Storia delle religioni e della filosofia della Cina - filosofia della Cina
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nascita ciascun uomo possiede in sé 4 germogli si duan 易易 , che sono le quattro principali virtù confuciane :
“senso dell’umanità reciproca”, “senso del giusto”, “comportamento rituale” e si aggiunge la “conoscenza”.
Se durante la vita l’uomo non sarà capace a coltivare queste virtù l’albero non crescerà bene, però anche se
diventa malvagio in qualsiasi momento della vita l’uomo può ritrovare i 4 germogli.
Con questa risposta Mencio viene considerato erede ottimista di Confucio; esiste qualcosa di intrinseco
nell’uomo che lo porta a conoscere, ad avere il senso di umanità, il senso di ciò che è giusto e sbagliato.
Xunzi invece considererà la natura umana originariamente malvagia. Crede che al momento della nascita se
si lascia che la persona cresca sena nessun intervento, nell’essere prevalga la sua natura intrinseca che
tende verso il male. È una malvagità che ha le caratteristiche non di volontà nel fare del male ma è un istinto
di seguire qualsiasi emozione che l’essere vive; l’elemento istintivo e incolto. Affinché vi sia un
comportamento verso il bene è necessario il wei 易 , il falso; ciò che è artificiale permette alla natura istintiva
“e” di andare verso il bene.
Per Xunzi questo sforzo artificiale è costituito fondamentalmente dallo studio dei classici e dell’applicazione
delle virtù. Lo sforo parte dall’interno dell’essere umano.
Come vedremo invece, a differenze di Xunzi, la scuola dei legisti nemmeno usa il termine malvagità; per i
legisti ogni essere umano non solo tende al male ma addirittura tende a fare il male. Quindi se l’essere
umano non viene costretto con punizioni o con premi tenderà sempre a comportarsi in maniera malvagia.
La scuola dei legisti – fajia 易易
Qui la figura del letterato confuciano aveva una funzione sociale e morale e viene sovvertita dalle
fondamenta.
I legisti dimenticano totalmente la funzione etica e i classici con la loro esemplarità diventano secondari
rispetto alle leggi fa 易 e alle tecniche di governo shu 易.
Leggi e tecniche di governo devono conformarsi ai nuovi tempi (riunificazione del primo impero) e alle
singole operazioni e l’esperienza del passato diventa inutilizzabile.
Ciò è quanto afferma Han Feizi 易 易易. Per Confucio la generosità del popolo era una conseguenza dell’uso
della virtù, mentre per Han Feizi era perché in passato c’erano risorse sufficienti per tutti e quindi non era un
problema essere disponibili anche per gli altri.
Anche Shan Yang, che ebbe tanta influenza nell’impero Qin, ribadisce il rifiuto della tradizione. Dice che è
dell’opinione che vi sia più i una via per mettere ordine nella propria epoca, non c’è un solo Dao, quindi non
bisogna per forza ricorrere all’antichità.
La legge necessita della massima diffusione tra il popolo, la tecnica invece è riservata ai rapporti di potere e
alla scelta dei funzionari. L’unica cosa che viene ripresa da Confucio è il zhengming in quanto credevano che
chi riceveva una carica doveva sapersi comportare da tale. La tecnica quindi riguarda solo il rapporto fra il
sovrano e i suoi ministri e il sovrano ha nelle sue mani la vita o la morte dei propri ministri.
La legge invece consiste nel rendere pubblici gli editti emanati dal governo, le punizioni devono rimanere
impresse; le ricompense per chi rispetta le norme; le punizioni per chi le infrange.
La legge è dunque cosa che attiene ai ministri. Se i basso c’è disordine vuol dire che i ministri non sono bravi
a far rispettare le leggi e che quindi il sovrano ha scelto dei ministri incapaci.
Tecnica e legge non posso stare l’una senza l’altra.
