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2. I LONGOBARDI NEL SUD: CULTURA SCRITTA E TRACCE LINGUISTICHE
2.1 I Longobardi, entrati in Italia nel 568, oltre ad occupare il Nord e la Toscana si spinsero più a
sud dove fondarono i ducati di Spoleto e di Benevento. Quest’ultimo ebbe per primo duca un certo
Zotto; era un vasto ducato, che per la lontananza da Pavia, capitale del regno longobardo, si trovò
di fatto a godere di una certa autonomia. I duchi di Benevento si radicarono nel Sud dove il loro
dominio prese connotazioni locali.
L’autonomia di Benevento divenne vera e propria indipendenza politica quando il Nord fu
conquistato da Carlo Magno nel 774, e il vecchio regno longobardo col ducato di Spoleto vennero
inclusi nell’impero carolingio. I centri principali erano Salerno e Capua, che col tempo dettero vita a
principali separati nel solco delle tradizioni dei Longobardi.
Molte fonti per la storia dei Longobardi in generale siano state scritte o copiate proprio nel Sud. Il
cosiddetto codice matritense, stilato a Capua nel 10° secolo, contiene il testo delle leggi
longobarde promulgate molto tempo prima (Editto di Rotari) accanto al cosiddetto Glossario
matritense, un glossario di termini giuridici longobardi tradotti in latino. Ciò significa che nel 10°
secolo al Sud si consultava ancora il testo delle vecchie leggi longobarde, ma che la lingua non era
più capita ed era necessario spiegare i termini di origine longobarde presente nei vecchi testi.
Nello stesso manoscritto si trova anche una copia della famosa Origo gentis Langobardum,
un’antica storia anonima sulle leggendarie origini del popolo longobardo. Un altro manoscritto è il
codice cavense, che raccoglie anch’esso un glossario dei termini giuridici longobardi.
Nel monastero di Montecassino, Paolo Diacono si ritirò a scrivere la sua famosa Storia dei
Longobardi .
Molti nomi propri di luogo e di persona si trovano nelle raccolte di documenti, carte, atti legali, ecc.
La maggior parte degli antroponimi è di origine longobarda; la moda dei nomi longobardi prese
piede, diffondendosi col tempo fra tutti gli strati della popolazione. Ne abbiamo testimonianza
anche dalle varie epigrafi e iscrizioni presenti nel territorio dell’antico ducato beneventano. Famosi
sono i graffiti del santuario di S. Michele sul Gargano che mostrano le firme di moltissimi pellegrini.
2
Un’importante opera giuridica che raccoglie norme e leggi sono le Consuetudini di Bari in cui
troviamo testimonianza della persistenza di certe usanze e istituzioni come il mundio (tutela sulle
donne e sui semiliberi) e il relativo mundoaldo (il tutore).
[Epitome greca: una traduzione greca di una parte dell’editto di Rotari]
La nostra conoscenza della lingua Longobarda è limitata alle parole citate in queste fonti
medievali; non abbiamo nessun testo scritto interamente in longobardo, neanche una sola frase
intera, che possa darci l’idea delle strutture grammaticali e sintattiche di quella lingua. Restano
solo termini sparsi.
Per quanto riguarda il vocalismo, si nota una certa arcaicità che conserva bene gli antichi dittonghi
germanici. La lingua assegnabile al ramo germanico occidentale (lo stesso del tedesco). Un tratto
sicuramente conservativo rispetto all’alto-tedesco è il mantenimento nel longobardo delle vocali
lunghe germaniche *o ed *e che non si dittongano. Un altro tratto conservativo è la mancanza di
metafonia. I dittonghi germ. *ai ed *au si conservano a lungo.
Che il longobardo appartenga al ramo occidentale e non al germanico orientale (gotico) lo si vede
anche dalla presenza del rotacismo, che ha portato l’antica sibilante sonora *z del germanico
antico ad >r.
Il consonantismo longobardo è soprattutto caratterizzato dalla presenza della seconda mutazione
consonantica.
I Longobardi subirono un forte processo di acculturazione: dall’iniziale barbarie passarono
all’accettazione del cristianesimo, alla cultura scritta, assorbendo anche i costumi di gente
sedentaria. Divennero proprietari terrieri, fonatori di chiese e monasteri, amministratori e funzionari
del regno.
Oltre alle arti e all’architettura, durante il periodo longobardo si produssero anche bei manoscritti
con vivaci miniature, come quelle del famoso codice Cavense.
Più persistente che altrove, la terminologia giuridica di origine longobarda continua a lungo nei
documenti meridionali, quando nel centro-nord andava invece uscendo dall’uso.
Anche al di là dei singoli termini e delle tracce linguistiche, a volte permangono concetti e
consuetudini: per es. nella prima metà del 8° secolo, il morgingap da donare alla moglie
raggiungeva al massimo la quarta parte dei beni del marito; questo costume continua al sud fin
quasi in età moderna.
Il diritto longobardo continuò ad essere applicato per tutto il Medioevo nella maggior parte dell’Italia
meridionale.
Un’altra impronta interessante lasciata dalla presenza longobarda in Italia meridionale è costituita
dai toponimi e dai prestiti linguistici entrati nell’italiano e nei suoi dialetti; stesso discorso vale per
alcuni nomi longobardi che col tempo si son trasformati in cognomi (es. Grimaldi, Pandolfi,
Longobardi).
