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JEMIMA
E’ la carceriera che sorveglia, ma è anche la carcerata, lo specchio di Maria. Si capisce attraverso il suo
corpo, nella sua pesantezza e nella prudenza dei suoi gesti, manifestazioni di una misantropia in cui risulta
evidente l’autodifesa: proteggere sè stessa dalla malvagità di un mondo che non le ha mai riconosciuto la
dignità di individuo. Necessità di sfuggire ad uno sguardo esterna. Jemima sorvegliando sorveglia sé
stessa, un monito per ricordare che quella è la punizione per la trasgressione che necessita di controllo e
correzione.
Jemima “Hunted, beast of prey, outcast of society” rimandano al codice animale. Come un morbo Jemima
deve essere isolata e annientata per non infettare gli altri. Rinuncia a comprendere il mondo per mettere a
tacere l’eco di un dolore lontano, che la rende impotente, si adegua. La frattura con la società l’ha resa
un’estranea.
Jemima è il simbolo di chi ha sbagliato, di chi è stata abbandonata dalla società, tormentata dal passato e
priva di un’origine chiara. Maria invece si affida alla scrittura. Solo con reciproco confronto e disperazione
Jemima accoglie la parola dell’altra e si narra ripercorrendo le proprie misfortunes se ne libererà ma
trasforma il linguaggio da incentrato su sé stesso a rivolto all’altro.
Il linguaggio si trasforma e trasforma chi decide di narrarsi, i l dialogo interiore diventa parola a viva voce.
Jemima si apre e narra la propria storia che inizia con la violenza del padre sulla madre, con un’aria di
predestinazione di Jemima.
Quando i personaggi si raccontano recuperano una dimensione della propria esistenza. Il rapporto
reciproco innesca una nuova percezione e conoscenza del limite che li aveva tenuti distanti dalla propria
verità interiore, lo scambio dialogico diviene il momento cruciale per riflettere e trovare un punto di
equilibrio tra sé e il mondo.
Attraverso il dialogo Maria e Jemima non sono più oggetti di informazione ma soggetti di comunicazione.
La parola loro diventa udibile.
Soltanto confrontandosi con Jemima e unendosi alla sua disperazione, Maria comprende la possibilità della
salvezza (cioè riunirsi con la figlia da lei allontanata il cui destino le è ignoto).
Maria appartiene alla categoria degli anormali per i quali il confinamento è necessario. L’unica possibilità di
Maria è la scrittura, la parola: linguaggio come unica via di uscita e di salvezza.
TEATRALIZZAZIONE DELLA VITA
Wollstonecraft costruisce un romanzo con una funzione didascalica: lo spazio è pesante e claustrofobico,
Maria ha pensieri ricorrenti e angoscianti, Jemima compie gesti essenziali, freddi e sospettosi. Soltanto la
parola e l’integrità del pensiero riescono a creare uno squarcio per dare libertà alla ragione di manifestarsi.
La narrazione è aperta verso l’altro, che a sua volta poi agisce dopo un’iniziale immobilità.
Jemima è anche quindi l’immagine di un lettore simbolico e ideale disposto ad ascoltare e comprendere.
Per Maria poter rivelare la propria interiorità è l’unica possibilità per uscire dal proprio confinamento,
dovendo superare diffidenza e sospetto di Jemima. La funzione del linguaggio è persuadere, Maria deve
coinvolgere la guardiana nella sua storia “Do you really think me mad?”.
Il dolore riporta l’angoscia della protagonista ma riconsegna anche la sua vita alla ragione analitica e alla
speranza.
Maria è l’emblema di un disequilibrio tra ragione ed emozione che va sanandosi progressivamente. Fuga
da uno stato di prostrazione per recuperare sé stessa per recuperare il ruolo di madre impeditole ed essere
libera.
La storia diventa un momento di condivisione e persuasione e il mezzo per raggiungere la definitiva libertà
fisica e morale.
L’ERRORE
Quelli del titolo non sono gli errori oggettivi che un individuo compie, ma l’incapacità di sapere bene
interpretare ciò che induce all’errore, le cause che l’hanno determinato.
Non è la natura delle donne in quanto tale che determina l’errore, ma il percorso distorto che l'individuo
intraprende e su cui fonda saldi comandamenti. Il disequilibrio sociale nasce da una non corretta
interpretazione di sè come individuo prevalente o soccombente. La difesa dei diritti delle donne nasce dalla
necessità di un’equa riconsiderazione delle parti per rimettere a dimora ogni tassello del mosaico sociale.
Jemima è vittima della solitudine, dell’abbandono, della sua assenza di senso nel corpo sociale; Maria è
vittima della credulity, di una sorta di cecità dettata dall’eccessiva fiducia nella passione e in quel simbolico
patriarcale che si esprime nel matrimonio. Ma nella madhouse racconta la propria storia nelle lettere che
decide di scrivere per la figlia da lei allontanata dopo 4 mesi dalla nascita. Racconta del despotismo del
fratello e del suo desiderio di trovare di trovare nel matrimonio con George Venables una fuga e una strada
verso la felicità. Ma venne punita con la leggerezza con cui si punisce un essere privo di significatività.
Aver creduto che la propria libertà risiedesse nel matrimonio è stato il suo errore, l’inizio della sua schiavitù:
the wrongs of a woman.
