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Competenza filologica e sottrarsi agli errori interpretativi
Per sottrarsi ad eventuali errori interpretativi il filologo deve avere una competenza sia codicologica sia delle procedure di stampa, sia paleografica. Testo ed immagine. L'osservazione diretta dei codici, sottraendo i testi al loro carattere astratto, ha reso più attenzionall'intervento nella confezione del manufatto di categorie diverse di decoratori. I paleografi hanno sempre avuto cura di notare la presenza e la qualità di elementi decorativi come le rubriche, i capolettera colorati e altre figure marginali. Queste caratteristiche definiscono la bottega in cui il codice è stato prodotto e il livello del committente del libro (per esempio la presenza del blasone d'armi di colui che aveva ordinato la confezione del libro). Queste immagini sono spesso belle e comunque utilissime per ricostruire la storia del libro. Diverso è il caso delle illustrazioni. In questo caso le immagini integrano il testo, ne sono parte altrettanto essenziale che le frasi o i versi.
e devono quindi essere tenute in conto dai filologi, soprattutto se è presumibile o sicuro che esse risalgano all'autore stesso. Le illustrazioni sono presenti sin dall'antichità e in seguito anche in testi scientifici, astronomici o medici. La tradizione di illustrare le opere letterarie non si è fermata mai (per esempio I promessi sposi del Manzoni). Errori e varianti. Per la ricostruzione della storia della tradizione di un testo è fondamentale individuare gli errori contenuti nei testimoni, perché è la coincidenza in errore che prova la discendenza da un comune ascendente. Che i testimoni abbiano in comune lezioni corrette non dimostra nulla sui loro rapporti: la lezione corretta può infatti risalire all'autore e quindi al patrimonio originale della tradizione, comune a tutti i suoi rami. È la comunanza in errore che è indizio di parentela tra due testimoni. In linea teorica, tutte le lezioni che sono nei testimoni enon risalgono all'originale sono erronee: per errore si intende qualsiasi tipo di deviazione dalla lezione originale. Il nostro problema nasce dalla circostanza che noi giudichiamo a posteriori, senza conoscere il testo originale, ma dovendolo individuare.- L'autore non può avere scritto una cosa apertamente assurda e contraria alla logica e al buon senso.
- Lo scrittore non può avere scritto una frase che violi le leggi della lingua che parlava.
- Gli errori d'autore vanno rispettati.
- Sono generalmente errori significativi le lacune che tolgono senso al testo.
- Un tipo di errore significativo è la ripetizione di una parola.
Il procedimento è analogo a quello attraverso il quale si ricostruiscono i rapporti genealogici all'interno di una famiglia. Ma alcuni dei presupposti di questo procedimento sono quanto mai labili. La stessa esistenza di un originale non può sempre essere data per scontata. L'apparentamento dei testimoni non può avvenire se non in base alla presenza in essi di errori comuni e che il concetto di errore è il più soggettivo che ci sia. Inoltre la linearità dei rapporti tra le copie è in sé opinabile. Da tempo si sa che il procedimento basato sugli errori è intrinsecamente dicotomico in quanto ci porta a individuare ogni singolo snodo dello stemma codicum in forma binaria: da una parte i testimoni che hanno l'errore, dall'altra quelli che non lo hanno. Sicché uno stemma che non ha che ramificazioni dicotomiche ci dà l'impressione che di norma i codici, a cominciare dagli originali, siano stati
trascritti sempre e solo due volte e ne discendano quindi sempre due copie, quella che ha l'errore e quella che non lo ha. È mai possibile che siano così rari che da un antigrafo discendano più famiglie? Ad oggi la stemmatica è un sistema pessimo, ma è il migliore che conosciamo. Bisogna accontentarsi e vedere cosa se ne può ricavare. Il procedimento produce un testo che è un mosaico di lezioni provenienti volta a volta da testimoni diversi. Il filologo produce un testo che non è mai esistito. La veste linguistica di un testo, in particolare di età medievale, dipende dalle scelte del singolo copista, che non si riteneva vincolato al rispetto della veste del suo antigrafo, e men che meno di quella del suo originale, che del resto ignorava. Della veste linguistica originale dell'originale possiamo accertare qualcosa solo nel caso di testi in versi rimati, mai per i testi in prosa. Ricostruire la veste linguistica in base agliaccordi stemmatici mon ha senso. Ma se non possiamo attingere l'originale, almeno dobbiamo risalire ad un aforma testuale depurata dalle corruttele, un tetso di base.