LA SCUOLA TAOISTA - LAOZI 老老 e ZHUANGZI 老老
I libri fondamentali della scuola taoista dono il Daodejing e il Zhuangzi.
Dàodejing (Via, Virtù, Classico). Alcuni traduttori lo chiamano "Il classico della Via e della Virtù" in realtà
più che virtù è una "potenza" quindi da qui deriva anche la traduzione"the way and its power".
Il Zhuangzi è datato 4 sec. a.C. ; il Laozi invece deve tener conto di due versione che ante-datano in
maniera significativa il testo base al 3 sec. d. C; ritrovamenti archeologici di Mawangdui (inchiostro su seta)
lo ante-datano alle seconda metà del II sec. a.C. mentre la seconda versione rinvenuta a Guodian (inchiostro
su listarelle di bambù) porta indietro la datazione fino al 350-300 a.C. che vuol dire 4 sec. a.C. epoca in cui è
vissuto Laozi.
Concetti principali: Dao (la Via)
De (la potenza/unità),
Wuwei (la non-azione)
Spesso il concetto di “non azione” è correlato al concetto di “zìran” zi (se stessi) e ran (spontaneità).
Capitolo 25: “L’uomo si regola sulla Terra, la Terra si regola sul Cielo, il Cielo si regola sul Dao, il Dao si
regola sul suo essere così di per sé”.
Il Dao non ha nulla di esterno su cui regolarsi ma si regola su di sé.
1° capitolo del daodejing:
, . Il dao di cui si può parlare (che può essere tale), non è il dao eterno.
, . Il nome che può essere nominato, non è il nome eterno.
Qui si dice qualcosa di fondamentale. La sfera di cui parla Confucio si limita solo alla sfera umana, non si
occupa di andare a verificare qual è l'origine dell'umanità. Ci si limita a dire che la terra viene dal cielo e dalla
terra ma non ci dice che c'è un'origine.
Con il taoismo succede che come noi prendiamo in considerazione questa sfera e lo definiamo con un
perimetro, al di là del quale resta qualcosa, il taoismo non nega la realtà dell'individuo e della società ma
dice che ci stiamo dimenticando di tutto il resto che c'è al di fuori della sfera.
Per i taoisti quello che abbiamo definito come UNO, la trave maestra “taiji” per loro è già una
determinazione, ha il limite di essere qualcosa di determinato. Ciò che contiene sia l'unità che la molteplicità
che non è determinabile è appunto il concetto di dao che è quindi lo 0. Il Dao non è né l'origine né la
molteplicità delle cose, se invece volessimo trovare un concetto simile al concetto di Dao è quello di infinito;
anche in italiano il termine "infinito" è un termine negativo, perché è ciò che non è finito; la distinzione che si
fa tra l'ambito metafisico (taoista) e l'ambito cosmologico (limitato nel confucianesimo). L'ambito metafisico
contiene tutte le possibilità. Il concetto di Dao è quindi un concetto difficilmente nominabile ed è per questo
che si dice che il dao di cui si può parlare non è il dao eterno perché è un concetto troppo grande.
La stessa cosa di dice con il NOME.
A questo punto il testo ci fa capire che se il dao non è concepibile dagli esseri umani, però è possibile
concepirne due aspetti, immaginarlo in due modi. E dice: senza nome se lo si considera come qualcosa di
innominabile è l'origine del cielo e della terra; se invece lo si considera con un nome a questo punto lo si può
considerare come la madre delle 10 000 cose. (3 e 4 riga). (5-6 riga si chiarisce) e dice che di fronte a una
realtà infinita me la posso immaginare come "l'estremo della sottigliezza", come origine; se invece lo
considero come esistenza ne contemplerò i suoi confini. Qual è il rapporto tra "origine" e "sottile"? È come
qualcosa che è totalmente non manifestata, non si vede, qualcosa di completamente concentrato in un
punto. Se invece lo considero come esistenza lo considero come i confini che si allargano continuamente, di
qui il concetto di madre che produce continuamente nuovi esseri.
