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MA
t‐2 t‐2 1 t‐3 2 t‐4
γ(2) = θ σ ; γ(3) = 0
A2
2
MA(2) è caratterizzato da γ(1), γ(2) ≠ 0 (tutti gli altri γ saranno uguali a zero). Per
estensione, MA(3) avrà solo γ(1), γ(2), γ(3) ≠ 0. In generale un MA(q) ha i primi q q
valori di γ ≠ 0. Aldilà di q sono tutti nulli. Graficamente si ha il grafico in figura.
Passiamo ora agli AR. Intuitivamente il modello AR(1) è:
Z – ϕ Z = A
t 1 t‐1 t
Calcoliamo la funzione di autocorrelazione moltiplicando ambo i membri per Z : Z Z – ϕ Z = A Z .
2t‐1
t‐1 t t‐1 1 t t‐1
→
Passando ai valori attesi: E[Z Z ] – ϕ E[Z ] = E[A Z ] γ(1) – ϕ γ(0) = 0.
2t‐1
t t‐1 1 t t‐1 1
A rappresenta il futuro di Z da cui non può dipendere. Il modello ARMA, infatti, dipende solo dal passato
t t‐1
non dal futuro. Pertanto il secondo membro è uguale a 0. Dividendo tutto per γ(0), possiamo scrivere: ρ(1)=ϕ .
1
Per calcolare ρ(2) moltiplichiamo ambo i membri per Z :
t‐2
Z – ϕ Z Z = A Z γ(2) – ϕ γ(1) = 0 ρ(2) = ϕ ρ(1) = ϕ
Z 12
t t‐2 1 t‐1 t‐2 t t‐2 1 1 13
Per calcolare ρ(3) si deve moltiplicare per Z e ripetere gli stessi passaggi, così come per tutti gli altri ρ:
t‐3
⟶ ⟶
*Z – ϕ Z Z = A Z γ(3) – ϕ γ(2) = 0 ρ(3) = ϕ ρ(2) = ϕ ρ(τ) = ϕ ρ(τ–1) = ϕ
Z 13 τ
t t‐3 1 t‐1 t‐3 t t‐3 1 1 1 1
A questo processo stocastico dobbiamo imporre |ϕ |<1, altrimenti
1
avremmo delle funzioni di autocorrelazione maggiori di 1, e questa è
una contraddizione. Significherebbe che il passato pesa sul futuro e che
quindi il processo sarebbe esplosivo perché avrebbe una funzione di
autocorrelazione che aumenta. Quindi un processo AR(1) stazionario
ha una funzione di autocorrelazione che decade esponenzialmente, con segni costanti se ϕ è positivo, con segni
alterni se negativo.
Vediamo AR(2): Z – ϕ Z – ϕ Z = A . Moltiplicando entrambi i membri per Z ed eseguendo i vari passaggi,
t 1 t‐1 2 t‐2 t t‐2
si ottiene: ρ(2) – ϕ ρ(1) – ϕ = 0. Applicando il backshift operator all’AR(2) si trova: (1 –ϕ B – ϕ B ) ρ(2) = 0.
2
1 2 1 2
Questo è un polinomio in B che ha due radici che possono essere o reali e distinte, o reali e coincidenti, o
immaginarie complesse coniugate. Scriviamo il polinomio nel prodotto di monomi: (1 – Φ B)(1 – Φ B) = 0.
1 2
Poiché il prodotto dei due monomi deve restituire e il polinomio di partenza deve valere ϕ = Φ + Φ e ϕ = Φ
1 1 2 2 1
Φ . Le radici del polinomio sono Φ e Φ . Imponiamo, poi, le condizioni di stazionarietà alle radici, ovvero:
‐1 ‐1
2 1 2
|Φ | < 1 e |Φ | < 1. Le radici devono stare fuori dal cerchio unitario affinché il processo sia stazionario.
1 2
Estendendo il ragionamento ad un generico AR(p), si trova che, affinché il processo sia stazionario, tutte le p
radici devono stare al di fuori del cerchio unitario.
