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La crisi tra Giacomo I e il parlamento

Tra Giacomo I e il parlamento non c'era possibilità d'intesa. I Comuni erano sospettosi di un re che si definiva al di sopra della stessa legge e quindi avevano paura che ogni accordo non fosse poi rispettato. Il re temeva che ogni concessione potesse costituire un precedente che potesse poi intaccare il suo potere prerogativo.

"In questa crisi, destinata a condurre alla guerra civile e infine all'esecuzione del re, la questione di fondo era... quale fosse la sede della sovranità e se si poteva ancora giustificare l'accentramento del potere nelle mani del re" (38).

Il parlamento fu sciolto il 6 dicembre 1610, senza che esso avesse approvato i fondi che il re aveva chiesto. "Il Lord cancelliere, ripensando a questo parlamento dopo il suo scioglimento, trovava che mentre i poteri del re e dei Lords si erano ridotti, i Comuni erano diventati potenti e audaci... la cosa non terminerà (se non sarà fermata a tempo) finché non..."

sfocierà in un'aperta democrazia » (39). Fino al 1614 Giacomo governò senza parlamento. Ma le esigenze di uno stato in crescita nella sua organizzazione e nella dilatazione delle sue funzioni, la politica dispendiosa di un sovrano che elargiva ai suoi favoriti, creavano un continuo bisogno di mezzi finanziari sempre più imponenti, che non potevano essere reperiti con le sole entrate ordinarie della corona. E poiché molto spesso Giacomo non riusciva ad imporre dei prestiti forzosi per la baldanza dei mercanti che non avevano paura di opporre un rifiuto alle esose richieste del re, «egli fece ricorso ad un altro metodo per raccogliere fondi, senza precedenti - credo - prima del suo regno, sebbene praticato in Francia: la vendita delle cariche. Egli vendette parecchi titoli di pari per somme considerevoli e creò un nuovo ordine di cavalieri ereditari, chiamati baronetti, i quali pagavano 1000 sterline per il titolo » (40). Dietro

L'insistenza del partito di corte, di cui era leader Bacone, il re decise di convocare un nuovo parlamento per il cinque aprile 1614. Questo partito si era proposto l'obiettivo di creare le condizioni necessarie per stabilire un qualche controllo o una qualche influenza sul parlamento. Secondo i suoi piani, il re doveva dimostrare una certa apertura verso i Comuni, dichiarandosi disposto a fare certe concessioni, "ela Camera, certamente, non sarebbe stata così taccagna da rifiutare i tributi richiesti" (41).

Nello stesso tempo, i personaggi più influenti del partito, "... descritti come curatori, si impegnarono a fare eleggere candidati amici per ottenere una maggioranza favorevole al governo" (42). Ma il progetto di addomesticare il parlamento fallì per l'ostinazione dei Comuni, che si rifiutarono di votare i fondi richiesti finché non fosse stata soddisfatta la richiesta di riparazione dei torti lamentati, e per

L'imperizia del partito e dello stesso re, che non seppero far fronte alle aspettative che avevano creato con le loro promesse. Il parlamento fu sciolto dopo breve tempo senza aver approvato alcuna legge o provvedimento. Alcuni dei suoi membri, quelli che si erano più distinti nel difendere le prerogative del parlamento, furono arrestati alla chiusura delle Camere e questa violazione della libertà di parola, ormai riconosciuta da tempo, creò un pericoloso precedente per la corona.