Ora il testo dice: attenzione, questi due aspetti sono in effetti la stessa cosa ma quando si manifestano sono
chiamati in maniera diversa e considerati come un'unica realtà li chiamiamo shuan (mistero). Sembra
contraddirsi perché fino ad adesso si è detto che non può essere nominato mentre ora lo chiamo mistero?
Così l'ultima frase chiarisce tutto dicendo che : se lo si considera mistero, una delle tante cose che
consideriamo misteriose, ecco diventa sempre più misterioso.
Solo la e la sono arrivate ai giorni nostri.
è anche chiamato (5 mila caratteri)
Gli 81 capitoli del daodejing sono molto brevi. 81 (sezioni). Il simbolismo del numero 81; è un numero
dispari (yang) è il risultato di 9x9 e il 9 è il numero yang per eccellenza. Mostra quindi un iper potenza della
cifra yang, dispari, 81. Il 9 è preso come esempio fondamentale dello yang è il 6 è preso come esempio
fondamentale dello yin.
Laozi prima ci da una definizione di dao dicendo che non possiamo concepirlo, poi però dice che
concentrandoci potremmo percepire due aspetti: uno è wu la non esistenza o il sottile miao ; nello stesso
tempo se faccio uno sforzo posso vedere che nel mondo tutto si riproduce, tutto va avanti, e a questo punto
concepisco il tao come you come eterna esistenza come jiao come confini. Il dao visto come eterna
estensione è visto come madre.
Quindi anche se nella prima frase laozi ha chiarito che il dao non si può concepire direttamente, poi chiarisce
che si possono percepire due aspetti.
A questo punto Laozi si preoccupa in quanto dice: del dao non si può dire nulla, ora però ho parlato di
esistenza e non esistenza, di sottile e esteso, e allora immediatamente corre ai ripari e dice: "questi due
aspetti in effetti sono due aspetti di un’ unica realtà e questa unica realtà la si può chiamare xuan ; a questo
punto però si rende conto che ha abbandonato si i due aspetti però ha dato un nome al dao quando aveva
detto che non poteva essere nominato; allora dice: se si considerano tutti i misteri in grado di concepire non
si troverà il dao, ma è qualcosa di ancora più misterioso.
Per quanto riguarda il concetto di dao, o di via, un altro capitolo che ci interessa, che è molto chiaro, per
evitare di considerare il dao in maniera errata è il capitolo 42:
l'infinito genera l'unità
Distinguere bene ciò che è l'unità che è l'origine della molteplicità, dall'infinito. L'unità non può essere
considerata infinito in quanto è già un numero.
Questa prima frase è essenziale per non confondere i due concetti. L'infinito non dovremmo immaginarlo
come un contenitore, perché niente rimane fuori, l'infinito è la possibilità totale.
C'è il dao che ha la possibilità di determinarsi come unità
Quando c'è l'1 abbiamo la possibilità di determinare il 2
Quando si ha il 2 si ha la possibilità di determinare il 3
Quando si ha il 3 si possono creare le 10 000 cose
子
Le 10 000 cose abbracciano lo yang e portano sulle spalle lo yin. La parte in ombra è lo yin e la parte in luce
è lo yang. Siccome alla nascita per i taoisti c'è un' armonia dello yin e dello yang a un certo punto Laozi si
sente in dovere di aggiungere questa frase.
Chong =vuoto. Questo soffio vuoto tiene lo yin e lo yang insieme. È un aspetto invisibile. Affinché questi due
aspetti diventino armoniosi, è data dal fatto che contiene oltre all'aspetto duale, un aspetto unitario che
viene simboleggiato come un soffio vuoto (un punto o un asse che non viene presa in considerazione quasi
invisibile)
Il capitolo 1 definisce cosa il dao non è
Il capitolo 42 definisce che il dao non è l'infinito e poi ci indica che lo yin e lo yang non potrebbero sussistere
in maniera armonica se non esistesse al loro centro qualcosa di unitario.
