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Nel 1467 una disputa fra gli Hosokawa e gli Yamana sulla successione allo shogunato diede avvio alla guerra civile
Ōnin, che segnò l’inizio di un lungo periodo di guerre civili detto appunto periodo Sengoku, o dei territori
belligeranti. Alcuni storici fissano in questo momento la fine dell’epoca Muromachi-Ashikaga, anche se l’ultimo
shōgun Ashikaga fu deposto nel 1573. Durante il periodo Sengoku si assistette al totale declino del sistema
imperiale e della autorità del bakufu. Un altro fenomeno centrale del periodo fu il processo gekokujō (“dominio
degli inferiori sui superiori”): gli shugo più potenti, infatti, risiedendo nella capitale, dovevano affidarsi ad
amministratori locali, spesso incompetenti e finirono per perdere definitivamente il controllo sulle loro province.
Contemporaneamente si assistette all’ascesa delle famiglie vassalle provinciali (kokujin) al loro posto e, dopo la
guerra Ōnin, le province si suddivisero in tanti piccoli domini, governati dai kokujin, ora identificati come sengoku
daimyō, in continua lotta per il possesso di territori. I loro domini prescindevano dai vecchi confini delle province e
assorbirono gli shōen, con una dissoluzione definitiva del rispettivo sistema. Inoltre, diversamente dagli shugo,
erano indipendenti, in quanto possedevano per intero i territori che controllavano ed emanavano al loro interno un
proprio codice legale o bunkokuhō (“norme della casa”). Riscuotevano inoltre le tasse nei villaggi, i mura, nei loro
domini. Attorno ai castelli dei sengoku daimyō si raggrupparono i guerrieri formando vere e proprie città castello, i
jōkamachi. Le varie realtà locali presentavano comunque grande coesione interna.
Proprio per questo motivo durante il periodo Muromachi vi furono anche importanti progressi economici. Il “boom
economico” Muromachi fu innanzitutto provocato dalla nascita di nuove tecniche agricole, anche grazie all’uso dei
fertilizzanti e al miglioramento delle tecniche di irrigazione, che causarono la produzione di un surplus agricolo
introdotto sul mercato. Per quanto riguarda il commercio interno esso fu favorito da una maggiore specializzazione
nella produzione, con la conseguente nascita delle za, corporazioni di artigiani e mercanti specializzate in
determinati prodotti (spesso con monopolio). Mentre quello marittimo con Cina e Corea aumentò, favorito anche
dagli sviluppi nelle tecniche navali, con un continuo ingresso di prodotti e innovazioni, come merci pregiate, tecniche
per la lavorazione dei tessuti, monete di rame… Con l’estrazione di metalli, in parte usati per scambi a peso e in
parte per forgiare monete, inoltre, si sviluppò un’economia monetaria, favorita anche dal commercio. La moneta
assunse un ruolo rilevante e nacquero nuove professioni come quella del cambiavalute o del prestatore. Una
conseguenza sociale dovuta allo sviluppo economico fu, per esempio, il moltiplicarsi di nuove forme di ricchezza a
favore dei bushi, dei templi e della nuova classe emergente dei mercanti. Nacquero anche nuovi centri urbani, oltre
ai jōkamachi, comunità si svilupparono attorno a templi e santuari e nei porti e luoghi di mercato più importanti
(fra le città più importanti Hakata e Sakai), che riuscirono ad ottenere anche certo grado di autogoverno e
autonomia politica.
Questa vitalità economica e sociale fu accompagnata da un marcato progresso culturale: nacquero le nuove forme
teatrali del Nō e del Kyōgen e anche la popolazione comune cominciò a fruire della letteratura, soprattutto in forma
orale, con la conseguente nascita di una cultura popolare: alcuni esempi di generi diffusi nel periodo furono gli
otogizōshi (racconti medio-brevi di autori anonimi inizialmente di diffusione orale, incentrati su temi vari) o le poesie
a catena chiamate renga. Intanto i templi Zen, che ricoprirono un importante ruolo da tramite nei rapporti con la
Cina, furono il fulcro di fermenti culturali: nacquero nuovi stili architettonici e paesaggistici (giardini), nuove forme
artistiche (ikebana) e nuove tecniche pittoriche di derivazione cinese.
Durante la prima metà del 1500 arrivarono anche i primi mercanti portoghesi in Giappone, che riuscirono a stabilire
un monopolio come unici intermediari commerciali legalizzati fra Giappone e Cina, a seguito dei bandi marittimi
cinesi posti dalla dinastia Ming a causa della pirateria e del declino del bakufu dopo la ripresa dei commerci sotto lo
shōgunato di Yoshimitsu. Insieme ai mercanti giunsero anche i missionari gesuiti portoghesi, tra cui uno dei
fondatori dell’ordine Francesco Saverio, con l’intento di svolgere attività missionaria. Tuttavia il Cristianesimo non
ebbe un grande impatto sulla cultura giapponese e la conversione di molti daimyō fu determinata più dal loro
desiderio di partecipare alle attività commerciali con i portoghesi, che non da ragioni spirituali.
