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La schizofrenia

La schizofrenia è una patologia psichiatrica caratterizzata dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell'affettività. Il termine coniato dallo psichiatra Bleuler deriva dal greco e significa "scissione della mente", che richiama il senso di frammentazione sperimentato da molte persone affette da schizofrenia.

I sintomi, che si manifestano solo a partire dalla tarda adolescenza e prima età adulta, si dividono in sintomi positivi che comprendono le allucinazioni, i deliri e le psicosi, e in sintomi negativi tra cui l'isolamento dalla vita sociale, la perdita di interesse, l'appiattimento emotivo, la disorganizzazione del linguaggio e del pensiero.

I pazienti affetti da schizofrenia inoltre vanno incontro ad un precoce invecchiamento che si traduce in un aumento del rischio di soffrire di malattie cardiache e metaboliche, come ad esempio il diabete di tipo 2, in età più giovane rispetto alla media.

Per essere certi che i dati

statistici ottenuti non siano influenzati dalla somministrazione degli antipsicotici maggiormente prescritti ai pazienti psichiatrici che potrebbero portare ad un aumento di peso e conseguente aumento del rischio di sviluppare diabete, è stato condotto uno studio su pazienti in cui fosse stato appena diagnosticato il disturbo e che non fossero ancora soggetti ad alcuna terapia. Gli studi su questo tipo di pazienti hanno mostrato che condizioni di prediabete sono maggiormente presenti in pazienti schizofrenici che nella popolazione generale prima che questi inizino la terapia con gli antipsicotici. Sugli stessi pazienti sono stati valutati altri parametri associati all'invecchiamento come ad esempio l'aumento della pressione, la diminuzione dei livelli di testosterone e la perdita di materia bianca del cervello che hanno portato a confermare l'ipotesi della correlazione tra schizofrenia e invecchiamento precoce. Non è ancora chiaro tuttavia se l'invecchiamento.di infezioni, come ad esempio l'influenza, a cui sarebbero soggetti inascituri, molto più diffusi nei mesi invernali. Alla luce di queste evidenze alcuni studi hanno ipotizzato che migliorando il livello di nutrizione, evitando infezioni durante la gravidanza e permettendo un corretto apporto di vitamina D e acidi grassi omega 3 durante le prime fasi di vita si potrebbe diminuire il rischio di sviluppare la patologia. Recentemente, oltre alle condizioni ambientali, sono stati presi in considerazione sempre di più i fattori genetici che contribuirebbero allo sviluppo della malattia. Studi condotti su gemelli hanno mostrato che circa l'80% del rischio di sviluppare la schizofrenia deriva da alterazioni che coinvolgono almeno 700 geni. Le mutazioni genetiche implicate nell'insorgenza della malattia si dividono in mutazioni rare e mutazioni comuni che coinvolgono un numero maggiore di persone e causano effetti relativamente blandi. Una di queste mutazioni riguarda il gene.

DRD2 che codifica per il recettore della dopamina. Lascoperta non è sorprendente se si pensa che la maggiorparte dei farmaci usati nel trattamento della schizofreniaha come target la via dopaminergica. oltre alle mutazioni diun singolo nucleotide si possono anche avere alterazionidel numero di copie di regioni genomiche; tra questemutazioni la più studiata e conosciuta riguarda la delezionedi 3 megabasi nella regione q11.2 del cromosoma 22 chedetermina psicosi e schizofrenia nel 25% dei casi. Recentistudi suggeriscono invece che la duplicazione, anzicché ladelezione di questa regione cromosomale, protegga dallosviluppo della schizofrenia aumentando però il rischio diautismo dimostrando che vi è una stretta seppurcontrapposta relazione tra i due disordini psichiarici. Lostudio in vivo su modelli animali di tali mutazioni correlatealla schizofrenia è reso difficile non soltanto dall’elevatonumero di geni coinvolti nella patologia e dalla

La mia interazione combinata che richiederebbe un numero elevatissimo gruppi sperimentali per testare le diverse ipotesi ma anche dal fatto che alcune mutazioni si verificano in parti non codificanti del genoma che sono meno conservate rispetto alle sequenze codificanti per proteine e dunque non presenti in tutti gli organismi. I classici modelli animali impiegati per la schizofrenia sono ratti a cui vengono somministrate anfetamine, che nell'uomo innalzano i livelli di dopamina nelle sinapsi causando allucinazioni e illusioni, e successivamente vengono valutati i loro comportamenti come l'iperattività o l'evitamento passivo. Successivamente i ricercatori hanno iniziato ad usare altri agenti farmacologici come la fenciclidina e la ketamina che interferiscono con il recettore NMDA del glutammato o modelli animali in cui viene deletato il gene che codifica per tali recettori. Altra strategia impiegata per riprodurre i sintomi della schizofrenia nei roditori è il danneggiamento.

di una parte dell'ippocampo negli animali appena nati. In seguito a questo intervento gli animali appaiono inizialmente normali ma successivamente diventano meno socievoli, maggiormente responsivi allo stress e la loro corteccia mostra alcuni cambiamenti simili a quelli osservati post mortem nei pazienti affetti da schizofrenia.

