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Le strategie di ricerca adottate da un modello teorico derivano dagli assunti teorici e dagli obiettivi
che caratterizzano quell’approccio. Così è avvenuto anche per il comportamentismo, le cui strategie
di ricerca sono state fortemente influenzate da alcuni principi fondamentali, quali il principio del
riduzionismo, il principio della parsimonia e il principio del controllo sperimentale. Il principio del
riduzionismo assume che ogni comportamento complesso non sia altro che il risultato
dell’associazione di comportamenti più semplici. Strettamente connesso al principio del
riduzionismo è quello della parsimonia, secondo il quale un meccanismo esplicativo generale va
preferito a uno che spiega soltanto una ristretta gamma di fenomeni. In linea con il principio del
riduzionismo e con quello della parsimonia vi è anche il principio del controllo sperimentale, che ha
portato a scegliere in modo quasi esclusivo il laboratorio come ambiente all’interno del quale
condurre ricerche. La conseguenza principale dell’applicazione del principio del riduzionismo allo
studio dello sviluppo è ritrovabile nella concezione secondo cui lo studio dello sviluppo sarebbe
riconducibile allo studio del più semplice processo di apprendimento. Per esempio, ancora negli
anni ottanta Skinner sosteneva che l’unico ambito di ricerca rilevante per lo studio dello sviluppo
fosse quello volto a individuare le procedure di rinforzo che modellano il comportamento. I processi
interni della mente (black box) dovevano essere invece tralasciati in quanto non direttamente
osservabili. Secondo i comportamentisti il modo in cui l’individuo è in grado di apprendere
contenuti di conoscenza a una certa età è analogo al modo in cui egli apprende in qualsiasi altro
momento dello sviluppo. Di conseguenza, i ricercatori che studiano lo sviluppo richiamandosi alla
teoria comportamentista adottano una strategia di ricerca che non prevede confronti trasversali o
longitudinali tra individui di età diverse. Tale conclusione ha portato a descrivere lo sviluppo come
un progressivo modellamento delle risposte del bambino da parte dell’ambiente in cui vive, e a
suggerire una spiegazione dello sviluppo di tipo deterministico e unidirezionale: lo sviluppo del
comportamento è determinato dall’influenza esercitata dall’ambiente e dagli stimoli da esso
provenienti. Dunque, secondo l’approccio comportamentista l’uomo è fondamentalmente passivo, e
cresce per essere quello che l’ambiente lo farà diventare (visione meccanicistica).
Lo studio dell’apprendimento nei bambini: dai modelli S-R ai modelli S-O-R
I teorici più noti che hanno applicato la teoria comportamentista allo studio dello sviluppo del
bambino sono Bijou e Baer. Secondo il punto di vista da essi proposto, soltanto i comportamenti
osservabili e gli eventi esterni che li provocano, anch’essi osservabili, potevano costituire oggetto
della ricerca scientifica. Ben presto, tuttavia, lo studio e l’osservazione dell’apprendimento nei
bambini mise in evidenza che lo sviluppo non poteva derivare unicamente dall’esistenza di
meccanismi di associazione stimolo-risposta (S-R). Alcuni studiosi misero in evidenza come molti
comportamenti nuovi che i bambini esibiscono sono il risultato di un apprendimento osservativo
mediato da un meccanismo di imitazione (Bandura 1961). Il concetto di apprendimento osservativo
descrive il fatto che è possibile apprendere modelli di comportamento semplicemente osservandone
l’esecuzione da parte di altri, che i propri atti possono essere rinforzati o inibiti osservando i rinforzi
e le punizioni ricevute da altre persone, o ancora che si possono acquisire risposte emotive
condizionate agli stimoli che accompagnano una stimolazione dolorosa per un’altra persona.
L’apprendimento osservativo funziona quindi in modo simile a quello operante, ma se ne
differenzia, poiché il soggetto non sperimenta direttamente i rinforzi positivi o negativi di un certo
comportamento. Infatti nel caso dell’apprendimento osservativo il soggetto può apprendere
imitando il comportamento di un modello anche in assenza di rinforzi diretti. Per esempio, un
bambino che vede lodare di frequente dall’insegnante un suo compagno che si impegna molto nello
studio cercherà di imitare quel comportamento e, di converso, cercherà di evitare di produrre i
comportamenti che ha visto essere puniti. Pertanto il comportamento rinforzato eseguito da un
modello agisce sull’osservatore come rinforzo vicario aumentando la probabilità che egli imiti i
comportamenti osservati. Si passò così da un processo di apprendimento stimolo-risposta a un
processo di apprendimento stimolo-organismo-risposta. I fattori cognitivi considerati sono per
esempio i processi attentivi coinvolti nella codifica del modello osservato, o ancora i processi di
pianificazione motoria. Tuttavia, intorno agli anni cinquanta non erano ancora disponibili gli
strumenti teorici e metodologici necessari per lo studio dei processi cognitivi. Lo studio dello
sviluppo cognitivo diventerà un importante settore di ricerca solo quando, anche in ambito
evolutivo, si espose l’approccio cognitivista.