Capitolo quarto
Verso un feudalesimo centralizzato: la riunificazione del Paese e l’istituzione del bakufu di Edo
1. L’avvio dell’opera di riunificazione: dall’ascesa di Oda Nobunaga al regime di Toyotomi Hideyoshi
Il superamento dello stato di decentramento scaturito dalle contese del periodo Sengoku fu dovuto all’opera di tre
daimyō. La premessa che rese possibile la riunificazione fu l’emergere di alcuni daimyō più potenti degli altri:
costoro disponevano di maggiori risorse economiche, sia agricole, sia legate alle nuove attività commerciali, e di
maggiori risorse militari, grazie all’utilizzo di armi da fuoco e all’alleanza con altri daimyō minori. Uno di questi, Oda
Nobunaga, dopo aver sconfitto i principali nemici e consolidato il proprio potere, conquistò Kyōto nel 1568
appoggiato dall’Imperatore e dal pretendente allo shogunato, Ashikaga Yoshiaki, che egli insediò, pur privandolo
dei suoi poteri. Lo shōgun iniziò così a cospirare per uccidere Nobunaga, che reagì esiliandolo nel 1573 e ponendo
fine al periodo Muromachi e dando inizio al periodo Azuchi-Momoyama (1573-1598). L’affermazione del potere di
Nobunaga continuò con il ricorso alla violenza: i daimyō rivali, i templi e i mercanti di Sakai furono via via sconfitti.
Brutale fu la sua azione contro i monasteri, gettando le basi per l’assoggettamento del Buddhismo e dello
Shintoismo al governo militare. Nei primi anni al potere Nobunaga, essendo stato il primo giapponese ad usare le
nuove armi da fuoco, avviò una fase di costruzione di fortezze in pietra in grado di resistere agli assalti di questo
genere di armi, costruendo nel 1576 il castello di Azuchi, sulle sponde del lago Biwa. Inoltre riorganizzò i nuovi
possedimenti, assegnando le terre confiscate ai suoi vassalli, nelle quali fu ricalcato il modello di Azuchi di un
quartier generale fortificato dove concentrare le truppe armate. Ciò favorì l’allontanamento dei guerrieri dalle zone
rurali e contribuì ad avviare la separazione della classe militare da quella contadina, nota come heinō bunri, poi
rafforzata nel corso degli anni con una serie di provvedimenti, come per esempio la confisca delle armi della
popolazione non guerriera. Nobunaga attuò anche diversi provvedimenti per il controllo delle istituzioni religiose,
per il controllo del commercio e per l’organizzazione delle zone rurali, con l’imposizione in quest’ultimo caso, per
esempio, della consegna dei registri catastali. Egli, inoltre, assunse il diritto di trasferire da un feudo a un altro i suoi
vassalli.
Dopo aver fatto ciò, nel 1577 Nobunaga avviò una campagna militare con l’obbiettivo di riunificare il Paese.
Egli venne però assassinato da un suo vassallo nel 1582, ma la sua opera fu ripresa da Toyotomi Hideyoshi, il suo più
importante generale. Nel 1584 egli aveva stabilito la sua base a Kyōto presso il palazzo di Momoyama, ma il suo
quartier generale a Ōsaka, dove egli costruì un imponente castello. Nel 1585 venne nominato kanpaku e l’anno
seguente assunse il cognome di Toyotomi. Nel 1590 completò la riunificazione militare del Giappone, anche se il
suo potere non era assoluto e si basava sulle alleanze con gli altri daimyō. Questi ultimi ammontavano a quasi
duecento e molti avevano ricevuto tale carica in cambio del riconoscimento della supremazia di Hideyoshi e in tal
senso egli fungeva da garante della loro posizione. Essi potevano essere fidati come i “daimyō della casa” o ex
nemici sottomessi come i “daimyō esterni”, spesso più potenti dei primi. Pertanto Hideyoshi provvide a disporli
strategicamente nelle varie e regioni e pretese che essi inviassero a Ōsaka un proprio familiare o vassallo come
ostaggio. Il Paese risultava ancora frammentato in numerose entità territoriali, note come han, ciascuna governata
da un daimyō. Dopo aver ristabilito la pace interna, Hideyoshi creò una nuova organizzazione amministrativa, nota
come taikō kenchi, a partire dalla revisione catastale realizzata dal suo predecessore: fu introdotto il sistema
kokudaka, che consisteva nella misura delle terre sulla base della loro produttività, calcolata in koku (riso, 1 koku =
150kg di riso). Le terre erano poi distribuite ai contadini, che avevano l’obbligo di lavorarle e versare al daimyō una
quota del raccolto (basata sulla produttività media). I contadini erano organizzati in mura autogestiti e
rispondevano allo shōya (capovillaggio), che doveva prelevare l’insieme delle quote e darlo al daimyō. Queste risorse
servivano al daimyō per pagare l’amministrazione interna al suo dominio, composta dai suoi guerrieri. Gli effetti del
taikō kenchi furono molteplici: innanzitutto la possibilità di constatare l’effettivo potere economico dei vassalli e poi
la progressiva trasformazione dei samurai in amministratori al servizio dei daimyō, con un conseguente accentuarsi
della separazione fra classe guerriera e popolazione comune già promossa da Nobunaga, a cui contribuì
ulteriormente la “caccia alle spade” (1588). In ambito economico Hideyoshi favorì lo sfruttamento minerario,
promosse il libero commercio interno, ma abolì le za, promosse Ōsaka come nuovo fulcro degli scambi. Per quanto
riguarda la politica estera, egli, usando come pretesto il rifiuto di una richiesta di libero transito in Corea, ordinò ai
suoi vassalli di invadere la Corea (con l’obiettivo ultimo di invadere la Cina). Le vere ragioni del conflitto erano le
prospettive di guadagno col Continente e la volontà di indirizzare fuori dal Paese le smanie di conquista dei daimyō.
Le due spedizioni (1592/1597) furono compromesse dalla sua morte nel 1598. Dopo un iniziale apertura di
Hideyoshi verso i gesuiti, il suo atteggiamento cambiò radicalmente e per paura del “potenziale ribelle” dei cristiani
emanò diversi editti contro di loro, vietò ai daimyō di convertirsi e distrusse gli edifici religiosi cristiani, cacciando i
padri. Esemplare in questo senso è il cosid