I piani del re e dei suoi cortigiani fallirono perché essi sottovalutarono il potere del parlamento, al contrario dei Tudor che, formalmente, lo considerarono sempre compartecipe della sovranità dello stato. I Tudor erano coscienti che non avevano nulla da temere dal parlamento finché lo controllavano attraverso la leadership che vi esercitavano i loro ministri. Gli Stuart non si preoccuperanno mai di farvi sedere permanentemente i loro consiglieri.

più influenti per esercitare su di esso il potere di influenza necessario per farlo agire nel senso desiderato, pur riconoscendogli, nella forma, una certa autonomia decisionale. Ma, per farlo, gli Stuart avrebbero dovuto essere più realisti e meno arroganti. Il loro diletto di fondo - che li spingerà fino all'ottusità - era l'arroganza del potere. Essi si sentivano depositari di un potere che non veniva dal basso, dal popolo rappresentato dal parlamento, ma veniva dall'alto, da un'Entità che era al di sopra degli uomini: da Dio. Essi sentivano di essere re per grazia di Dio e non per volontà del popolo, collegandosi in questo con gli altri sovrani del continente europeo, dove «l'assolutismo trionfava quasi ovunque» (45). La guerra civile si combatterà per stabilire quale di questi due principi era quello giusto. Il popolo prevarrà e affermerà - una volta per tutte - il principio secondo il quale,

quando un re non gode la fiducia del popolo, questo ha il diritto-potere di deporlo e di mandarlo al patibolo. Questo principio non era del tutto nuovo nellastoria inglese. Altre volte il parlamento aveva deposto dei sovrani, ma questa volta si spingerà oltre, mandandolo al patibolo.« Quando Giacomo si lamentò con l'ambasciatore spagnolo, [non senza ragione], che i Comuni era diventati un corpo senza testa che "esprimeva i suoi pareri in modo disordinato" con nient'altro che "grida, schiamazzie confusione", egli non si rendeva conto che egli stesso ne era il responsabile. La Camera andava alla ricerca di una nuova leadership e in questa sua ricerca procedeva a tentoni. Se i Comuni avessero potuto lasciare i problemi di alta politica ad uomini in cui avevano fiducia, che fossero stati presenti sul posto per spiegare loro il pensiero reale, essi sarebbero stati, forse, meno propensi ad incamminarsi su questo terreno. Ma il ritorno del Consiglioprivato alla sua vecchia composizione aristocratica, che era stata eliminata sotto i Tudor, aveva lasciato pochi consiglieri disponibili per occupare un seggio nella Camerabassa. Più di una metà dei membri dell'ultimo consiglio di Elisabetta - in verità due terzi di quelli effettivamente in carica - erano borghesi che sedevano nella Camera dei Comuni; nel 1613, in un consiglio molto più ampio, il numero dei borghesi era molto più limitato e non si facevano grandi sforzi per trovare un seggio in parlamento neanche a questi pochi. Nella prima sessione parlamentare del regno i consiglieri presenti erano soltanto due » (46). «Ne conseguì che l'opposizione assunse in tono più deciso ed agguerrito» (47). Il numero dei consiglieri aumentò nei parlamenti successivi, ma Giacomo «fu lento a percepire l'importanza» e l'utilità di fare dei consiglieri il veicolo attraverso.

Il quale stabilire il suo controllo sulla Camera bassa, cosa che, i Tudor seppero fare in modo egregio.« Quasi senza essere notati i Consiglieri Privati cessarono d. esercitare la loro leadership sui Comuni. E altrettanto insosservato, senza un documento o una carta che potesse servire da pietre miliare, venne allaribalta del potere nei Comuni un gruppo d. leaders, che non avevano alcun legame ufficiale col governo, che tra loro stessi non avevano vincoli comuni, tranne quello delle opinioni e dei sentimenti che legavano come classe la piccola nobiltà di campagna. Questi uomini, senza prefiggerselo e inintenzionalmente, ma col solo scopo di risolvere i problemi come venivano ponendosi, crearono una nuova leadership. Col sorgere di questa nuova leadership i Comuni [acquisteranno; il reale potere di iniziativa » (49). Questi uomini nuovi si resero interpreti del pensiero delle Camera che era a favore di una riforma della chiesa e contro la concezione assolutistica del potere.

