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Lesbo, ma anche in altri parti della Grecia, come Sparta. I thiasoi erano gruppi che avevano divinità e cerimonie
proprie, nei quali le ragazze, prima del matrimonio, vivevano in comunità un’esperienza globale di vita che in
qualche mondo era analoga a quella che gli uomini facevano nei loro gruppi maschili. In questa comunanza le donne
ricevevano un’educazione, principalmente Saffo insegnava loro musica, canto e danza. Ma da lei le fanciulle
apprendevano anche le armi della gentilezza, della seduzione e del fascino. Qui si inserisce il contesto amoroso fra
donne, appassionato, vissuto con eccezionale sensibilità e trasporto, come mostrano le poesie che Saffo dedicò alle
amiche predilette. In queste si legge del vero amore che Saffo provava per le sue predilette, un amore del tutto
particolare, pieno di ansia e tremori. Quello infatti che scatenava queste paura era la percezione della anormalità del
sentimento. Ma è ben noto che la cultura greca del 7 -6 sec. A.c non solo accetava come normale l’esistenza dei
rapporti amorosi fra donne nella vita dei thiasoi, ma li formalizzava, attraverso la celebrazione di una cerimonia di
tipo iniziatico che stringeva due fanciulle in un legame di coppia esclusivo, di tipo matrimoniale. Una differenza balza
agli occhi tra amori femminili e maschili: l’amore iniziatico, per gli uomini, era un amore per un adulto. Per le
ragazze, invece, era talvolta amore per la maestra, a volte amore per una coetanea. Poi l’amore omosessuale negli
uomini ha anche una valenza simbolica, quella della trasmissione dello sperma come fonte di potenza virile. L’amore
fra donne invece? Questo è paritario, non prevede sottomissione, non può simbolizzare trasmissione di potenza.
Nessun significato simbolico quindi. E quindi neanche un significato sociale: la donna, infatti, col matrimonio, non
entra in un gruppo di età superiore che ha potere sulle persone di età inferiore dello stesso sesso. Entra nella
famiglia del marito, dove è sottomessa a questi e agli altri uomini che fanno parte dell’Oikos. È giusto quindi pensare
al rapporto omosessuale, come a un momento dell’iniziazione femminile al matrimonio? Per Cantarella no, sembra
infatti essere rivo di valore pedagogico istituzionale affidato, invece, alle iniziazioni maschili. Infatti questo non
traspare neanche dalla lettura di Saffo. L’omosessualità nei circoli femminili è quindi solo un rapporto elevato e
colto, che nobilita, ma è soltanto amore. Collocando la vicenda nel contesto storico, le donne definitivamente
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indirizzate verso solo ed esclusivamente al matrimonio, impararono a conoscere solo questo tipo di amore, il che
non significa che non amassero il marito, non avendo altra scelta. fu questo l’amore che i greci insegnarono alle
donne, prima omosessuale, poi eterosessuale.
b) L’amore nei simposi: accanto ai thiasoi esistevano in grecia altri luoghi nei quali le donne si amassero tra loro. Ma
erano amori diversi da quelli iniziatici. Questi luoghi erano i simposi, che erano luoghi d’incontro destinati agli
uomini. le uniche donne che vi erano ammesse erano le flautiste, le danzatrici, le acrobate e le etere; quindi donne
assoldate dagli uomini con ruoli diversi, ma con un’unica funzione: rendere più piacevole, a chi le pagava, il
momento del banchetto. E in queste feste dove tutto si giocava sull’erotismo, accadeva spesso che tra queste donne
avessero luogo più o meno occasionali incontri amorosi. Un riferimento esplicito di rapporto fra donne appare nelle
Lettere Agresti.
4.2 le donne di fronte all’omosessualità maschile
La diffusione di rapporti fra uomini hanno determinato i rapporti anche eterosessuali, sia maschile che femminile, e
oltretutto costringendo le donne a fare i conti con un settore della vita emotiva e sessuale dei loro uomini dal quale
erano totalmente escluse. Ma cosa pensavano esattamente le donne greche dei costumi sessuali maschili? Non
siamo in grado di sapere se esse si condieravano gli eromenoi nei pericolosi rivali. È vero che questi legami
concorrenziali continuavano ad esistere anche dopo il matrimonio (esempio, Medea che si lamenta del fatto che è
stata obbligata a stare con un marito che non voleva, e che poteva uscire e distrarsi con qualcuno che è philos, un
eromenos). Sussisteva quindi anche una sorta di gelosia, il marito tradito sia dalla moglie che dal pais di chi era più
geloso, della moglie o del ragazzo? Il problema non riguardava solamente gli uomini sposati. Le donne infatti erano
rivali molto pericolose per tutti i pederasti. Arrivati a una certa età i giovani amati cominciavano a essere attratti dal
sesso femminile, o quanto meno a pensare di sposarsi: e gli amanti veivano colti altrettanto inevitabilmente da
atroci gelosie. Ma quindi come vivevano le donne l’omosessualità maschie? Più che le mogli per Cantarella, i rivali da
temere, erano le etere. Le mogli in fondo non avevano molto da perdere, la relazione omosessuale non toglieva nulla
alla moglie. Mogli e paides avevano per così dire territori diversi, non solo in senso materiale ma anche in senso
affettivo: l’amore coniugale era in realtà affetto, e la sessualità matrimoniale era orientata solo verso la
procreazione. L’amore per i paides invece aveva una forte componente intellettuale, e il rapporto sessuale con loro,
era eroticamente esaltante. Erano quindi rivali per le mogli le altre donne per bene, quelle che inducevano i mariti a
divorziare, potendo togliere loro tutto quello che il matrimonio aveva assicurato loro, lo status coniugale. Il letto è la
sola forza capace di provare la ribellione delle donne, e letto significa rapporto coniugale o paramatrimoniale.
