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Augusto stabilì che alcuni giuristi scelti da lui personalmente potevano dare
responsa fondandoli sulla sua auctoritas. Questo comportava che i responsi dei
giuristi autorizzati avrebbero orientato e vincolato i giudici nei tribunali, perché
andavano oltre i confini del parere puro e semplice. I giudici erano tenuti ad
attenersi su questi principi, perché provenivano direttamente dal princeps. Quei
pareri avevano un peso rilevante in sede processuale. Avevano effecacia come
manifestazione della volontà imperiale.
Ma allora gli altri giuristi che non avevano lo IUS RESPONDENDI che dovevano fare?
Potevano svolgere la loro attività di consulenza ma propria et privata auctoritate. La
mancanza di questa autorità imperiale li rendeva emarginati, dato che i loro pareri
non erano vincolanti in sede processuale.
Motivazioni di questo provvedimento: aveva un chiaro rilievo politico perché
attraverso questo strumento l'imperatore poteva esercitare un controllo politico
sulla giurisprudenza e sui giuristi. Era uno strumento che veniva conferito solo a
determinati giuristi, a quelli più fidati, più graditi al princeps, a quelli più conformi
all'ideologia imperiale. Pomponio ricorda la ratio del provvedimento augusteo:
questo strumento sarebbe stato introdotto "ut maior iuris aberetur", per accrescere
l'autorità del diritto nel senso di ridurre lo IUS CONTROVERSUM, diritto incerto
alimentato sia dall'autenticità del diritto che dalla contraddittorietà dei giudizi per
cui disorientava i giudici in sede processuale.
Guarino parla di patente di buon giurista e con tiberio questo assume la
denominazione di ius publicae respondendi, privilegio imperiale così importante da
consentire ai giuristi di condere iura, introdurre principi giuridici nuovi. Gaio
introduce i responsa prudentium, "pareri e opinioni di coloro a cui è permesso
creare il diritto."
Questo creò convergenze, contrasti di opinioni di vari giuristi ufficiali. Problemi in
sede applicativa. Infatti, dalla metà del 1 secolo d. C. I principi limitarono tale ius
respondendi. Adriano stabilì un principio secondo cui i responsa dei giuristi
avrebbero vincolato i giudici solo se conformi tra di loro e nel caso di pareri
contrastanti il giudice poteva scegliere il parere che riteneva più opportuno.
Dato che era raro trovare un'uniformità di vedute, si iniziarono a usare sempre
meno i responsa prudentium ma a sostegno delle proprie ragioni si iniziarono ad
utilizzare gli scripta imperiali.
La giurisprudenza del principato (classica) è la giurisprudenza che opera dal 1 al 3
secolo d.c. Questa giurisprudenza si sviluppò fin dalle prime fasi, raggiunse il
culmine nel 2 secolo, dall'età di Adriano in poi che rappresenta il secolo aureo della
civiltà romana. Mentre in età repubblicana i giuristi erano nobili e ricchi, nell'età del
principato non erano necessariamente ricchi ma potevano vivere sull'onorario dato
dai loro discepoli. Mentre i giuristi del 1 secolo come i giuristi repubblicani furono
perlopiù di rango senatorio, dal 2 e 3 secolo si diffusero i giuristi di rango equestre e
provinciali. A partire dal 2 secolo i giuristi tendono ad identificarsi tra i funzionari del
principe, consiglieri ed entrano nell'organo consultivo.
Per quanto riguarda l'attività del respondere persiste nell'età del principato
ma cambia, perché pur fondandoli sul caso casistico viene lasciato sempre più
spazio alla motivazione.
Cavere: quest'attività si riduce sempre più fino a scomparire del tutto a
causa della diffusione dei formulari.
Agere: quest'attività si riduce progressivamente fino a scomparire del tutto con la
diffusione della cognitio extra ordinem che sostituirà il processo formulare.