Il capitolo 6 invece si parla di un qualcosa che viene chiamato gushen lo spirito della valle, che non muore
e lo chiamiamo la femmina oscura, la porta della femmina oscura è ciò che chiamiamo origine del cielo e
della terra, è sottile come i fili di una ragnatela ma ciò nonostante è qualcosa di ben definito. Usandolo
questo spirito della valle, non si esaurisce mai.
Se noi guardassimo il commentario più importane (III sec.) vediamo che spirito della valle viene interpretato
in maniera molto strana; gushen dice che è "ciò che non è valle all'interno della valle".
Se prendiamo una valle c'è una parte in luce yang e una parte in ombra yin, ciò che non è valle può essere il
punto della valle dove origina, oppure il vuoto tra le due. Se lo yin e lo yang costituiscono i due versanti della
montagna, se non ci fosse il vuoto in centro non ci sarebbe la valle. In qualche modo la valle esiste grazie al
fatto che lo yin e lo yang risultano distinti dall'elemento centrale vuoto.
Come nel caso della valle che non ci sarebbe valle se non ci fosse vuoto, in un altro capitolo del Laozi si
parla di un vaso e si dice: "l'aspetto del vaso sta nella sua esistenza"; "la non esistenza permette al vaso di
essere utilizzato" se nel vaso non ci fosse il vuoto dentro, il vaso non potrebbe essere utilizzato.
Un altro esempio è quello della casa, io posso avere una bellissima casa, ma se non esiste il vuoto costituito
da porte e finestre la casa non potrà essere utilizzata in quanto tale. Quando si dice nel daoismo
l'importanza del vuoto, non è assolutamente una cosa astratta, ma si parla di qualcosa di molto concreto.
Il secondo classico del taoismo è il ZHUANGZI che è costituito da capitoli piu lunghi e aneddoti e anche con
passaggi dottrinali.
Lo scopo dei taoisti era quello di ritrovare il cammino inverso del cap 42 del Laozi, ovvero tornare dalla
molteplicità all'unità delle cose. E non ci si chiede come sia possibile fare ciò.
Il capitolo 12 del zhuangzi invece ce lo dice, anche se in maniera un po' complessa.
Dice: nel supremo inizio vi era il non essere, non vi era esistenza, non vi era nome. È il luogo da cui sorge
l'unità, vi è l'unità ma non vi è ancora la forma. Le cose condividono l'unità per nascere (qui si da una prima
definizione dopo una prima fase di nulla), chiamiamo questa fase, l'unità, potenza . (l'unità ha la potenza in
sè di far nascere le cose); in ciò che non ha ancora una forma vi sono delle distinzioni, tuttavia queste
distinzioni non dividono l'unità, chiamiamo queste distinzioni ming, destini ; (l'unità contiene già in potenza le
singole cose, ma queste cose non sono ancora manifestate, sono ancora i destini delle cose; senza che
l'unità cessi di essere unità); siccome sono archetipi il zhuangzi utilizza il termine ;
a un certo punto con un movimento alterno di quiete e movimento, stasi e movimento (una vibrazione), si ha
la nascita delle cose, e quando le cose sono complete esprimono delle proprie caratteriste; a questo punto
chiamiamo ciò "forma" xing ; questo passaggio potremmo vederlo come una discesa, si è passato dal
massimo dell'indifferenziato a qualcosa di più condizionato.
A questo punto, proprio arrivati al punto più basso è qui che il zhuangzi fa il passaggio che non faceva il
laozi, il passaggio che dovrebbe dimostrarci che si può risalire dal xing, all'unità e poi all'infinito.