4.3 l’omosessualità femminile vista dagli uomini
È difficile sapere cosa pensavano gli uomini delle donne che si amavano. Nel Simposio di Platone si parla delle donne
che amano le altre donne, sono le tribadi, donne selvagge, incontrollabili e pericolose. Questa immagine rimase
inalterata o in qualche modo cambiò nel tempo? In mancanza di fonti è difficile da dirsi, l’unica opera disponibile è
quella di Luciano di Samostata, dove affronta direttamente l’argomento dell’omosessualità femminile. In uno dei
Dialoghi delle cortigiane Megilla è una donna che si rade i capelli per sembrare un uomo, mentre Leena è una donna
terribilmente maschile. Quella di Megilla (ha una parrucca) è in realtà la descrizione di una travestita. A differenza
dei pederasti, i più virili all’aspetto fra tutti gli uomini, l donne omosessuali perdono le caratteristiche naturali del
loro sesso, sono una specie di caricatura dei maschi e appaiono come un fenomeno di natura mostruosa. Questo per
quanto riguarda Megilla. E Leena che si è fatta sedurre? Non a caso è una cortigiana, attratta e sedotta non dalla
donna in sé, ma dai suoi ricchi doni. Agli amori omosessuali, quindi, si danno le prostitute. E persino queste sanno
che amare un’altra donna è un comportamento imperdonabile. A distanza di secoli dal Simposio, Luciano ci mostra
ancora la connotazione negativa dell’omosessualità femminile e la sua condanna emergono con chiarezza.
Parte seconda - Roma
1 – l’età arcaica e la repubblica
1.1 le caratteristiche indigene dell’omosessualità romana 8
Per i romani la pederastia era il vizio greco, sostenevano che i loro antenati non conoscessero questo aspetto
dell’amore, introdotto dal contatto con la cultura greca che aveva fatto dimenticare i mores maiorum e indebolito la
virilità romana. Cicerone nelle sue invettive moralistiche non condanna l’omosessualità in quanto tale: condanna
solo quella forma di omosessualità che è la pederastia, nel senso greco del temrine, vale a dire amore tra ragazzi
liberi. Certamente per un romano la virilità era la massima virtù, politica. era destinato a dominare il mondo, la sua
etica era la sopraffazione. Per diventare civis romanus degno di questo nome doveva imparare sin dalla tenera età a
non sottomettersi mai, a imporre la volontà, anche sessuale. la pederastia richiedeva che l’amante ingaggiasse un
gioco intellettuale, psicologico e sessuale assolutamente al di fuori della mentalità di un romano. Essendo un
conquistatore la pederastia per lui, con tutto quello che comportava era qualcosa di inconcepibile. Ma è sbagliato
che pensare che i romani fossero assolutamente eterosessuali: l’espressione massima della virilità consisteva nel
sottomettere gli uomini. al maschio romano potente e inesauribile le donne non potevano bastare. Quindi
l’omosessualità era ben diffusa a roma ben prima del contatto con la cultura greca, essi amavano non i giovani liberi,
ma i giovani schiavi. Per un greco amare uno schiavo non aveva senso. i romani quindi sin dai primi secoli amano gli
schiavi, ma anche nel periodo imperiale succedeva. I padroni usavano approfittare del diritto che avevano sugli
schiavi, anche liberati (i liberti) sottomettendoli sessualmente, la società accettava la cosa senza alcun problema.
L’omosessualità era al tempo stesso una manifestazione sociale del potere personale del cittadino sugli schiavi e una
riconferma della sua potenza virile solo individui non liberi, ovviamente. I romani infatti proteggevano i loro figli da
un simile rischio: mettevano ai loro colli una bulla d’oro per evitare che quando giocassero nudi fossero scambiati
per schiavi, quindi oggetto di seduzione. La bulla era simbolo di uno status e si comprende come i tentativi di
seduzione di giovani erano tutt’altro che inusuali.
1.2 gli amori leciti: sottomettere il proprio schiavo, pagare un prostituto
Già in epoca antica quindi i romani praticavano l’omosessualità con i propri schiavi, e non era penalmente repressa.
La praticavano inoltre anche con prostituti, con cui era lecito e normale avere rapporti sessuali. Il calendario romano
prevedeva infatti sia una festa della prostitute il 26 aprile e il 25 la festa dei prostituti. La prostituzione maschile era
molto diffusa ed era diventata un consumo di lusso. Quindi i giovani prostituti, a differenza delle donne, non erano
dei relitti della società, erano corteggiati e viziati, come cortigiani d’alto borgo, abituati a una vita lussuosa e
raffinata, al punto da potersi permettere di non richiedere denaro per le loro prestazioni, ma beni di consumo
costosi e raffinati. Nessuna condanna e nessuna punizione per questo, anche nella roma repubblicana. Quello che
veniva riprovato nelle relazioni tra uomini erano gli eccessi ai quali esse inducevano ad abbandonarsi, il fatto che
potevano spingere ad assumere uno stile di vita in contrasto con quel austero e rigoroso che i romani continuavano
a propagandare. Tuttavia questo non toglie che le alcune relazioni con schiavi non potessero essere problematiche,
in particolare quando questi non appartenevano al padrone stesso. E