Ora prendiamo l’esempio di una trave che da una parte è
bloccata al muro, e dall’altra oscilla dall’alto verso il basso:
entra in vibrazione. Questa vibrazione dopo un certo
numero di oscillazioni si estingue. L’andamento nel
tempo della parte libera, sarà descritto da una sinusoidale
con un certo periodo (legato alla lunghezza della trave e
alle caratteristiche del materiale). Il primo parametro
caratteristico è il periodo, o frequenza, dell’oscillazione, il
secondo è lo smorzamento. Questo fenomeno è descritto da
un’equazione differenziale di secondo grado a coefficienti
complessi, mentre la funzione di correlazione sarà come in figura.
Colleghiamo tutto tornando all’AR(2), con Z in funzione del proprio passato e degli urti incorrelati. Dando
t
alla suddetta trave un solo colpo, avremo un moto oscillatorio smorzato, fino all’esaurimento. Bisogna allora
immaginare che arrivino più colpi (A , A , A , …), tutti incorrelati tra loro (white noise). In tal caso
1 2 3
l’oscillazione continua, dipendentemente dai parametri visti. Se le due radici sono radici reali, abbiamo la
sovrapposizione degli effetti che crea un sistema sovrasmorzato, che non entra in vibrazione. Se invece
abbiamo radici complesse e coniugate, il processo entra in vibrazione smorzata che tende a scomparire.
Vediamo, in sostanza, come descrivere un processo AR(p). Prima si scrive il polinomio caratteristico del
processo AR(p), che sarà costituito da p termini e quindi sarà un polinomio di grado p. Questo polinomio si
può rappresentare con vari monomi, ognuno di grado 1. Essi avranno radici reali o complesse coniugate a
coppie. Ogni radice reale porta un sovrasmorzamento, mentre ogni coppia di radici complesse e coniugate
porta un modo di vibrare caratteristico con una sua frequenza e velocità di smorzamento.
Esiste un’altra funzione che serve per fare chiarezza sui modelli AR e MA puri (ricordando che tutte le radici
devono stare fuori dal cerchio unitario). Definiamo la funzione di autocorrelazione parziale PACF come un
coefficiente che si ottiene quando si adatta al processo stacastico un AR(1), AR(2), …, AR(p). Scriviamo un
AR(1): Z = ϕ Z +A . Questo è un modello adattato a un processo che non
t 11 t‐1 t
è un AR(1) (un modello sbagliato), quindi al posto di A , si mette un resto
t
W che fa tornare i conti: Z = ϕ Z + W
t 11 t‐1 1t
Per un AR(2) adattato si ha: Z = ϕ Z + ϕ Z + W . I coefficienti ϕ , ϕ ,
t 21 t‐1 22 t‐2 2t 11 22
ϕ , costituiscono la PACF. Per AR puri di grado p, la PACF presenta i
33
primi p coefficienti diversi da zero e tutti gli altri improvvisamente nulli.
Questo comportamento ci ricorda quello che la funzione di
autocorrelazione esercitava sui processi MA puri.
14
Il comportamento della PACF per MA puri è analogo al comportamento della ACF per AR puri, mentre il
comportamento della ACF per MA puri è analogo a quello della PACF per AR puri. L’osservazione ACF‐
PACF campionaria ci da uno strumento di identificazione che ci permette di riconoscere un AR o un MA.
Finora abbiamo parlato dei modelli ARMA: →
Z – ϕ Z – … – ϕ Z = A + θ A + … + θ A (1 – Φ B)(1 – Φ B) … (1 – Φ B)Z = (1 – Θ B)(1 – Θ B)…(1 – Θ B)A
t 1 t‐1 p t‐p t 1 t‐1 q t‐q 1 2 p t 1 2 q t
La condizione di stazionarietà non coinvolge i coefficienti a destra. Nella MA l’impatto sulla ACF si limita
soltanto ai primi q elementi (i “primi passi”, il passato più recente) e non coinvolge gli elementi da q in poi.