Gli esseri con una forma conservano dentro di se shen un elemento incondizionato e ciascuna cosa ha
delle proprie forme e delle proprie misure, chiamiamo questo stadio xing; tira in ballo il concetto di natura
umana per definire quella che è l'unità tra l'elemento più condizionato che è l'estremo di un filo che parte
dall'unità e i destini e arriva fino all'interno di un corpo con una forma. (qui comincia la possibilità del
cammino ascendente). Se il xing viene coltivato si fa ritorno al all'unità, quando il de, la potenza, ha
raggiunto il suo massimo si è tutt'uno con l'origine incondizionata. Per cui è grazie allo shen che è dentro
ciascun essere, che ciascun essere coltivando questa natura farà ritorno al de. Poi se questo livello verrà
ulteriormente coltivato sarà possibile identificarsi con il .
Il Buddhismo in Cina
Quando si parla di buddhismo in Cina o si parla di buddhismo indiano che si trasferisce in Cina o si parla di
buddhismo che ormai è esportato ed è diventato cinese.
Vi sono tre fasi del buddhismo:
1° : I – IV secolo d.C. Gli inizi dell’avventura del buddhismo in Cina
2°: V – VI secolo d.C. Si sviluppa dando origine a dei veri e propri testi. Traduzioni dal sanscrito, dal pali o
altre lingue dell’asia centrale.
2°: VII –IX secolo d.C.
Prima che ci siano delle vere traduzioni di testi ci vorrà del tempo. Il primo testo che parla di buddhismo in
Cina lo troviamo verso la metà del I secolo in un si legge che alla corte di un tale principe si svolgevano culti
e si venerava Huanlao (Huan –imperatore giallo oppure Laozi) e Fó (Buddha). Fójiào = Buddhismo (in
cinese).
Nel IV sec. d.C. nella capitale Luoyang si cominciano a tradurre testi buddhisti in cinese. Vengono
considerate traduzioni primitive, perché la grammatica indiana influenzava la traduzione cinese e non c’era
omogeneità dei termini buddhisti.
Nel V sec. d.C. arriva in Cina il maestro Kumarajiva che inaugura un nuovo modo di tradurre i testi indiani. Si
mette a capo di un equipe di traduttore, lui recita il testo in lingua originale e presso di sé ha un cinese che lo
traduce oralmente e un terzo membro che una volta ascoltata la traduzione orale era in grado di metterlo per
iscritto. A volte c’erano anche più di 3 membri.
Nel VII-IV sec. vi è l’unica fase in cui si può parlare di buddhismo cinese
In India a partire dal V secolo a.C. si è cominciato a costituire una collezione di testi. Fochang (chang
=depositare).
Si parla di sanchang, ovvero una triplicità di deposito. Questo perché i testi indiani venivano divisi in 3
depositi che contenevano testi di natura diversa, tri pitaka.
I testi si dividono in:
Sutra: sono i testi classici, i testi base perché cominciano tutti con: “in quell’occasione il Buddha disse…”
Contengono gli insegnamenti del Buddha.
Non sono trattati o regole monastiche, ma sono insegnamenti del Buddha Gautama, il Buddha storico, il
Buddha Sakyamuni.
Sastra: sono i commentari e i trattati buddhisti.
Vinaya: vuol dire “regola” ed è l’insieme di tutti gli insegnamenti che regolano la vita monastica.
Dall’India il Buddhismo si sviluppa in Cina grazie a 3 vie:
1°: ramo terrestre a nord nel deserto da Samarkanda
2°: ramo più a sud che poi arriva nella città cinese del Gansu Dunhuang e si ricongiunge con l’altra via.
3°: ramo marittimo dell’Oceano Indiano che parte dalle coste dell’India e arriva al sud della Cina (Guandong).
Il Buddhismo in India sopravvive poco in quanto aveva come religione autoctono l’induismo. Nell’induismo
c’erano le caste differenziate a secondo del luogo e dell’ambiente dove nasci ed eri destinato ad un certo
tipo di vita.
La casta dei bramini e la casta dei grandi proprietari terrieri fanno parte della casta di chi agisce.
