro che considerassero i nuovi Sutra genuini, cioè diretti insegnamenti del Buddha. Questi nuovi Sutra erano considerati il secondo "giro di ruota del Dharma" e i discepoli Bodhisattva più saggi dei discepoli Arhat. In questi testi, Buddha attraverso un linguaggio paradossale rivela l'esistenza di numerosi Buddha celesti e Bodhisattva celesti. 4.4. CARATTERISTICHE DEL MAHĀYĀNA Inizialmente questo movimento si chiamò Bodhisattva-yāna, il "veicolo (spirituale) del Bodhisattva" ma fu poi rivisto come "il grande veicolo". La sua grandezza risiedeva in tre elementi: motivazione, che consiste nella salvezza degli altri esseri attraverso la benevolenza; nella profondità della conoscenza cheIl Mahāyāna permetteva di acquisire e nel fine superiore dell'onnisciente illuminazione cui mirava. Uno dei concetti principali del Mahāyāna era l'abilità nell'applicazione dei mezzi, basato sulla vecchia idea che il Buddha avrebbe di volta in volta adattato il contenuto dei suoi insegnamenti alla sensibilità e alla capacità di comprensione dell'uditorio.
Il Mahāyāna spronava tutti a percorrere il cammino del Bodhisattva, una figura laica che avrebbe dovuto condurre una vita libera dai legami famigliari e aspirare a ricevere gli ordini e diventare membro della Comunità. Il suo sarebbe stato un cammino lungo ma lo avrebbe portato alla buddhità, permettendogli inoltre di aiutare gli altri con l'insegnamento, le buone azioni e il trasferimento di "merito".
5. LA FILOSOFIA MAHAYANA
Le scuole Mahāyāna si basavano sulla logica e l'esperienza della meditazione, facendo riferimento ciascuna a un determinato gruppo di Sutra.
5.1. LA
SCUOLA MADHYAMAKA
La scuola Madhyamaka era conosciuta anche col nome di "Dottrina della Vacuità", perché assegna una posizione centrale all'idea di "vuoto". I suoi seguaci si chiamano Mādhyamika e la scuola fu fondata da Nāgārjuna, il cui testo "Aforismi dell'Originaria Dottrina Mediana" è il fondamento dottrinale della scuola. La teoria della vera "Via di Mezzo" dimostrava che lo studio e una approfondita conoscenza dei testi buddhisti più antichi confermavano che ogni elemento dell'universo fosse "vuoto". Nel 500 Bhāvaviveka diede origine alla scuola Svātantrika-Madhyamaka; un secolo più tardi Crandrakirti fondò la scuola Prāsangika-Madhyamaka. Nel caso della prima scuola, viene esaltata la saggezza ("prajnā"), che è "trascendenza" al Nirvāna, e le altre "imperfezioni" che fanno parte del cammino del Bodhisattva. Pur ammettendo
l'assenza di un "io" immutabile ed effettivo, riteneva che ogni "persona" fosse il risultato di una combinazione di dharma, ognuno dei quali avente una sua precisa "propria natura". Se non ci fosse nulla avente una propria natura, non ci sarebbe nulla con una natura "differente". I dharma sono sogni o illusioni, ma sarebbe un errore negare anche la loro esistenza. Per quanto riguarda la Produzione Condizionata, la scuola Madhyamaka ritiene che i fenomeni sono in mutua dipendenza in relazione alla loro intima natura, per cui non è possibile riferirsi ad essi come entità distinte che interagiscono fra loro, perché non c'è nulla che esiste "in sé". Ogni cosa è concettualmente dipendente dal suo opposto. Secondo la dottrina, questa confusione sulla natura dei fenomeni è nata perché pochi avevano capito che il Buddha aveva insegnato secondo due verità, quella“convenzionale” e quella “ultima”, più profonda. Nel primo caso, le affermazioni sono vere a livello convenzionale per una convenzione linguistica: è il linguaggio ad introdurre qualcosa nell'esistenza, un determinato oggetto entra a far parte dell'universo umano in quanto caratterizzato da un nome o un concetto.
Secondo la scuola Sunyatāvāda, poiché tutti i fenomeni sono privi di una intrinseca natura, la non-natura, cioè il vuoto di natura, è l'elemento che li accomuna, quindi ogni dharma non è diverso dagli altri. Tutto l'universo è un tessuto di fenomeni fluttuanti e interdipendenti. Il vuoto non è una sostanza di cui sono composti i dharma ma una loro qualità. Ogni attività, compreso il progresso spirituale, è possibile solo in quanto c'è il vuoto.