Dunque non può mai dare luogo a un processo esplosivo. Invece abbiamo posto il limite sulla parte AR perché
è quella che induce una dipendenza dal passato più remoto: |Φ | < 1. Se fosse pari a 1 sarebbe non stazionario
1
e non esplosivo.
Vediamo i modelli ARIMA. All’interno di questi modelli possono esserci un certo numero di radici della parte
AR che stanno esattamente sul cerchio unitario. In tale caso la funzione di autocorrelazione non decade, non
casi in cui c’è un
è esplosiva e non va degradando: si ha quindi una situazione limite in cui includere quei
trend, una particolare componente deterministica che si può includere come caso particolare della componente
aleatoria. Questi casi vanno trattati a monte, cioè il modello deve essere reso stazionario eliminando queste
radici. Questo è abbastanza facile perché si ha che quando il coefficiente è uguale a 1 non c’è qualche
coefficiente particolare da stimare. Si possono stazionarizzare operando la differenza 1 – B tante volte quante
sono le d radici reali della parte AR (cioè quelle che stanno sul cerchio unitario). Avremo infatti:
: 1
: 1 = Z + A . Si vede che non vi
Il modello più semplice è il random walk, un ARIMA(0,1,0), per il quale si ha: Z
t t – 1 t
è alcun motivo per ritornare indietro una volta abbondonato il punto iniziale e, allo stesso tempo, perché si
allontani indefinitamente. Differenziando il modello una volta sola, si ottiene un w.n.
I modelli ARIMA sono capaci di eliminare o filtrare qualsiasi componente deterministica, come polinomi o
componenti stocastiche di lungo termine, come trend e ciclicità. Ciò è proprio quello che si vuole, dato che il
moderno approccio permette ai t.s. di includere tali componenti all’interno dei modelli stocastici. Dunque,
invece di stimare tali componenti, lasciando il residuo come effetto dell’errore del campionamento, si utilizza
l’approccio inverso: si escludono le componenti deterministiche o non periodiche grazie alla differenziazione
ripetuta, e ciò che rimane è la parte stocastica del fenomeno che vogliamo modellare.
Una generalizzazione dei modelli ARIMA, utile per lo studio delle t.s. in ambito economico sono quelli
seasonal. Una soluzione per modellare t.s. periodici ma non sinusoidali è quello di usare l’operatore back‐shift
s step indietro. Ad esempio si supponga che le vendite di un prodotto subiscano fluttuazioni stagionali e che,
facendo rilevazioni mensili, si suppone ci sia correlazione tra il prezzo ad un dato mese e quello allo stesso
mese dell’anno precedente. Un modello opportuno è, in questo caso, con s = 12: , che in forma
1
caratteristica diventa: . Si tratta di un AR(1) stagionale. Generalizzando, ovvero supponendo
di avere p radici non stagionali e P stagionali nella parte AR, q radici stagionali e Q stagionali nella parte MA,
il modello generale per un ARIMA(p, P, d, D, q, Q) è rappresentato dalla seguente equazione caratteristica:
1 … 1 1 … 1 1 1 1 … 1 1 … 1
dove D e d sono radici unitarie stagionali e non rispettivamente. È opportuno notare che un modello stagionale
presenta una autocorrelazione tipica. Per esempio il modello (sempre con s=12) a seguire può essere riscritto
nella seguente forma esplicita:
1
1 , ,
dove
Ciò implica un’autocorrelazione in ritardo sino a τ=13, che risulta dalla combinazione di due termini di
autocorrelazione, uno a τ=1, l’altro a τ=12.
Supponiamo che un processo stocastico sia continuo. In tal caso può esprimersi dalla seguente:
⋯ ⋯
Si noti che adesso A(t) e un processo stocastico w.n. nello spazio continuo e ciò non è fisicamente fattibile,
perché ammette finite oscillazioni anche per incrementi infinitesimi di tempo: quindi può essere osservato solo
quando integrato. Questa è la ragione per cui il p