L'assetto grafico e linguistico Va dunque risolto il problema della forma linguistica. L'aspettp sostanziale e quello formale non possono essere afforntati applicando una stessa formula, poiché dal medioevo ad oggi tutti i copisti hanno considerato modificabile l'aspetto grafico del testo che copiavano e non avevano la stessa cura per la grafi, per la fonetica, la morfologia, aspetti ai quali applicavano automaticamnete le proprie consuetudini. Per l'assetto grafico non si può procedere alla ricostruzione sulla base degli accertamenti stemmatici, il che ha come risultato un testo che non è mai esistito. È oppurtuno scegliere un codice di riferimento sulla base non solo della sua posizione nella storia della tradizione, ma anche della sua provenienza geografica, quindi linguistica.
che dovrebbere essere identica o vicina a quella dell'autore ( per es i manoscritticontenenti la Divina Commedia di Dante). Ed in mancanza di autografi sarebbe meglio che le forme linguistiche venisero sempre attribuite al tetsimone che le contiene effettivamentepiuttosto che all'intangibile originale. Nel caso in cui l'editore dispone dell'autografo, egli dovrà pubblicarlo rispettando le più minute particolarità. L'uso più recente addiritura protende per il rispetto integrale della grafia, ma al prezzo di rednere il testo più ostico da leggere ( non tutti ilettori sono interessati a questo): l'edizione sarà perfetta, ma non attirerà un gran numero dilettori. L'editore ha anche la responsabilità di introdurre la punteggiatura là dove la lettura del testo è difficile, così come l'inserire quegli elementi del paratesto in ausilio al lettore. L'apparato. L'apparato.critico è cosa del tutto diversa dalle note esplicative. Esso è l'insieme delle annotazioni nelle quali sono registrate le varianti dei testimoni rispetto alla lezione accolta nel testo e le rilevanti scelte degli editori precedenti. La sua funzione è di permettere al lettore di controllare in ogni suo punto la costituzione del testo da parte dell'editore. La confezione dell'apparato è una delle operazioni editoriali più delicate. La consuetudine vuole che gli apparati siano quanto mai asciutti, e da essi restano comunque escluse, di norma, le discussioni, i commenti, i giudizi, che andranno semmai nelle note. Un apparato completo permette che, qualora salti fuori un testimone che era prima sconosciuto, sia possibile inserirlo nell'insieme della tradizione perché disponiamo già di tutti gli elementi necessari ad identificarne la collocazione. Siamo infatti in grado di dire subito quali errori condivida e quali lezioniadiafore abbia in comune e con chi. Se l'apparato contiene solo una selezione di varianti questa operazione è impossibile. Purtroppo le varianti che per quale ragione sono considerate da scartare e vengono relegate in apparato critico sono condannati alladimenticanza.
Il commento. Non è raro il caso di edizioni critiche del tutto prive di note. Ma il testo deve possedere quelle informazioni che sono poi necessarie anche al lettore per comprenderlo, e quindi l'editore deve forniri tali informazioni attraverso le note. Sono sempre più opportune man mano che aumenta la distanza tra autore e lettore e saranno asolutamente necessarie quando questa distanza è forte ed implica un vero e proprio mutamento culturale. Sui tetsi che hanno una tradizione secolare di commento si è accumulata una tale mole di annotazioni da porre seriamente il problema se conservare e riprodurre questo enorme insieme sia un vantaggio o un danno, poiché l'ampiezza rende
difficile al lettore ritrovare le informazioni essenziali delle quali ha bisogno; l'esaustività del commento ne limita l'uso al solo specialista. Per chi si fanno i commenti? Per lo specialista, lo studioso. E il lettore comune. Deve far uso di commenti di servizio, integrazioni e chiarimenti coincisi e sicuri. Se basta l'analisi linguistica. Lo studio di un documento, sia scritto che orale, ha una sostanza linguistica. Lo studioso deve avere adeguate conoscenze della lingua in cui è redatto. Abbiamo visto che l'analisi linguistica è tanto costitutiva della filologia da aver permesso che in alcune tradizioni filologia inclini verso il significato di linguistica storica. Quello che ora ci chiediamo è se l'analisi linguistica elementare sia l'unico tipo di analisi per il filologo. La risposta è no. Se noi comprendiamo ciò che ci viene detto o che sentiamo dire, non è soltanto perché conosciamo la lingua in cui è redatto.Questi enunciati sono formulati perché siamo capaci di risalire a quella che è stata chiamata l'enciclopedia di conoscenze che condividiamo con chi parla o scrive. Se noi abbiamo