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Gerarchia della credibilità
“Gerarchia della credibilità” che spinge il ricercatore ad attribuire, anche involontariamente, più rilevanza alla rappresentazione della realtà di coloro che gestiscono l’istituzione. In seguito, dopo aver esplicitato l’adozione da parte loro di un approccio critico nei confronti dellalogica riabilitativo-correzionalista di cui i detenuti stessi sono impregnati, le autrici espongono le difficoltà cui vanno incontro all’interno del carcere i ricercatori che non attribuiscono quella stessa finalità al penitenziario e analizzano varie tecniche adottate dal personale carcerario al fine di strumentalizzare e influenzare la ricerca. La prima tecnica presentata, la tecnica “sindacalista” viene adottata dagli operatori, i quali tendono secondo le autrici ad addurre il malfunzionamento dei progetti di riabilitazione alla rapidità del lavoro penitenziario piuttosto che alle contraddizioni e ai paradossi delle tecniche riabilitative.
In questo modo gli operatori si contrappongono al ricercatore, che vedono come "colui che ha tempo" e mettono così in discussione l'utilità stessa della ricerca. Una seconda tecnica è quella che le autrici chiamano "selezione partecipante", con la quale gli operatori invitano il ricercatore a focalizzare l'attenzione sul materiale da loro proposto che, a parer loro permette di "farsi un'idea" delle dinamiche sociali interne. In particolare desiderano che ci si concentri sui precedenti penali, sui tentativi di coinvolgimento della famiglia nel trattamento riabilitativo e sulle sanzioni disciplinari. Infine, la terza tecnica su cui le autrici riflettono è quella delle "restrizioni della casa", legate specialmente alla struttura fisica delle carceri. In particolare il carcere limita la libertà di movimento dei detenuti, specialmente di quelli chenon usufruisconologica della riabilitazione. C’è dunque al suo interno una logica pervasiva dovuta alla retoricariabilitativo-correzionalista che seleziona a priori coloro con cui è possibile venire in contatto; aquesta logica prendono parte non solo il personale carcerario, ma anche i detenuti stessi, i qualitendono ad allontanare dal ricercatore i soggetti considerati più “critici” e meno lontani dal tipo“ideale”.La seconda parte del saggio analizza le pratiche di resistenza adottabili dal ricercatore per sfuggirealle pressioni interne che si esplicitano con le tecniche precedentemente presentate e riuscire dunquea pensare in maniera razionale. Per riuscire nell’intento è necessario pensare al campo come una retedi relazioni, dove il dominio totale non esiste e gruppi apparentemente contrapposti si riconosconopositivamente nelle stesse logiche di azione che riconducono al “sapersi fare la galera”. Il campovadunque studiato approfonditamente e in maniera orizzontale, senza pensare che il potere sia detenuto esclusivamente da un solo gruppo. Bisogna cercare di eludere quanto possibile le varie tecniche attuate da operatori e detenuti per influenzare il ricercatore e instaurare relazioni orizzontali di ascolto e riconoscimento reciproco. In primo luogo è dunque necessario promuoversi come risorse nei confronti dell'istituzione stessa e prevedere prodotti finali fruibili dagli operatori anche quando lontani dall'obiettivo della ricerca. In secondo luogo non è sufficiente rapportarsi solo con lo staff.