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La questione non è ammissibile
anzitutto, con riferimento ai giudizi principali di cui al r.o. n. 152, n. 153, n. 154, n. 178, n. 179 en. 215 del 2008, in conseguenza della fondatezza della prima questione. Il rimettente riferisce, infatti, che, nei giudizi principali, la mancata conferma dei ricorrenti, e la loro sostituzione con nuovi componenti del collegio sindacale, è stata disposta in applicazione del meccanismo di decadenza automatica previsto dall'art. 133, comma 5, della legge reg. Lazio n. 4 del 2006. Ne deriva che, dichiarata illegittima tale previsione legislativa, e venuto quindi meno, con a quibus, essa, anche l'effetto di cessazione dalla carica dei ricorrenti nei giudizi diviene irrilevante, ai fini della decisione di questi ultimi, la questione relativa alle modalità di designazione dei nuovi componenti e alle eventuali status carenze della disciplina dello dei membri dei collegi sindacali.
La questione non è ammissibile, inoltre, con
Riferimento al giudizio principale di cui al r.o n. 180 del 2008, nel quale, tuttavia, essa non si presenta collegata a quella relativa al meccanismo di decadenza automatica di cui all'art. 133, comma 5, della legge regionale Lazio n. 4 del 2006.
Relativamente a tale giudizio, il rimettente, infatti, muove da un erroneo presupposto interpretativo. Dal carattere asseritamente lacunoso della disciplina statale sulla designazione e sulle garanzie dei componenti dei collegi sindacali, trae il convincimento che l'amministrazione disponga di un potere arbitrario di revoca dall'incarico, esercitabile e anche al di fuori dei casi di cessazione dalla carica espressamente previsti dalla legge.
In realtà, la circostanza che le designazioni dei membri del collegio sindacale non siano l'esito di una procedura selettiva, o che manchino specifiche disposizioni sul potere di revoca degli incarichi, non comporta la conseguenza su cui il rimettente fonda la rilevanza.
della questione nel giudizio principale, e cioè che i poteri di designazione e revoca dei componenti dei collegi sindacali, che hanno presupposti diversi, possano essere esercitati arbitrariamente dall'amministrazione. Tali poteri restano comunque sottoposti alle regole generali sull'azione amministrativa, alla cui stregua il giudice amministrativo può sindacarne gli atti di esercizio.
83) CORTE COSTITUZIONALE - sentenza 23 marzo 2007 n. 104
Vengono all'esame della Corte questioni di legittimità costituzionale relative a disposizioni legislative della Regione Lazio e della Regione Siciliana in materia di regime della dirigenza nelle aziende sanitarie locali e nelle aziende ospedaliere, nonché nell'amministrazione e negli enti regionali.
Con sei ordinanze di identico contenuto (r.o. nn. da 9 a 14 del 2006), il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale del "combinato disposto"
dell'articolo 55, comma 4, della legge della Regione Lazio del 2004, n. 1a (Nuovo Statuto della Regione Lazio), e dell'articolo 71, commi 1, 3 e 4, lettera ), della legge della Regione Lazio del 2005 n. 9 (Legge finanziaria regionale per l'esercizio 2005), in riferimento agli articoli 97, 32, 117, terzo comma, ultimo periodo, e 117, secondo comma, lettera ), della Costituzione.
Si tratta di disposizioni che configurano nella Regione Lazio – e nel caso di specie sono applicate ai direttori generali delle Asl – il metodo di relazioni fra politica e amministrazione nel quale si riflette "la scelta di fondo di commisurare la durata delle nomine e degli incarichi dirigenziali a quella degli organi d'indirizzo politico" (sentenza n. 233 del 2006).