Il buddhismo nel momento in cui si pone come via spirituale degli indiani viene vista come usurpazione del
potere dei bramini, così dopo qualche secolo quasi sparisce.
Il fatto che in Cina il buddhismo abbia uno sviluppo enorme è dato dal fatto che si innesca quel principio di
adattamento che è proprio della Cina.
Lo scopo del buddhismo è quello di superare il mondo del dolore. Dolore conseguenza del fatto che il mondo
in cui ci troviamo è impermanente. Questa impermanenza è il samsara disegnato come un ruota che gira
continuamente.
Si pensa che grazie alla meditazione si possa arrivare dallo stato di impermanenza allo stato di permanenza
che invece è chiamato nirvana dove si troverà uno stato di pace.
Colui che compie queste ascesa viene chiamato Arhat.
L’arhat è la figura del santo buddhista che è passato dal samsara al nirvana e resta lì fermo perché non ci
sono più cambiamenti.
Sempre in India però si sviluppa una dottrina che permette che questo pensiero sia meglio accolto in Cina.
Il Buddhismo appena spiegato si chiama buddhismo hinayana (yana=via – hina= piccolo).
Ma in realtà all’epoca i buddhisti indiani che seguivano questo tipo di buddhismo si chiamavano
semplicemente buddhisti. La nuova distinzione nasce quando degli altri buddhisti si considerano portatori
della dottrina del buddhismo mahayana (maha=grande).
Sarà proprio il buddhismo mahayana che si sviluppa in Cina.
Perché? La mentalità cinese accetta il buddhismo mahayana perché sostituisce l’ahrat con la personalità del
bodhisatva.
Se l’arhat permane nel nirvana il bodhisatva invece ridiscende per aiutare a salvare tutti gli altri esseri. Fa un
azione di karuna (compassione).
L’interpretazione più profonda è che il Bodhisatva una volta arrivato al nirvana si accorge che la distanza dal
Samsara non esiste in realtà, ma sono aspetti dell’assoluto. Nirvana e Samsara sono lo stesso assoluto. A
questo punto rientra nella realtà dove non è cambiato assolutamente nulla.
I cinesi quando si trovano di fronte agli insegnamenti del mahayana non si trova più l’arhat che si è salvato
ed è asceso perché proviene da una famiglia importante, ora ci si può rivolgere al bodhisatva per salvarsi dal
samsara dopo la morte.
Chanzong (Zen per i giapponesi e Song per i coreani): Unica scuola buddhista che in Cina sopravvive alla
grande persecuzione del 845 d.C. sotto l’imperatore Tang.
Per la scuola Chan l’essere umano contiene già in se stesso la natura del Buddha perfetto. Esiste però un
elemento che costringe a immaginarsi la natura del Buddha come uno stato separato che va raggiunto.
Questo elemento viene chiamato mentale e viene raffigurato spesso come un bufalo nero che corre ed è
fuori controllo. In molte raffigurazioni c’è l’uomo che cerca di attirare il mentale e non ci riesce. Poi si mostra
che l’uomo riesce ad agganciare il mentale ma lui non si fa controllare. Poi il bufalo comincia ad avere la
testa bianca e a farsi controllare. L’uomo ora può agganciarlo ad un albero tranquillamente. Poi il bufalo si
vede che è quasi tutto bianco e segue il ragazzino. Il ragazzino suona e il bufalo lo ascolta. Il ragazzo può e
dormire tranquillo mentre il mentale lo aspetta. Poi si ha una visione in mezzo alle nuvole e alla fine si vede il
ragazzo da solo perché non si preoccupa più del mentale. Infine viene rappresentato un cerchio che indica
che sono diventati un tutt’uno.
Vi sono due metodi di traduzione: la trascrizione fonetica come per esempio il termine bodhisatva che in
cinese diventa “pusa” o il termine nirvana che diventa “niepan”; oppure c’è la traduzione del termine samsara
che è “lun hui” che vuol dire ruota-ritorno, in questo caso quindi è una traduzione che va a vedere il
significato sostanziale. Si chiama metodo geyi, ovvero “analizzare il significato”. Però nemmeno quest’ultima
è la soluzione finale per la traduzione dei testi indiani.