Le risposte alle domande centrali della psicologia dello sviluppo cognitivo
1. Secondo la teoria comportamentista, ciò che si modifica con il passare del tempo sono le
associazioni tra stimoli e risposte. Il cambiamento riguarda singole unità di comportamento
osservabile, indipendenti l’una dall’altra, ciascuna delle quali è sotto il controllo di singole
variabili comportamentali. Questo significa che ogni nuova abilità che il bambino acquisisce
non modifica in alcun modo le conoscenze che egli già possiede.
2. La struttura dell’attività cognitiva è rappresentata da una catena di associazioni tra stimoli e
risposte che si formano attraverso processi di apprendimento di ambito generale, che si
applicano a tutte le aree della conoscenza. In altre parole, il comportamentismo postula
l’esistenza di una struttura cognitiva uniforme nella quale i meccanismi generali di
funzionamento dell’attività cognitiva si applicano nello stesso modo a tutti i domini della
conoscenza. In questo senso il comportamentismo si presta a essere definito come una teoria
di III livello che prevede un processo di sviluppo dominio-generale.
3. Secondo il comportamentismo, l’essere umano è un organismo predisposto
all’apprendimento, che possiede la capacità innata di associare uno stimolo a una risposta.
Fin dalla nascita il bambino è dotato di un complesso di leggi di associazione da cui deriva
sia la predisposizione ad associare stimoli neutri a risposte automatiche (condizionamento
classico), sia la predisposizione ad aumentare la probabilità di comparsa di una risposta
associata a un rinforzo positivo o a un rinforzo negativo (condizionamento operante). La
mente del neonato è priva di contenuti di conoscenza innati e predeterminati, ed è per questo
definita tabula rasa.
4. I comportamentisti descrivono lo sviluppo come un processo cumulativo e continuo,
prodotto dall’accumularsi di associazioni tra stimoli e risposte. Infatti, essi ritengono che,
durante il processo di apprendimento, ogni nuova unità comportamentale venga acquisita in
modo indipendente dalle altre, senza che ciò implichi alcuna modificazione nella struttura
delle catene associative già acquisite. Di conseguenza, lo sviluppo viene inteso come
l’accumularsi graduale e continuo di associazioni tra stimoli e risposte.
I limiti della teoria comportamentista
Già intorno agli anni ‘20-’30 alcuni comportamentisti cominciarono a mettere in evidenza i
limiti. Tolman attenuò in misura notevole l’intransigenza dei postulati originari e ritenne
insufficienti le spiegazioni del condizionamento basate solo sulle associazioni stimolo-risposta.
Egli sosteneva la necessità di introdurre tra gli stimoli e le risposte delle variabili, dette variabili
intermedie, che consentissero la formulazione di ipotesi relative all’apprendimento passato.
Attraverso alcuni esperimenti egli mise in evidenza che l’apprendimento non avviene sempre e
unicamente come conseguenza del rinforzo, poiché gli animali dimostrano di saper apprendere
quali sono i mezzi che conducono a determinati fini e costituiscono mappe cognitive delle
situazioni ricorrenti. Questi i risultati degli esperimenti: gli animali non risolvono i problemi
solo per tentativi ed errori; il carattere della relazione S-R è complicato e non può prescindere
da variabili intermedie; i modelli di apprendimento basati sul condizionamento non spiegano
l’intero comportamento osservabile; il rinforzo non è premessa indispensabile
all’apprendimento, ma potrebbe facilitare l’utilizzo di un apprendimento già acquisito; non si
apprendono le risposte comportamentali ma le conoscenze che le supportano e le rendono
possibili. Aderì alla tesi di Tolman anche Hull, che si rifiutò di individuare nel condizionamento
pavloviano o skinneriano l’unico modello valido per le connessioni S-R e sostenne l’ipotesi
dell’esistenza delle variabili intermedie, fra cui il bisogno e l’abitudine, quest’ultima intesa
come uno stato complesso del sistema nervoso, una predisposizione a reagire in forme altamente
specifiche alla presenza di talune condizioni ambientali. L’idea, sostenuta da Skinner, che il
comportamento fosse analizzabile in termini di associazioni tra stimoli e reazioni osservabili e
che si potesse scomporre analiticamente in elementi veniva fortemente messa in discussione da
queste posizioni teoriche. La tesi della scomponibilità dell’esperienza in elementi sensoriali
collegati da leggi associative venne fortemente criticata dagli studiosi che contribuirono alla
formulazione della psicologia della Gestalt, un approccio teorico contemporaneo a quello
comportamentista. La scuola della Gestalt contestò l’atomismo e gli assunti associazionistici e
affermò che ciò che l’uomo sperimenta deriva da processi complessi, innati e organizzati
centralmente nel cervello. La percezione quindi non è spiegabile sulla base dei dati sensoriali
elementari e la scomposizione analitica dell’esperienza è fuorviante. Le totalità percettive
comportano proprietà emergenti non riscontrabili nelle parti di cui risultano composte. Non
furono solo gli esperimenti di Tolman, né la posizione della scuola della Gestalt con gli studi di
Kohler e Wertheimer, a mettere in evidenza come fosse troppo riduttivo spiegare
l’apprendimento come un’associazione tra stimoli e risposte. All’interno di questa prospettiva si
possono collocare anche gli studi di Vygotskij, che riteneva ci si dovesse liberare sia dal
comportamentismo vol