Si incrementa l'attività scientifica - letteraria che riceve un enorme impulso. I giuristi
scrivono opere di diritto. Vari tipi di opere in particolare:
1.casistiche = rientrano i cd libri responsorum, raccolta di pareri su questioni
giuridiche, su casi reali. Rientrano i libri questionem, pareri su casi fattizi e ipotetici
sottoposti ai suoi allievi. Libri di gestorum, sono raccolte miste di responsa e
questiones, antologie verie e proprie.
2.di commento = i cd commentari, i giuristi commentano l'editto, o leggi o testi di
altri giuristi.
3.didattiche = rivolte all'insegnamento, trattazione semplici del diritto rivolte agli
studenti (libri istitutionem). Rientrano i libri regolarum, libri che contengono regole
rivolte a coloro che operano il diritto
4.monografiche= libri singulares, libri su argomenti specifici.
Ricostruiamo il quadro delle principali figure dei giuristi:
1 secolo, si apre con l'antitesi di due scuole, propuliani e sabiniani.
Circoli giuridici, infatti Gellio parla di stationes, luoghi di aggregazione di giuristi.
Pomponio parla di secte, diverse fazioni.
Quest'antitesi risale alla rivalità fra due giuristi augustei, Labeone e Capitone.
Rivalità dovuta probabilmente ad una diversa posizione politica. Labeone, giurista
molto originale, ha avuto però poca fortuna politica perché era un rigido
conservatore e fu grande oppositore di Augusto. Capitone, invece, molto meno
creativo ma ebbe grandissima fortuna politica perché fu fautore di Augusto, gradito
negli ambienti ufficiali. Labeone fonda la scuola dei Propuliani, prende il nome dal
primo allievo di Labeone, Propulo. Capitone fonda la scuola dei Sabiniani, che
prende anche qui il nome dal suo primo allievo, Sabino. Differenze di tipo
accademico più che sostanziale, l'appartenenza all'una o all'altra scuola
dipendendeva da rivalità personali, tradizioni familiari, rapporti di amicizia non per
merito accademico .
Alla fine del 1 secolo emerge la figura di Giamoleno Prisco che è un giurista di
ingegno vivacissimo, autore forse di 14 libri epistolarum, raccolta di pareri su
argomenti di diritto civile in risposta a delle domande molto spesso rivolte a lui.
2 secolo, età aurea. Si collocano figure di grandi giuristi, in particolare Salvio
Giuliano. Anche Pomponio, Gaio. Alla fine del secondo secolo, Papirio Giusto.
Salvio Giuliano è considerato il più grande dei giuristi, addirittura del mondo
romano. Nasce in Africa e fu allievo di Giavoleno. Oltre ad aver codificato l'editto
pretorio, è autore di 90 libri di rigesta. Rappresenta il primo serio avvio verso la
unificazione di questi sistemi che si compirà in età tardo antica. In quest'opera
analizza anche le leges publicae e costituzioni imperiali, quindi su fonti regesse e
fonti nuove.
Pomponio, autore di 150 libri di commento all'aditto del pretore. Commento anche
ai 18 libri di Quinto Mucio Scevola, in 39 libri ad Quintum Mucium. Commenta anche
i 3 libri di diritto civile di Sabino. Infine, autore del famoso Enchiridium, manuale di
storia giuridica romana.
Gaio, autore delle famose istitutiones, manuale didattico in 4 libri. Importanti perché
furono ritrovate a Verona nell'800 in un manoscritto, unico caso in cui ci è giunta
l'opera per intero oltre l'opera di Giustiniano.
Papirio Giusto, autore di 20 libri costitutionum in cui raccoglie le costituzioni
imperiali di Lucio Vero e Marco Aurelio. Ne fa una sintesi, non le porta per intero. È
importante perché l'opera è originale, mette insieme il diritto imperiale, anticipa di
circa un secolo i codici.
Giuristi del 3 secolo d.C., dell'età dei Severi. Con la fine della dinastia dei severi
inizia la parabola discendente della giurisprudenza romana, non vengono più
ricordati grandi nomi di giuristi. Lavorano nell'anonimato. Ultimi giuristi di cui