Il buddhismo mahayana come abbiamo visto si sviluppa in Cina però anche quello hinayana si sviluppa,
soprattutto nel Sudest Asiatico, in Thailandia, Laos, Birmania.
Dopo la caduta degli Han nel nord si formano dinastie barbariche e l’elite cinese si trasferisce a sud. Questo
sud quindi contiene anche l’elite buddhista mahayana che quindi comincia a ridursi nel territorio.
Prima dello sviluppo delle scuole nel VII secolo i buddhisti cinesi sono ancora misti nella catalogazione della
varie dottrini.
Vi è la proposta di dividere le scuole in “scuola del non-essere” e “scuole dell’essere”. Per la prima volta
viene dubitata della realtà del mondo fenomenico e viene introdotto il concetto di sunya, il vuoto.
Il concetto di vuoto non era mai venuto in mente in quanto si dava per assodata la realtà del mondo
manifestato.
I buddhisti indiani invece lo pensano. In Cina i buddhisti si trovano di fronte al conetto di mondo fenomenico
(samsara), esistenza, e mondo incondizionato, il nirvana, la non esistenza.
Le scuole dell’essere insistono sulla realtà del mondo fenomenico.
Le scuole del non-essere considerano reale solo il mondo incondizionato.
La dottrina daoan per esempio afferma il non-essere originario (benwu) di tutti i fenomeni (in indiano dharma,
tradotto “fa”). Ogni cosa è dipendente e quindi non permane. Qualsiasi cosa esiste solo nel momento in cui
viene vissuta, subito dopo sparisce perché non permane.
La Scuola Chan 儒儒
Chan concentrazione)子(scuola)
子(meditazione,
Vi è il problema della concezione di sunya - vuoto. Vuoto della realtà fenomenica per il buddismo perché è
impermanente. Il lavoro per far passare questa concezione è lungo, ci sono voluti alcuni secoli. Quello che
sblocca la situazione per i buddhisti che arrivavano in Cina è l'arrivo di Kumarajiva nel 402 e organizza
un'equipe di traduzione per i principali testi mahayana. Anche i trattati della scuola Madhyamaka (mediana)
che cerca in qualche modo, però continuando a speculare, di uscire dalla dualità di fenomeni come
esistenza e fenomeni come non-esistenza. La scuola mediana cerca di uscire da questa concezione con
quattro affermazioni:
-impossibilità di affermare che i fenomeni esistono
-impossibilità di affermare che i fenomeni non esistono
-impossibilità di affermare che i fenomeni a un tempo appartengono all'esistenza e alla non esistenza
-impossibilità di affermare che i fenomeni non appartengono né all'esistenza né alla non esistenza.
Il monaco e traduttore Xuanzang introduce in Cina i testi della scuola Yogacara con il trattato Cheng weishi
lun, "nient'altro che coscienza". In questo trattato si afferma che l'intera manifestazione dei fenomeni può
essere ridotta alla coscienza che l'essere ne ha.
questa estremizzazione del ruolo della coscienza fa si che a un certo punto però ci debba essere una
correzione, introducendo fra le diverse coscienze frammentarie una coscienza che viene chiamata zangshi
"coscienza-deposito" in un vengono immagazzinate tutte le percezioni che l'essere vive; fa così apparire
permanente e irreale ciò che è impermanente e illusorio.
Scuola Tientai, anch'essa a un certo punto prende in considerazione la questione della realtà o meno del
mondo fenomenico. Concetti fondamentali:
zhi – fermarsi/ far fermare
子 guan - contemplare.
子
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher BassSyndrome di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle religioni e della filosofia della Cina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Ca' Foscari Venezia - Unive o del prof Cadonna Alfredo.
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