Nessuno ha salvato Jemima o Maria dalla distruzione, ma c’è stata solo indifferenza e inattività. La donna è
abbandonata al suo destino senza possibilità di salvezza, persa e presa in un mondo in cui i conflitti
sembrano inesistenti. La storia di Jemima è una vera e propria emigrazione in un altrove rassicurante, al
riparo da individui che investigano la sua vita investendola con sguardi malevoli e carichi di pregiudizi. Lei
preda non individuo, cerca in sé la distinzione che separa il vivere dal sopravvivere.
A Maria spetta il compito di risvegliare Jemima dal sonno in cui la coscienza sembra averla fatta
sprofondare, a ridare significato al mondo che l’ha posta ai margini, a fidarsi e ad affidarsi all’altro senza
timore. Questo è possibile perché Jemima si è voluta offrire una possibilità, ha voluto lasciare aperto uno
spiraglio.
La prigione di Maria è anche simbolica, destinata a chi trasgredisce un contesto simbolico culturale
intoccabile. E’ una prigione che tenta di annullare le facoltà del discernimento. Alla sua parola e ai suoi
gesti viene negata l’esistenza.
Maria è espressione di un disordine morale e in virtù di esso il suo gesto ribelle non produrrà seguaci,
lasciando l’ordine immutato. La madhouse è il luogo che toglie la speranza e annienta ogni risorsa
rigeneratrice. Nonostante questo Maria è animata dalla sua capacità di distogliere lo sguardo dal proprio
dolore e guardare al di là e riuscire a percepire tutta la fragilità umana in un mondo di rovine e
devastazione.
Pensiero e visione si intrecciano: non sono gli oggetti della visione che cambiano ma lo sguardo sul
mondo. Maria avverte che la trasformazione parte da se stessi, dalla diversa percezione delle cose, dalla
capacità di ciascuno di dare nuovo significato a ciò che si ha innanzi, a ciò che è stato realizzato dall’uomo.
Sono le rovine dell’animo umano che creano la vera prigione dell’uomo. è il genere umano ad essere
prigioniero. E’ tutto un ribaltamento, è perdere di vista il significato della vita e il suo valore.
Wollstonecraft afferma che anche se le donne mancano di educazione, proprietà e diritti e voce politica, la
trasformazione parte parte proprio dalla donna che ormai consapevole ha il compito di sovvertire l’ordine.
Le storie della Wollstonecraft non sono mai inventate ma tratte proprio dalla sua vita e dalle sue
esperienze.
LA SCRITTA AUTENTICA DI MARY HAYS
Memoirs of Emma Courtney (1796) è un’opera ricca di riflessività e senso di appartenenza - come
condivisione di un modo di essere e di considerare l’emancipazione, che offre alla Hays la possibilità di
riflettere sulle problematiche del generalissimo “the world”.
Mette in luce la difficile condizione esistenziale, sociale, sentimentale delle donne tra 700 e 800, ricorrendo
alla forza d’animo dell’eroina, l’ottusità della società, l’amore sfortunato, la rovina e la definitiva condanna
sociale. La societas è l’unico attore sempre in scena che parla e si impone anche con e nel silenzio.
Le Memoirs rappresentano il bisogno di raccontarsi in modo totalmente diverso: scrivere di sè significa
ripartire e non solo riesumare, riguardarsi con un’aumentata consapevolezza. Considerare il soggetto da
un altro punto di vista.
Si tratta di una passione, la scrittura, che diventa un luogo di benessere e di amore verso di sé, il
benessere sta nel narrare i fatti felici o amari. Un relief degli spiriti. Scrivere diventa per Emma e per Hays
una forma di liberazione e di riappacificazione; viene liberato l’inner self nelle sue contrastanti
manifestazioni per riconciliarsi con la parte di sé più debole e fragile. Emma diventa spettatrice della sua
esistenza e nel guardarsi valuta azioni e reazioni; il suo sguardo diventa quello del giudice imparziale che
riconsidera la concatenazione degli eventi, esimendosi dal doverli spiegare o giustificare. L’immagine di sé
allo specchio le rimanda una visione non distorta, non ingannevole ma un sé che deve essere
reinterpretato.
Le Memoirs sono una fictional form: Hays mette in gioco un altro sé per raccontarsi. Emma è
l’esemplificazione della vita di Hays, una riproposizione di eventi realmente accaduti e che l’autrice affida
alla protagonista.
Però la distanza si colora di esperienze che fanno del personaggio un altro sé portatore di una verità tutta
nuova e personale che si distacca completamente dall’idea iniziale: l’autobiografia di hays e
l’autonarrazione attraverso le memorie di Emma seguono percorsi diversi differenziandosi nelle speranze di
ciascuna.
Lo sguardo assume il ruolo di sguardo creator, uno sguardo che diventa un viaggio conoscitivo che pian
piano assume consistenza, concretezza e forma. Il confine tra verità vissuta e narrata diventa qui sottile.
La narrazione prende forma quindi da una autobiografia che non vuole proporre l’identico ma attingere
l’autentico. L’autenticità è l’obiettivo delle memorie, la verosimiglianza dei fatti, anche inventati.
La scrittura segue allora 3 fasi: evocare (guardare con occhi diversi il fluire dei giorni nuovi); ripensare
(riflettere sull’oggi); Rimembrare (ricollocare nel loro giusto posto le azioni e le scelte per riutilizzarle in altre
occasioni).
Hays rivi