Va esaminata, in primo luogo, l'eccezione di inammissibilità sollevata, da alcune parti private (controinteressate nei giudizi principali), sul presupposto che il giudice remittente sarebbe
incorso in una «evidente contraddittorietà» di motivazione circa la sussistenza della propria giurisdizione, per aver confuso l’insediamento del nuovo Consiglio regionale e, cioè, l’evento oggettivo cui è collegata, secondo le norme censurate, l’automatica cessazione dalla carica con la discrezionalità dell’amministrazione nel determinare l’effetto (l’automatica cessazione della carica) stabilito dalla norma. Nel giudizio principale, gli interessati hanno impugnato, da un lato, la lettera con la quale il presidente della Regione ha comunicato a ciascuno di loro che l’incarico di direttore generale sarebbe cessato il novantesimo giorno successivo all’insediamento del nuovo Consiglio regionale, così manifestando la volontà di non confermarli nell’incarico; dall’altro, gli atti di nomina dei nuovi direttori generali. Il carattere discrezionale sia della «non conferma»,sia alla gestione finanziaria. Inoltre, i dirigenti delle Asl sono nominati con decreto del Presidente della Regione, su proposta dell'Assessore alla Sanità, e sono soggetti alle norme di diritto pubblico in materia di incompatibilità e decadenza. Pertanto, alla luce di tali considerazioni, si può affermare che la questione sollevata dal giudice remittente riguardo alla decadenza automatica dei componenti degli organi istituzionali delle Asl è ammissibile e non implausibile.quanto agli organi; i loro bilanci e rendiconti sono approvati dalla Regione, che assicura le necessarie risorse finanziarie; il loro organo istituzionale di vertice – il direttore generale – è nominato dal presidente della regione. In ogni caso, la Regione Lazio ha definito enti pubblici dipendenti dalla Regione tutti quelli «che operano nell'ambito del territorio regionale e nelle materie riservate alla competenza della regione stessa» (art. 56 della legge regionale del 2001, n. 25, recante «Norme in materia di programmazione, bilancio e contabilità della Regione»). Infine, la giurisprudenza della Corte ha qualificato le Asl come lo «strumento attraverso il quale la Regione provvede all'erogazione dei servizi sanitari nell'esercizio della competenza in materia di tutela della salute ad essa attribuita dalla Costituzione» (sentenza n. 220 del 2003). Sono, invece, inammissibili gli autonomi motivi di censura proposti.con riferimento agli artt. 98 e 117, primo comma, Cost., da alcune parti private, potendo queste soltanto argomentare in ordine ai profili di illegittimità costituzionale prospettati dal giudice remittente. Nel merito, la violazione dell'art. 97 Cost. viene prospettata dal giudice remittente sul presupposto che le disposizioni censurate, ricollegando la cessazione dalla carica al rinnovo del Consiglio regionale, manifestano "l'evidente finalità di consentire alle forze politiche di cui è espressione il nuovo Consiglio di sostituire i preposti agli organi istituzionali" degli enti che dipendono dalla Regione. Ne discenderebbe "una cesura nella continuità dell'azione amministrativa esplicata dal titolare della carica", e ciò non in dipendenza di una valutazione dell'attività svolta (viene richiamata, al riguardo, la sentenza n. 193 del 2002), ma come conseguenza di un evento oggettivo, quale – appunto– l’insediamento del nuovo Consiglio all’esito della consultazione elettorale; donde il contrasto con i principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione.
La questione è fondata.
Le Asl, in quanto strutture cui spetta di erogare l’assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie nell’ambito dei servizi sanitari regionali, assolvono compiti di natura essenzialmente tecnica, che esercitano con la veste giuridica di aziende pubbliche, dotate di autonomia imprenditoriale, sulla base degli indirizzi generali contenuti nei piani sanitari regionali e negli indirizzi applicativi impartiti dalle Giunte regionali (art. 3 del decreto legislativo del 1992, n. 502, recante «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge del 1992, n. 421»; art. 1 della legge della Regione Lazio n. 18 del 1994).
In coerenza con tali caratteristiche, è stabilito che i direttori generali delle Asl siano
Nominati fra persone in possesso di specifici requisiti culturali e professionali e siano soggetti a periodiche verifiche degli obiettivi e dei risultati aziendali conseguiti (oltre che alla risoluzione del contratto di lavoro per gravi motivi, ovvero per violazione di legge o dei principi di imparzialità e buon andamento) (art. 8 della legge della Regione Lazio n. 18 del 1994).
Nella Regione Lazio, in particolare, è previsto che la nomina dei direttori generali delle Asl sia il risultato di un procedimento nel quale, a seguito di un avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale (e di cui dare notizia attraverso il Bollettino Ufficiale della Regione), il Presidente della Regione individua i direttori avvalendosi di "tre esperti" in direzione aziendale o di una "agenzia di servizi accreditata a livello nazionale per la consulenza, la formazione e la selezione dei quadri e dirigenti aziendali" e dopo aver udito il parere non vincolante della
commissione consiliare competente in materia di sanità (art. 8, commi 1-2, della legge regionale n. 18 del 1994). Inoltre, la "decadenza" dall'incarico per grave disavanzo nella gestione aziendale, per gravi violazioni di legge o dei principi di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione o per altri gravi motivi è disposta previa deliberazione - ovviamente motivata - della Giunta regionale, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza "sulla corretta ed economica gestione delle risorse assegnate, sulla imparzialità e buon andamento della attività, sulla qualità dell'assistenza" (artt. 8, commi 6 e 6-bis, e 2, comma 2, lett e), della legge regionale n. 18 del 1994). Il direttore generale di Asl viene, quindi, qualificato dalle norme come una figura tecnico-professionale che ha il compito di perseguire, nell'adempimento di un'obbligazione di risultato (oggetto di uncontratto di lavoro autonomo), gli obiettivi gestionali e operativi definiti dal piano sanitario regionale (a sua volta elaborato in armonia con il piano sanitario nazionale), dagli indirizzi della Giunta, dal provvedimento di nomina e dal contratto di lavoro con l'amministrazione regionale. In questo contesto di relazioni fra