5.2. SUPERAMENTO DELLE TEORIE
Nāgārjuna sottolinea che la verità ultima può essere compresa
soltanto dopo che sono state capite le QuattroVerità convenzionali. Criticando ogni punto di vista e teoria relativa alle entità ultime, o principi fondamentali, dimostra che l'inevitabilità delle loro conseguenze contraddice sia le teorie stesse che l'esperienza. Nāgārjuna esamina le teorie sul principio di casualità. La prima logica possibilità è quella dell'"auto produzione": da una causa nasce un effetto identico ad essa. La seconda riguarda la "produzione del diverso": un fenomeno è conseguenza di una causa, diversa per sua propria natura. Se esistessero entità realmente distinte l'una dall'altra, niente potrebbe essere causa di qualcosa: ciò che per natura è diverso da qualcosa non ne può essere la causa. Per la terza possibilità, tutto nascerebbe spontaneamente, senza una causa; se ciò fosse vero, però, tutto sarebbe un imprevedibile.La scuola Svātantrika-Madhyamaka affermava che la logica in sé non è vuota, ma che ha un'esperienza autonoma. Le conclusioni logiche a livello convenzionale costituiscono un ponte reale con la verità ultima.
5.3. VERITÀ ULTIMA E QUIDDITÀ
Poiché tutto ciò che è vuoto fondamentalmente non esiste, non può nemmeno essere definito "vuoto". La quiddità di una cosa equivale al suo vuoto, al suo essere semplicemente "così". La "vera realtà" (tattva) non è condizionata da nulla e può essere conosciuta solo quando viene superata l'ignoranza spirituale. La conoscenza intuitiva della verità ultima porta alla beatitudine del Nirvāna.
5.4. NIRVĀNA E SAMSĀRA
Nel pensiero Sunyatavāda, il Nirvāna così raggiunto non è considerato un dharma diverso da quelli condizionati dal samsāra. Il Nirvāna si ottiene evitando di costruire il mondo.
condizionato del samsāra, perché "tutti idharma originariamente sono nirvanici". Nirvāna e samsāra, quindi, non sono realtà separate. Il Bodhisattva aiuta chi soffre sostenuto dalla consapevolezza che il Nirvāna è già presente nel samsāra. Anche la buddhità condivide il "vuoto", per questo ogni essere vivente ha una natura che non è diversa da quella del Buddha. Per raggiungere la meta, quindi, è necessario "scoprire" la propria buddhità. 5.5. LA SCUOLA YOGĀCĀRA La scuola Yogācāra si basa su alcuni Sutra, il più importante dei quali è il Sutra della Liberazione del Significato Nascosto, considerato il "terzo giro della ruota del Dharma". La scuola fu fondata da Asanga, che convertì poi anche il suo fratellastro Vasubandhu. Il primo basò i suoi scritti sull'esperienza dell'estasi meditativa, il secondo diede alla scuola una forma classica.Scuola Mādhyamika e quella Yogācāra condividono l'obiettivo di raggiungere la buddhitā. Gli Yogācārin si chiedevano come i ricordi e gli effetti di passati karma si trasmettessero nel tempo dal momento che gli esseri viventi non sono altro che un fluire di eventi momentanei. Il concetto di coscienza occupa una posizione centrale nella dottrina, infatti più tardi la scuola fu chiamata anche Vijnāna-vāda, "Insegnamento della Coscienza". Viene respinto qualsiasi concetto che si riferisca a una realtà fisica esterna alla coscienza: il mondo percepito è "solo pensiero". Il buddhismo distingue sei tipi di coscienza (citta), le cinque coscienze sensorie e la coscienza della mente, a cui gli Yogācārin aggiungevano altri due citta. Ciascun citta consisteva di una serie di eventi momentanei accompagnati da un insieme di appropriati stati mentali. Innanzitutto manas viene considerato come un separato tipo di coscienza, un pensiero subliminale.
Manas e lesei coscienze rappresentano però soltanto la parte superficiale della mente. Vi è un ottavo tipo di coscienza, la āsrayā, o "base" del riposo, che costituisce la radice fondamentale delle altre. Essa è l'inc