Dal punto di vista molecolare la schizofrenia è stata attribuita per anni ad un elevato livello di dopamina nel cervello e in particolare nello striato, una porzione di tessuto che si trova sotto la corteccia. Ma dagli anni '90 l'ipotesi dopaminergica è stata ritenuta inadeguata a spiegare pienamente la malattia. L'imaging in vivo con la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica e gli studi post mortem in persone affette da schizofrenia hanno messo in evidenza il coinvolgimento nella patologia di altri neurotrasmettitori come il glutammato e la serotonina.

L'ipotesi glutammatergica che si basa sul principio

delladisregolazione del glutammato a causa di un’ipoattività deirecettori NMDA riesce a spiegare il motivo per cui i pazientiaffetti da schizofrenia abbiano in realtà elevati livelli didopamina nel nucleo accumbens che causa i sintomipositivi della patologia e bassi livelli di dopamina nellacorteccia prefrontale responsabile dei sintomi negativi. Iprimi farmaci introdotti per il trattamento della schizofreniaappartenenti alla classe delle fenotiazine avevano comeunico obiettivo il trattamento dei sintomi positivi come lepsicosi e le allucinazioni. L’origine di queste molecole risalealla fine del 19 secolo ed è associata allo sviluppodell’industria inglese dei coloranti. Durante la prima guerramondiale i Tedeschi si trovarono a corto di chinina, uncostituente della corteccia della cinchona, che era utilizzatanel trattamento della malaria. Iniziò dunque la ricerca di unsostituto sintetico. Durante questa ricerca un batteriologo,Paul Ehrlich ,osservò che il blu di metilene utilizzato come colorante era in grado di causare la morte delle cellule batteriche senza intaccare le cellule umane. Durante la seconda guerra mondiale Gilman sintetizzò un gruppo di composti in cui la catena aminoalchilica era attaccata all'atomo centrale di azoto dell'anello fenotiazinico. Questi derivati fenotiazinici risultarono inattivi come farmaci antimalarici ma vennero rivalutati per il loro effetto antistaminico; tra questi composti ne venne individuato uno particolarmente promettente: la prometazina, uno dei più potenti antistaminici e con una lunga durata d'azione. La caratterizzazione farmacologica della prometazina mostrò che il suo effetto antistaminico era associato con una profonda sedazione e che la somministrazione della prometazina potenziava gli effetti di alcuni agenti anestetici. La prometazina venne così impiegata nell'anestesia clinica. Continuando gli studi alla ricerca di molecole con

Attività simile a quella della prometazina nel 1950 venne testato un nuovo composto: la clorpromazina sintetizzata da Charpentier. Si osservò che la clorpromazina prolungava il sonno indotto dai barbiturici nei ratti e inibiva la risposta evasiva condizionata nei topi. Inoltre fu osservato che i pazienti trattati con clorpromazina non perdevano conoscenza ma diventavano assonnati e mostravano meno interesse per ciò che accadeva intorno a loro. La clorpromazina venne introdotta in terapia come antipsicotico nel 1952 quando non era ancora noto il suo meccanismo d'azione e non erano stati condotti studi clinici con adeguate metodologie. Fu solo all'inizio degli anni '60 che venne condotto il primo trial clinico multicentrico, randomizzato, in doppio cieco e con l'uso del placebo. In questi trial vennero messi in evidenza i primi effetti collaterali della clorpromazina tra cui l'ipotensione ortostatica, la secchezza delle fauci e lo sviluppo di

li anche i sintomi negativi, come la riduzione dell'espressione facciale e l'instabilità dell'andatura. Questo ha dimostrato che l'effetto terapeutico della clozapina non dipende dall'effetto motorio extrapiramidale. La scoperta degli antipsicotici di seconda generazione ha portato a una maggiore comprensione dei meccanismi d'azione di questi farmaci e ha permesso lo sviluppo di nuovi trattamenti per la schizofrenia. Oggi, esistono diversi antipsicotici di seconda generazione disponibili sul mercato, ognuno con i propri vantaggi e svantaggi. È importante sottolineare che l'uso di antipsicotici deve essere sempre valutato da un medico specialista, che terrà conto dei sintomi del paziente, della gravità della malattia e dei potenziali effetti collaterali dei farmaci.
Dettagli
Publisher
A.A. 2019-2020
8 pagine
SSD Scienze chimiche CHIM/08 Chimica farmaceutica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ila..95 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Chimica farmaceutica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Perugia o del prof Scienze chimiche Prof.