3. ITINERARI LESSICALI LONGOBARDI IN PUGLIA
3.1 La Puglia si configura come autentico crocevia aperto all’intersezione di esperienze culturali e
linguistiche assai diverse. Ne è testimonianza in primo luogo la presenza di comunità alloglotte
tanto nel passato (Ebrei, Arabi, Slavi, Albanesi) quanto nel presente.
È possibile dividere l’area linguistica pugliese in due blocchi di dialetti: a nord i dialetti pugliesi
propriamente detti e a sud i dialetti salentini.
I dialetti pugliesi centro-settentrionali presentano elementi di contatto con il sistema linguistico
napoletano, mentre i dialetti salentini hanno caratteri più simili a quelli della Calabria centro-
meridionale e della Sicilia.
Il lessico pugliese/salentino presenta caratteri comuni agli altri dialetti meridionali, con la presenza
di molti grecismi antichi e di età medievale. 3
Il numero di longobardismi aumenta nei documenti di età medievale: questo vale in modo
particolare per il lessico di ambito giuridico-amministrativo. (Es. arimannus: uomo libero;
mundoald: tutore; gastaldius: funzionario regio; gasindius: funzionario di corte) molte di queste
denominazioni indicanti qualifiche o cariche sopravvivono tuttora come cognomi, ad es. Castaldo.
Lo studio del superstrato longobardo nell’italiano è condizionato anche dallo stato della
documentazione: non possediamo nessun testo redatto in longobardo, a parte qualche parola
isolata in fonti latine. Perciò bisogna separare lo strato longobardo da quello gotico e francone; i
principali criteri da prendere in considerazione sono: distribuzione geolinguistica della voce, ambito
semantico a cui appartiene il termine, cronologia delle attestazioni più antiche, eventuale
documentazione latino-medievale.
Un solo indizio sembra garantire l’assegnazione allo strato longobardo di un lemma di origine
germanica: la presenza degli esiti della seconda mutazione consonantica. Il longobardo presenta
questo fenomeno tipico dell’area alto-tedesca ( it. Zaffo da ted. Zapfen ma it. Tappo da una base
francone, tappon).
Nella storia del longobardo si possono individuare due periodi:
1) La fase più antica, con caratteri affini al gotico
2) La fase di influenza alto-tedesca (consonantismo della seconda mutaz.cons.)
[balco/balcone-palco: si fanno risalire al longobardo, assegnando balco/balcone allo strato più
antico, palco alla fase più recente, ‘alto-tedesca’.]
Strumenti per lo studio del lessico sono le descrizioni linguistiche e i repertori lessicali; numerosi
saggi approfondiscono lo studio di singole voci lessicali:
- Gaifo:
Termine documentato nel Salento con diversi significati (pianerottolo, terrazzino, pavimento);
ma già nelle fonti latine medievali abbiamo numerose occorrenze di questo sostantivo. La
prima compare a Bari nel 1005, la seconda sempre a Bari nel 1036 entrambe nel Codice
Diplomatico Barese.
Resta convincente il rinvio ad una base longobarda *waif-, comune* esteso a designare aree
della casa accessibile anche a persone estranee.
- Chiascione :
“lenzuolo”, esito di una forma *plaione*, già attestata in fonti medievali. La voce lessicale
compare anche come cognome; inoltre era un soprannome dato a chi vendeva biancheria in
giro nelle campagne. Il corrispondente friulano *belon*, riporta al germanico *blahjon* da
ricollegare al t.a. *blaha* (= pezza di tela grossolana).
- Barba: ( mostra la complessità dei rapporti tra le diverse lingue)
barba=zio, è un interessante testimonianza del ruolo di mediatori culturali e linguistici che
hanno avuto Bizantini e Longobardi nella Puglia.
La diffusione areale di queste attestazioni nell’età tardo-antica (ai danni del greco thius>zio)
coincide con l’area d’influenza longobarda. Rilevante è la coincidenza tra declino politico dei
Longobardi e progressiva scomparsa della voce barba (9°secolo).
Essa è una forma latina, con influssi greci e con un’impronta semantica germanica; esso fu
adottato dai Longobardi con significato di “zio” che rifletteva la struttura della loro società. 4
4. LA SCRITTURA BENEVENTANA
Tra il 3° e il 4° secolo d.C. i paleografi parlano di “unità grafica latina”. In tutti i territori che
lentamente entrarono a far parte del grande impero romano, circolarono modelli grafici unitari:
sicché le scritture utilizzate nella capitale dell’impero furono adoperate anche nelle province.
Quest’unica tradizione grafico-culturale si infranse dopo il crollo dell’impero romano al cui posto si
sostituirono le nuove realtà politico-territoriali dei diversi stati romano-germanici.
Con la caduta dell’impero romano svanì anche l’unità grafica latina, sicché nei nuovi stati nacquero
più scritture che svilupparono caratteri diversi fra loro: si comincia a parlare della scrittura
beneventana.
La scrittura beneventana nacque in Italia meridionale all’interno del ducato longobardo di
Benevento, fondato nel 570, trasformatosi in principato nel 774 e frammentatosi nell’849 nei
principati di Capua-Benevento e di Salerno.
A proposito della scrittura, è opportuno osservare che i contemporanei usavano indicare tale grafia
con i termini di longobardisca o longobarda. La beneventana fu adoperata nei territori meridionali
di cultura longobarda per ben cinque secoli: nata verso la fine dell’8° secolo, essa continuò ad
essere utilizzata a livello librario sino alla fine del 13°. Grandissima parte della cultura di età antica
e medievale ci è stata trasmessa in scrittura beneventana.
Essa si diffuse in tutta l’area centro meridionale