dì Giacomo I e, con la loro infiammata oratoria, con la forza delle loro argomentazioni, basate su una ricerca storica imponente e una profonda conoscenza delle lotte parlamentari combattute nel passato, con la loro scienza giuridica e la loro dedizione alla causa dei poteri acquisiti del parlamento, riuscirono a trascinarla contro un sovrano che, con la sua teoria del potere assoluto, intralciava lo sviluppo della classe di cui erano espressione massima: la borghesia. Giacomo aveva confusamente capito il ruolo che questi uomini svolgevano e in un primo momento cercò, dopo la chiusura delle Camere nel 1610, di conquistarli al campo realista. Il suo tentativo ebbe un parziale successo e nel parlamento del 1614 alcuni di essi, i Nevill, Yelverton, Hyde, Crewe, Dudley e Digges, sposarono la causa della corona, ma questo (assieme agli altri accorgimenti di cui abbiamo parlato prima) non servì a vincere la determinazione della Camera a combattere la sua battaglia. Ai vecchi leaders,

Passati al campo monarchico, se ne sostituirono dei nuovi. E « il repentino scioglimento del parlamento non fu sufficiente per lenire l'esasperazione di Giacomo. Quattro deputati che si erano distinti di per la loro foga oratoria, Wentworth, Horkins, Christopher Nevill e Sir Walter Chute, furono imprigionati nella Torre. A Sir Edwin Sandys e quattro altri deputati fu ordinato, nello stesso tempo, di non allontanarsi da Londra senza un regolare permesso, mentre Sir John Gavile, Sir Roger Owen, Sir Edward Phaelips e Nicholas ni- Hyde, furono puniti licenziandoli » (50) dal loro impiego governativo.

Ma dove non erano servite le blandizie, le maniere forti si dimostrarono ancora più controproducenti. Il solco tra Giacomo e il parlamento divenne più profondo; e queste misure, che saranno ripetute nel parlamento del 1621, non eviteranno che questi uomini, a cui se ne aggiungeranno altri, si mettano alla testa del parlamento per guidarlo nello scontro frontale con Carlo.

I.Il parlamento del 1614 era rimasto in vita solo due mesi. Esso fu sciolto senza aver votato i mezzifinanziari per cui era stato convocato. Ma Giacomo era ormai deciso a fare a meno di esso e risolvere iproblemi finanziari per altre vie. Nello stesso anno egli cercò di imporre una « benevolenza » che suscitòl'opposizione di tutti gli strati sociali a cui la si voleva imporre, compresi gli sceriffi. Essa venne dichiarata illegale in base allo statuto approvato nel regno di Riccardo III. Solo i sostenitori della corona, l'alto clero intesta, si autotassarono per aiutare le casse dello stato.

Fino al 1621 Giacomo adottò una politica fiscale rigorosa, spremendo tutte le fonti ordinarie e straordinarie delle entrate; nello stesso tempo restrinse i cordoni della borsa per la spesa pubblica e il mantenimento dellacasa reale`. Sembrava che il tentativo di governare il paese senza convocare il parlamento fosse destinato al successo. Nel 1620 si era

sero il governo a prendere ulteriori misure per ristabilire l'ordine e la stabilità. Furono introdotte nuove tasse e imposte, che aumentarono il malcontento tra la popolazione già provata dalle precedenti misure. Inoltre, il governo cercò di limitare la libertà di stampa e di espressione, cercando di controllare le informazioni che circolavano tra la gente. Queste misure autoritarie portarono a una crescente tensione sociale e politica, che alla fine sfociò in una rivolta popolare nel 1622. La rivolta fu violentemente repressa dal governo, ma segnò l'inizio di un periodo di instabilità e conflitto che avrebbe caratterizzato il paese per i successivi decenni.
Dettagli
Publisher
A.A. 2010-2011
13 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-LIN/10 Letteratura inglese

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher flaviael di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della cultura inglese e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Crisafulli Lilla Maria.